Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28179 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28179 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a VERBANIA il 24/07/1960 avverso la sentenza del 07/01/2025 della CORTE D’APPELLO DI MILANO Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Lette le conclusioni scritte pervenute in data 11 giugno 2025, del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 gennaio 2025 la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia del 12 ottobre 2023 del Tribunale di Pavia in composizione monocratica, con la quale l’imputato COGNOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia, oltre statuizioni civili, per il reato di furto aggravato continuato di 35 tonnellate di rame in concorso con COGNOME NOME (quest’ultimo giudicato separatamente).
Avverso la decisione della Corte di appello l’imputato ha proposto ricorso, attraverso il difensore di fiducia, deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con l’unico motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione, con travisamento della prova, in relazione all’affermazione della penale responsabilità del ricorrente.
La Corte territoriale non si è confrontata con la circostanza che COGNOME NOME e NOME non svolgessero attività di vigilanza ininterrotta, ma un servizio di portierato di otto ore.
La ulteriore circostanza che l’imputato possedesse le chiavi di accesso allo stabilimento all’interno del quale si è consumato il furto è irrilevante esistendo altre via per accedere all’interno.
Inoltre, l’imputato si alternava nel lavoro con COGNOME NOME e non si conoscono i giorni in cui i furti si sono verificati, non potendosi quindi delineare un concorso da parte dell’imputato nel reato dal punto di visto materiale e soggettivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.L’unico motivo risulta manifestamente infondato non confrontandosi con le motivazioni della sentenza impugnata e con i principi fissati da questa Corte in tema di sindacato di legittimità secondo cui il sindacato demandato alla Corte di cassazione è limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944 – 01)
1.1. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza impugnata, rispondendo alle censure difensive già contenute nell’atto di appello e in questa sede riproposte, individua gli specifici elementi indiziari che, unitariamente letti e valutati, fondano il giudizio di penale responsabilità.
In particolare, con motivazione in fatto non manifestamente illogica, né contraddittoria, la Corte territoriale (p. 20 e ss.) ha valorizzato numerose circostanze di fatto univocamente rivelatrici dell’attribuibilità della condotta all’imputato.
In primo luogo, i furti sono stati reiterati nel periodo in cui l’imputato era incaricato della vigilanza senza che quest’ultimo avesse mai segnalato alcuna anomalia. L’attività dell’imputato, come documentato dal contratto di assunzione prodotto dalla parte civile e acquisito agli atti, consisteva in un servizio di custodia della cartiera, con l’obbligo di permanenza ininterrotta a settimane alterne.
I furti hanno richiesto l’uso di mezzi pesanti per asportare il materiale, veicoli che necessariamente sono passati dall’ingresso principale, presso cui sono state rinvenute le tracce di passaggio, dove si trovava la postazione di sorveglianza che presidiava un ingresso con cancellata chiusa a chiave con lucchetto, che non risulta essere stato mai forzato; l’imputato possedeva le chiavi dei lucchetti con i quali erano state chiuse le porte dello stabilimento.
I furti implicavano attività di estrazione e asportazioni complesse, necessitanti lavorazioni prolungate all’interno dello stabilimento di cui non appare verosimile che il sorvegliante non si sia mai accorto, non avendo mai segnalato nulla al suo datore di lavoro.
I furti a volte comportavano la bruciatura di guaine produttive di fumo e vi è prova che almeno in una occasione l’imputato non si sia premurato di rilevare la situazione di emergenza avvisando i vigili del fuoco, che erano stati invece allertati da operai di una impresa adiacente.
Dunque, la circostanza che il convincimento dei giudici di merito si sia fondato su di una prova di natura indiziaria non può comportare la fondatezza della censura proposta: il difetto di motivazione, quale causa di annullamento della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei suoi singoli punti, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, sicché, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione risultare anche da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (Sez. 1, n. 20030 del 18/01/2024, COGNOME, Rv. 286492 – 01, che ha respinto il ricorso per vizi di motivazione che, in un processo indiziario, si fondava su una critica parcellizzata di singoli segmenti della ricostruzione, senza tener conto della lettura complessiva e unitaria dei dati indizianti operata in sentenza).
Va, infine, per completezza del percorso motivazionale, verificata la eventuale decorrenza dei termini prescrizionali ai fini della declaratoria di
estinzione del reato, questione già dedotta in sede di appello e, comunque, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
2.1. La sentenza impugnata, nell’escludere che alla data della pronunzia (7 gennaio 2025) fossero decorsi i termini massimi di prescrizione, ha richiamato la pronunzia di questa Corte secondo cui il termine di prescrizione del delitto di furto di energia elettrica decorre dall’ultima delle plurime captazioni di energia, che costituiscono i singoli atti di un’unica azione furtiva a consumazione prolungata. (Sez. 4, n. 53456 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274501).
Considerando dunque quale dies a quo la data del 20 agosto 2012, momento consumativo dell’ultimo furto, la Corte territoriale in ragione dei termini di prescrizione massima del furto pluriaggravato pari ad anni 12 e mesi sei, ha individuato la data del 20 febbraio 2025 ai fini dell’estinzione del reato per prescrizione, data successiva alla decisione.
2.2. Ad avviso del collegio nel caso in esame non è applicabile il principio richiamato invece dalla Corte territoriale.
La fattispecie contestata e ravvisata nel caso in esame è relativa non a plurime captazioni di energia elettrica quanto piuttosto a plurimi episodi di furto aggravato, avvinti dal vincolo della continuazione interna: conseguentemente il termine di prescrizione va calcolato distintamente per ogni singolo episodio di furto.
Dalla lettura della sentenza impugnata (che richiama quanto alla ricostruzione dei fatti la sentenza di primo grado), il primo episodio di furto di rame è da collocarsi in data 8 marzo 2012, in occasione del primo sopralluogo effettuato presso lo stabilimento.
A siffatta data – individuata quale dies a quo del più risalente episodio di furto – aggiungendo il termine massimo di prescrizione ai sensi dell’art. 161 cod. pen. pari ad anni 12 e mesi sei di reclusione, si giunge alla data dell’8 settembre 2024.
Vanno poi aggiunti i 145 giorni di sospensione dei termini prescrizionali così individuati: 82 giorni di sospensione dal 17 ottobre 2024 al 7 gennaio 2025, a seguito dell’astensione proclamata dai difensori; 63 giorni di sospensione dal 26 gennaio 2023 al 13 aprile 2023, per legittimo impedimento dell’imputato.
Il termine finale risulta dunque il 31 gennaio 2025, successivo alla pronunzia della sentenza di secondo grado.
2.3. L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del
22/11/2000, D., Rv. 217266 in relazione ad analogo caso in cui la prescrizione del reato è maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma in data 17 giugno 2025