Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35567 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7   Num. 35567  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/02/2025 della Corte d’appello di Catanía
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
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MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 26 febbraio 2025, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Catania del 22 marzo 2023, che aveva dichiarato COGNOME NOME colpevole del reato di cui agli artt. 110, 624 bis co.1 e co.3 con riferimento all’art. n.2 cod. pen., condannandolo, previo riconoscimento di attenuanti generiche equivalenti, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 1.100,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. La Corte territoriale ha altresì confermato la confisca e la distruzione del bene in sequestro.
L’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., deducendo tre motivi:
con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt.62 bis e 133 cod. pen., lamentando il mancata riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;
con il secondo motivo censura la dosimetria della pena per violazione dell’art. 133 cod. pen., sostenendo che la pena è stata irrogata in misura eccessiva, in difetto di adeguata motivazione;
con il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta recidiva.
3.11 ricorso è inammissibile.
3.1 II primo motivo è manifestamente infondato in quanto meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non scandito da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Come evidenziato nella sentenza impugnata, l’individuazione del ricorrente quale autore del furto in abitazione è certa, avendo dimenticato in loco il proprio telefono cellulare.
In ordine al giudizio di comparazione delle circostanze, va premesso che questo risulta sufficientemente motivato quando il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 cod. pen., scelga la soluzione dell’equivalenza, anziché della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450). Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mer arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Rv. 245931).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha adeguatamente motivato il giudizio di equivalenza valorizzando e, la rilevante entità dei beni sottratti e la personalità dell’imputato, gravato numerosi precedenti penali specifici.
3.2 Il secondo motivo è parimenti infondato.
In tema di determinazione della pena, questa Corte ha ripetutamente affermato che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica
e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio d adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283).
Nel caso in esame, la pena irrogata risulta inferiore alla media edittale e la Corte territorial ha adeguatamente motivato con riferimento alla gravità del fatto e alle modalità di commissione del reato, nonché alla personalità dell’imputato.
3.3 Il terzo motivo è inammissibile in quanto la relativa questione non risulta proposta con l’atto di appello.
È consolidato orientamento di questa Corte che, dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen., discende che non possano essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Tale regola trova la propria ratio n necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316).
Nel caso di specie, dall’esame della sentenza impugnata emerge chiaramente che la questione afferente alla recidiva non è stata proposta dinanzi al giudice d’appello, pertanto il motivo di ricorso risulta inammissibile per novità.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186/2000), al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 30/09/2025
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