Ricorso Inammissibile: La Cassazione e le Misure Alternative alla Detenzione
Quando un ricorso per cassazione viene presentato senza rispettare i limiti imposti dalla legge, l’esito è quasi sempre un ricorso inammissibile. Questa recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come la Suprema Corte affronta i ricorsi contro le decisioni dei Tribunali di Sorveglianza in materia di misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare. Il caso evidenzia la netta distinzione tra il giudizio di merito, che valuta i fatti, e quello di legittimità, che si concentra esclusivamente sulle violazioni di legge.
I Fatti del Caso: La Richiesta di Misure Alternative
La vicenda ha origine dalla richiesta, presentata da un soggetto condannato a una pena di un anno, undici mesi e ventinove giorni di reclusione, di poter accedere a misure alternative alla detenzione, nello specifico l’affidamento in prova ai servizi sociali e la detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, tuttavia, respingeva tali istanze, ritenendo che il condannato non offrisse garanzie sufficienti per la concessione dei benefici.
I Motivi del Ricorso: Violazione di Legge e Vizio di Motivazione
Contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, la difesa del condannato proponeva ricorso per cassazione. I motivi sollevati erano principalmente due: la violazione di legge e il vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la decisione del giudice di sorveglianza era viziata da una valutazione ‘lacunosa’ e non aveva tenuto in debita considerazione un elemento fondamentale: l’attività lavorativa svolta dal soggetto, che avrebbe potuto essere un fattore positivo nel percorso di risocializzazione.
La Decisione della Cassazione: Un Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione, esaminando il ricorso, lo ha dichiarato inammissibile. La ragione di tale decisione risiede nella natura stessa dei motivi presentati. La Suprema Corte ha sottolineato come le censure mosse dal ricorrente fossero, in realtà, ‘mere doglianze versate in fatto’. In altre parole, la difesa non contestava una reale violazione di norme giuridiche, ma tentava di ottenere dalla Cassazione una nuova e diversa valutazione dei fatti, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (primo e secondo grado) e non alla Corte di legittimità. Inoltre, il ricorso è stato giudicato ‘non autosufficiente’, poiché non articolava una critica specifica e puntuale contro le argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata.
Le Motivazioni della Corte: La Discrezionalità del Giudice di Sorveglianza
Entrando nel cuore delle motivazioni, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il giudice di sorveglianza gode di un ampio potere discrezionale nel concedere o negare le misure alternative. Tale potere deve essere esercitato in modo logico e non contraddittorio. Nel caso specifico, il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato il proprio diniego evidenziando come i procedimenti penali a carico del condannato e la sua ‘natura non tranquillizzante’ della condotta di vita rappresentassero fattori che imponevano cautela. In assenza di elementi concreti che dimostrassero una diminuzione della pericolosità sociale, la decisione di negare i benefici era da considerarsi legittima e non manifestamente illogica.
Conclusioni: Limiti all’Appello e Pagamento delle Spese
L’ordinanza ribadisce che un ricorso in Cassazione non può essere una semplice riproposizione delle proprie tesi fattuali, ma deve individuare specifici errori di diritto o vizi logici evidenti nella motivazione del provvedimento impugnato. La conseguenza di un ricorso inammissibile è duplice: non solo la decisione impugnata diventa definitiva, ma il ricorrente viene anche condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria, fissata in questo caso in tremila euro, ha lo scopo di disincentivare la presentazione di ricorsi palesemente infondati o dilatori.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati erano costituiti da semplici lamentele sui fatti del caso e non da critiche specifiche alle argomentazioni giuridiche dell’ordinanza impugnata. Questo tipo di valutazione fattuale non è consentito in sede di legittimità.
Quali fattori ha considerato il Tribunale di Sorveglianza per negare le misure alternative?
Il Tribunale ha considerato i precedenti penali del condannato e una condotta di vita ritenuta ‘non tranquillizzante’ in una prospettiva di risocializzazione. Questi elementi, in assenza di prove di una diminuita pericolosità sociale, hanno indotto il giudice alla prudenza e al rigetto della richiesta.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende. Questa misura è prevista dalla legge per sanzionare l’abuso dello strumento processuale e scoraggiare ricorsi infondati.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9191 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9191 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in ROMANIA il 17/06/1984
avverso l’ordinanza del 12/11/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di Roma
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato le istanze di affidamento in prova e di detenzione domiciliare, presentate da NOMECOGNOME soggetto in espiazione della pena di anni uno, mesi undici e giorni ventinove di reclusione, di cu alla sentenza del Tribunale di Roma del 24/10/2017.
Ricorre per cassazione l’interessato, a mezzo del difensore avv. NOME COGNOME deducendo cumulativamente i vizi di violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., sta natura lacunosa della valutazione sussunta nell’ordinanza impugnata e l’omessa considerazione dell’attività lavorativa svolta dal soggetto.
Vengono anzitutto articolate – in maniera peraltro non autosufficiente – censure non consentite in sede di legittimità, in quanto costituite da mere doglianze versate in fatto e n scandite da specifica critica del complesso delle argomentazioni poste a base dell’ordinanza, che ha motivato il rigetto compiutamente, oltre che in maniera non manifestamente illogica o contraddittoria. Invero, il giudice a quo, nell’esercizio del potere discrezionale di cui è titolare (Sez. 1, n. 8712 del 08/02/2012, COGNOME, Rv. 252921-01), ha sottolineato come i procedimenti penali a carico del condannato e la natura non tranquillizzante – in prospettiva risocializzante della condotta di vita dallo stesso tenuta, siano fattori atti a imporre cautela, in sed concessione degli invocati benefici, in assenza di elementi deponenti nel senso della diminuzione di pericolosità sociale.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi ipotesi di esonero – al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 20 febbraio 2025.