Ricorso Inammissibile: Quando l’Appello Costa Caro
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio delle conseguenze derivanti dalla presentazione di un ricorso basato su motivi palesemente infondati. Il caso riguarda una condanna per violenza privata, confermata in appello, e la successiva dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione, con la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a una sanzione pecuniaria. Questa decisione sottolinea l’importanza di formulare impugnazioni solide e giuridicamente pertinenti.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato in primo e secondo grado per il reato di violenza privata, ha proposto ricorso per Cassazione. La sua difesa si basava su diversi motivi: contestava la valutazione di una testimonianza, chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, lamentava il diniego delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena e, infine, sollevava una questione relativa alla continuazione tra reati. I giudici di merito avevano già rigettato queste argomentazioni, confermando la responsabilità penale dell’imputato e la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni suo punto. I giudici hanno ritenuto i motivi presentati manifestamente infondati o carenti di interesse. Di conseguenza, oltre a rendere definitiva la condanna, hanno condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.
Analisi dei Motivi di Ricorso e l’Inammissibilità
La Corte ha esaminato singolarmente i motivi, evidenziandone le lacune.
Primo e Secondo Motivo: Valutazione delle Prove e Tenuità del Fatto
Il primo motivo, relativo alla deposizione di un testimone, è stato giudicato inammissibile perché la Corte di Appello aveva già chiarito che la responsabilità dell’imputato non si basava unicamente su quella testimonianza, ma era corroborata da molteplici altri elementi probatori. Il secondo motivo, sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato ritenuto manifestamente infondato, poiché la Corte di merito aveva fornito una motivazione adeguata per escludere la particolare tenuità del fatto.
Terzo e Quarto Motivo: Attenuanti e Continuazione
Anche il diniego delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena è stato considerato legittimo, in quanto adeguatamente motivato dai giudici di secondo grado. Infine, il motivo sulla continuazione è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse. La Corte ha osservato che il Tribunale aveva qualificato la condotta come un unico reato di violenza privata e che, durante il giudizio di appello, la difesa non aveva mai chiesto di unificare tale fatto con altre condanne irrevocabili. Pertanto, la Corte di Appello non si era pronunciata su una richiesta mai formulata. La Cassazione ha comunque precisato che tale questione potrà essere eventualmente sottoposta al giudice dell’esecuzione.
Le Motivazioni della Corte
La motivazione principale dietro la dichiarazione di inammissibilità del ricorso risiede nella manifesta infondatezza e genericità dei motivi proposti. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un giudice di legittimità. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non rivalutare le prove. Nel caso di specie, i motivi di ricorso tentavano di ottenere una nuova valutazione dei fatti, già ampiamente e correttamente esaminati nei gradi precedenti. La Corte ha ritenuto che le motivazioni della sentenza d’appello fossero complete, logiche e prive di vizi giuridici, rendendo l’impugnazione un mero tentativo dilatorio.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: un ricorso per Cassazione deve basarsi su vizi di legittimità concreti e specifici, non su una generica contestazione della decisione di merito. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso non è una mera formalità, ma comporta conseguenze economiche significative per il ricorrente, come la condanna alle spese e al pagamento di una sanzione alla Cassa delle ammende. Ciò funge da deterrente contro impugnazioni pretestuose, garantendo al contempo l’efficienza del sistema giudiziario e il rispetto per le decisioni già vagliate attentamente dai giudici di merito.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della sentenza impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un’impugnazione non valida.
Perché il motivo sulla valutazione di una testimonianza è stato ritenuto inammissibile?
È stato ritenuto inammissibile perché la Corte di Appello aveva già spiegato che la prova della colpevolezza non dipendeva esclusivamente da quella testimonianza, ma era supportata da numerosi altri elementi che la confermavano, rendendo la singola deposizione non decisiva.
La questione della continuazione tra reati può essere sollevata dopo la sentenza della Cassazione?
Sì, la Corte ha specificato che, non essendo stata sollevata correttamente durante il processo di appello, la questione potrà comunque essere sottoposta al giudice dell’esecuzione, che è l’organo competente a decidere su tali materie dopo che la sentenza è diventata definitiva.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47170 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47170 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CAMPOBELLO DI LICATA il 28/01/1948
avverso la sentenza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento del 3 novembre 2021 che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di violenza privata e l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile;
che il primo motivo del ricorso dell’imputato è inammissibile, atteso che la Corte di appello ha affermato che la deposizione del teste COGNOME non ha carattere decisivo in quanto la responsabilità dell’imputato risulta provata da molteplici elementi che riscontrano la deposizione della persona offesa;
che il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, avendo la Corte di merito escluso l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. fornendo adeguata motivazione sul punto;
che il terzo motivo di ricorso, erroneamente indicato come quarto motivo nell’atto di impugnazione, è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello motivato adeguatamente il diniego delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena ed il trattamento sanzionatorio;
che il quarto motivo di ricorso, erroneamente indicato come quinto, è inammissibile per carenza di interesse, atteso che il Tribunale ha escluso che ricorressero più reati da unificare per effetto della continuazione, ma una condotta unitaria di violenza privata, e nel giudizio di secondo grado, sia all’udienza del 30 novembre 2023 in cui il difensore dell’imputato si è riportato ai motivi di appello, sia alle udienze precedenti o successive, neppure è stato chiesto di applicare la continuazione tra detta condotta ed altri episodi per i quali l’imputato era stato condannato con sentenza già irrevocabile, cosicché la Corte di appello, in assenza di richiesta, non si è pronunciata sulla eventuale sussistenza del vincolo della continuazione tra il fatto da giudicare e i fatti già giudicati con sentenza definitiva e, comunque, la questione potrà essere sottoposta al giudice dell’esecuzione;
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 27/11/2024.