Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12187 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12187 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a RIMINI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/09/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria inviata in forma scritta dal Pubblico Ministero, in persona d Sostituto AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per mancanza di querela;
lette le conclusioni scritte inviate, per COGNOME NOME, dall’AVV_NOTAIO, che ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Perugia, giudicando in sede di rinvio a seguito della pronuncia di annullamento emessa dalla Quinta sezione di questa Corte in data 15 giugno 2021 (n. 27938/21 R.G.), in parziale riforma della sentenza resa in data 22 novembre 2017 dal Tribunale di Ancona, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 7), cod. pen., riduceva la pena inflitta agli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME nella misura di sei mesi di reclusione e 150,00 euro di multa ciascuno, confermando, nel resto, la condanna per il reato di tentato furto in concorso, aggravato dalla violenza sulle cose.
Hanno proposto distinti ricorsi gli imputati, per il tramite dei rispettiv difensori, deducendo, in modo sostanzialmente sovrapponibile, due motivi: l’uno, denunciante la violazione dell’art. 529 cod. proc. pen., in quanto la Corte di merito, una volta esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 7), cod. pen., avrebbe dovuto emettere sentenza di non doversi procedere per difetto di querela; l’altro, deducente vizio di motivazione sulla responsabilità per il furto contestato, assumendosi l’inottemperanza, in sede rescissoria, delle indicazioni fornite in sede rescindente e osservandosi, in particolare, che lo spadino in tesi utilizzato per l’effrazione sarebbe stato trovato nell’autovettura dello Spinelli e non in uso a quest’ultimo al momento dell’intervento degli operanti.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO di questa Corte, nella sua requisitoria, presentata in forma scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, e succ. mod., ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per mancata sussistenza di una condizione di procedibilità.
Osserva, in particolare, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO:
«La difesa avanza diversi motivi di ricorso. Purtuttavia deve darsi atto che (dagli atti in possesso a questo Ufficio) il mancato riconoscimento della aggravante ha comportato la procedibilità a querela del fatto reato.
Sulla base di quanto stabilito da codesta sezione, il decorso del termine di novanta giorni dall’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, senza che l’Autorità giudiziaria procedente riceva la prova dell’avvenuta presentazione della querela, impone, per effetto della modifica del regime di procedibilità del reato introdotta dal citato d.lgs., l’immediata declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela, non essendo previsto un formale avviso alla persona offesa della necessità della sua presentazione. (Sez. 1, n. 31451 del 07/06/2023, Rv. 284841 – 01).
Di conseguenza gli altri motivi appaiono del tutto assorbiti.»
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
Nella sentenza rescindente si è chiesto al giudice del rinvio di non limitarsi a una ricognizione parcellizzata degli indizi, ma di valutarne la coesione al fine di risolvere la loro singola ambiguità in una visione unitaria.
Ritiene il Collegio che a tale direttiva si sia attenuta la Corte di merito, illustrando, nella seconda pagina dei “motivi della decisione”, senza vizi di sorta nel suo percorso argomentativo, il complesso indiziario che ha condotto all’affermazione di responsabilità degli imputati per il tentato furto loro contestato.
Affermazione che non si basa, diversamente da quanto asserito da entrambi i ricorrenti, sulla sola disponibilità dello ‘spadino’ in capo allo COGNOME.
Per l’aspecificità che li connota, i ricorsi vanno, quindi, giudicati inammissibili.
Valutata l’inammissibilità dei ricorsi, la richiesta del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO di dare applicazione alla disciplina legislativa di nuovo conio, introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (art. 2, comma 1, lett. i) e relativa al mutato regime di procedibilità (tra l’altro) per i reati di furto aggravato (evidentemente anche se tentato), impone, anche alla luce delle richieste difensive (che prescindono dall’applicazione della nuova disciplina, ma mirano al medesimo obiettivo di far valere la mancanza della condizione di procedibilità), la necessità di operare un inquadramento normativo e sistematico della interazione tra la disciplina dell’inammissibilità del ricorso, come delineata dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, e gli interventi legislativi che introducano novità sul regime d procedibilità dei reati.
3.1. Il d.lgs. n. 150 del 2002 (cd. “Riforma Cartabia”), come si è anticipato, ha modificato la procedibilità d’ufficio di alcune fattispecie di reato (sia delitti c contravvenzioni), specificamente individuate dall’art. 2 del decreto citato, strutturato in un unico, complesso comma; tra queste, anche i reati di furto aggravato ex art. 625 cod. pen., da sempre procedibili d’ufficio.
Per effetto della novella, all’articolo 624, il terzo comma è sostituito dal seguente: «Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d’ufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto si commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis).».
In seguito alla conversione del decreto-legge di differimento dell’entrata in vigore della riforma – il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv. dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 – sono stati eliminati gli oneri di informazione della persona offesa a carico dell’autorità giudiziaria, mutuati da precedenti, analoghe novelle (legge n. 689 del 1981 e d.lgs. n. 36 del 2018) e già previsti dall’art. 85, comma 2, del
citato d.lgs. n. 150 del 2022, nella versione non entrata in vigore per effetto del differimento (art. 6 d.l. n. 162 del 2022).
Tale disposizione è stata espunta dalla norma transitoria fissata nel citato art. 85, sicché, attualmente, la presentazione della querela per il reato già procedibile d’ufficio è un onere “spontaneo” della persona offesa, chè manifesta così la volontà che si proceda o si continui a procedere.
Secondo l’opinione anche di una parte della dottrina, la scelta legislativa di optare per l’eliminazione degli oneri di informazione (sicuramente gravosi, anche per le consistenti dimensioni quantitative, in termini di numero di procedimenti interessati, dell’intervento di novella) è scaturita proprio dalla prolungata vacatio legis, (oltre due mesi), seguita al differimento dell’entrata in vigore della riforma, che ha consentito un periodo, in qualche modo, di “assorbimento” nel circuito sociale e giuridico del mutato regime di procedibilità.
Sono state inserite, inoltre, nel tessuto dell’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022, dalla citata legge n. 199 del 2022, nuove disposizioni transitorie, che pongono un’eccezione alla regola dello spontaneo attivarsi da parte della persona offesa per manifestare la volontà di querela (cfr. il nuovo testo del comma secondo dell’art. 85 cit.): essendo stata stabilita, infatti, la perdita di efficacia delle “misure caute/ari personali in corso di esecuzione … se, entro venti giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, l’autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela”, si è previsto un corrispondente onere di ricerca della persona offesa, ai fini della presentazione della querela, in capo all’autorità giudiziaria (che può avvalersi della polizia giudiziaria a tal fine) esclusivamente rispetto alle ipotesi, nelle quali, per il reato reso procedibile a querela, e per cui si procede, sia stata applicata e sia in esecuzione una misura cautelare.
L’innesto operato in sede di conversione del d.l. n. 162 del 2022 ha inserito, infine, due ulteriori disposizioni transitorie: un nuovo comma 2-bis dell’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 (si stabilisce che durante la pendenza dei termini per presentare la querela si applica l’art. 346 cod. proc. pen. quanto alla validità degli atti compiuti in mancanza di una condizione di procedibilità); un successivo comma 2-ter, ai sensi del quale “per i delitti di cui agli articoli 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima dell’entrata in vigore del presente decreto, continua a procedersi d’ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto”.
3.2. Svolta tale necessaria premessa, vi è da evidenziare come, per quel che rileva in questa sede, il fenomeno della modifica del regime di procedibilità di alcune figure di reato, sovente generato da aspirazioni di tendenziale “deflazione” del carico penale gravante sul sistema giudiziario nel suo complesso, non è
c
inconsueto e, anzi, di recente, ha interessato una serie di fattispecie delittuose, la procedibilità delle quali è stata trasformata da officiosa ad iniziativa di parte e delle quali le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di occuparsi.
Come noto, infatti, in occasione dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 36 del 10 aprile 2018, è stato affermato che, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguitili a querela per effetto di discipli normative sopravvenute ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, l’inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l’avviso previsto per l’eventuale esercizio del diritto di querela (Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, COGNOME, Rv. 273551).
All’esito di un’analisi della giurisprudenza di legittimità che ha costruito, nel corso degli anni, il paradigma del rapporto tra inammissibilità e “giudicato sostanziale”, indicando, progressivamente, le eccezioni alla regola del formarsi di quest’ultimo invalicabile passaggio decisorio (i passaggi fondamentali del percorso ermeneutico disegNOME dalle Sezioni Unite si ritrovano, tra tutte, nelle sentenze Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 2001, D L, Rv. 217266; Sez. U, n. 23428 del 22/3/2005, COGNOME, Rv. 231164; Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, COGNOME, Rv. 264207; Sez. U, n. 46653 del 26/6/2015, COGNOME, Rv. 265111; Sez. U, n. 47766 del 26/6/2015, COGNOME, Rv. 265107; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818; oggi, alla teoria appena esposta, si aggiunge Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, COGNOME, Rv. 283689), le Sezioni Unite hanno chiarito che:
a) deve escludersi che la sopravvenienza della procedibilità a querela e, ancor GLYPH prima, GLYPH la GLYPH procedura GLYPH finalizzata GLYPH all’eventuale GLYPH accertamento dell’improcedibilità per mancanza di querela a seguito dell’esito negativo della informativa data alla persona offesa (secondo il meccanismo transitorio per il “recupero” eventuale della potestà della parte privata di richiedere l’esercizio dell’azione penale previsto dalla novella del 2018), possano essere ritenute idonee ad operare come una ipotesi di aboliti° criminis (e finalizzazione all’accertamento di aboliti° criminis), capace di prevalere sulla inammissibilità del ricorso;
b) la sopravvenuta eventualità della improcedibilità, dovuta all’abbandono del regime di perseguimento di ufficio del reato, non opera come la richiamata ipotesi abrogativa, la quale è destinata ad essere rilevata anche in sede esecutiva, mediante la revoca della sentenza ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen. e per tale ragione – essenzialmente di economia processuale – è stata ritenuta dalla giurisprudenza apprezzabile anche in fase di cognizione ed in presenza di ricorso inammissibile.
È da escludere, infatti, sottolinea la sentenza COGNOME, che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità, sicché, anche nel giudizio di legittimità, la mancanza
di tale condizione viene comunemente trattata come una questione di fatto, soggetta alle regole dell’autosufficienza del ricorso (Sez. 6, n. 44774 del 8/10/2015, Raggi, Rv. 265343) ed ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (Sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010, S., Rv. 248568).
Pertanto, si conclude, non può dirsi che la declaratoria di inammissibilità del ricorso sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa all’epoca subentrata.
Per giungere a tali conclusioni, la sentenza COGNOME non ha mancato di osservare – su di un piano più squisitamente dogmatico – come la giurisprudenza di legittimità e la stessa dottrina abbiano accreditato la querela quale “istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell’an e del quomodo di applicazione del precetto, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen. (v., in tema di procedibilità d’ufficio per i reati di violenza sessuale, Sez. 5, n. 44390 del 8/6/2015, R., Rv. 265999 e Sez. 3, n. 2733 del 8/7/1997, COGNOME, Rv. 209188; in tema di procedibilità a querela introdotta per il reato di cui all’art. 642 cod. pen., Sez. 2, n. 40399 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 241862), giungendo per via interpretativa, quando non vi ha provveduto il legislatore con una specifica norma transitoria, alla conclusione della applicazione retroattiva dei soli mutamenti favorevoli (sostituzione del regime della procedibilità di ufficio con quello della procedibilità a querela), senza, tuttavia, che possa valere la ben più pregnante regola della cedevolezza del giudicato”.
Le Sezioni Unite – con un’esegesi che si rivela vieppiù utile nell’esame dell’odierna novella normativa, che, come si è anticipato, attraverso l’innesto operato dalla legge n. 199 del 2022, di conversione del decreto-legge n. 162 del 2022, ha elimiNOME la necessità degli avvisi, da parte dell’autorità giudiziaria, alla persona offesa “potenziale querelante” (salvo che per i procedimenti con misure cautelari personali in atto) hanno distinto il tema della verifica dell’esistenza della condizione di procedibilità, anche a seguito di sopravvenuta procedibilità a querela del reato, da quello della “remissione di querela” inizialmente proposta per reati che prevedevano tale regime non officioso di procedibilità, confrontandosi con le affermazioni di un’altra importante pronuncia del massimo collegio nomofilattico, Sez. U, n. 24246 del 25/2/2004, COGNOME, Rv. 227681, sentenza incentrata sulla “remissione di querela” che sia intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e sia stata ritualmente accettata.
La sentenza COGNOME ha precisato che il principio cui è approdata la pronuncia COGNOME la remissione di querela, nel determinare l’estinzione del reato, prevale su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, sempre che il ricorso sia stato tempestivamente proposto –
trae origine da un inquadramento della remissione della querela non tanto come istituto sostanziale, e per questo assimilabile alle altre cause di estinzione del reato, quanto istituto di natura che si potrebbe definire “ibrida” (sulla querela quale istituto di “natura mista, sostanziale e processuale…, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità”, v., da ultimo, Sez. 2, n. 14987 del 9/1/2020, Rv. 279197), differente dalle altre cause di estinzione in ragione della sua caratteristica capacità non soltanto di estinguere il diritto punitivo dello Stato, ma di paralizzare la perseguibilità stessa del reato.
Da tale natura ed attitudine consegue la massima estensione da attribuire al termine ultimo per la sua rilevazione, secondo il disposto dell’art. 152, terzo comma, cod. pen., e cioè fino alla condanna irrevocabile in senso formale, che è evenienza processuale sicuramente posteriore e indipendente dal fatto in sé della presentazione di un ricorso inammissibile e utile ai fini in esame, salvo il caso della inammissibilità per tardività.
La stessa sentenza COGNOME, tuttavia, come sottolineano le Sezioni Unite nel 2018, per centrare la propria posizione ermeneutica rispetto alla novella in esame ed operando un prezioso confronto non manca di rilevare, significativamente, che, in caso non di remissione, ma di “mancanza” di una condizione di procedibilità, la problematica appare “davvero non coincidente”.
Rimarcando tale diversità, pertanto, la sentenza COGNOME evidenzia come questa si riveli ancor più nelle ipotesi per le quali – come accade anche per le modifiche apportate dal d. Igs. n. 150 del 2022 – il confine ampliato utile alla rilevazione della remissione di querela, su un terreno che privilegia il dato cronologico (fino alla condanna irrevocabile e cioè al giudicato formale) su quello dei rapporti processuali validi, in linea AVV_NOTAIO, per le altre cause di non punibilità (pendenza del processo in ragione della presentazione di un ricorso ammissibile, e quindi mancata formazione del giudicato sostanziale) può valere per registrare gli effetti dell’esercizio (extra-processuale) del diritto potestativo della persona offesa a far cadere la già espressa manifestazione di volontà negoziale; ma non può valere per l’espletamento di un procedimento incidentale a effetto eventuale, quale quello a tutela della persona offesa, volto a verificarne la volontà nell’ottica della presentazione della querela.
Orbene, pur nella attuale, parziale diversità normativa tra la novella del 2018 e quella del 2022, derivata dall’eliminazione (fatta salva l’eccezione già richiamata) della necessità di dare avviso, da parte dell’autorità giudiziaria, alla persona offesa, circa il mutato regime di procedibilità, con conseguente previsione di un onere, gravante su quest’ultima, di manifestare, eventualmente, la propria volontà di proporre querela, non vi è dubbio che il nucleo centrale delle affermazioni delle Sezioni Unite COGNOME rimanga valido:
a) sia quanto all’affermazione principale secondo cui la sopravvenienza della procedibilità a querela non prevale sulla inammissibilità del ricorso, poiché, a differenza dell’ipotesi di aboliti° criminis, non è idonea a incidere sul c. d. “giudicato sostanziale”;
b) sia quanto alla distinzione tra l’ipotesi di “mancanza” della condizione di procedibilità (quale quella che consegue al mancato esercizio del diritto di parte successivo al mutato regime di procedibilità per l’intervento innovativo del legislatore) e quella di “remissione” della querela proposta sin dall’inizio relativamente a reati soggetti a tale regime di procedibilità non officiosa.
Solo in tale ultimo caso, infatti, è possibile riscontrare l’espressa manifestazione di volontà, da parte della vittima del reato o del soggetto legittimato a proporre querela, di recedere da quella “intenzione punitiva” che aveva in precedenza avanzato.
In conclusione, deve affermarsi che, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, deve escludersi che la sopravvenienza della procedibilità a querela, per effetto della novella normativa, sia idonea ad operare come un’ipotesi di aboliti° criminis, capace di prevalere sulla inammissibilità del ricorso e di incidere sul c. d. “giudicato sostanziale” (tra le più recenti sul tema, Sez. 4, n. 49513 del 15/11/2023, COGNOME, Rv. 285468; Sez. 4, n. 49499 del 15/11/2023, COGNOME, Rv. 285467; Sez. 5, n. 5223 del 17/1/2023, COGNOME, Rv. 284176; Sez. 4, n. 2658 del 11/1/2023, COGNOME, Rv. 284155; Sez. 5, n. 11229 del 10/1/2023, Popa, Rv. 284542).
4. Alla luce delle coordinate ermeneutiche sin qui tracciate deve essere risolta la fattispecie concreta sottoposta al giudizio del Collegio, posto che non risulta sia stata proposta querela, essendosi rinvenute in atti esclusivamente le s.i.t. rese in data 26 maggio 2016 da NOME COGNOME, presumibile proprietaria della Ford Fiesta oggetto del tentato furto.
Diversamente da quanto si assume nei ricorsi, tuttavia, la querela, nel caso in esame, non si sarebbe resa necessaria in quanto, venuta meno l’aggravante di cui all’art. 625, n. 7), cod. pen., sarebbe residuata la fattispecie del furto ‘semplice’ di cui all’art. 624 cod. pen.: invero, dal tenore del capo d’accusa si evince che risulta contestata, seppure in fatto, anche l’aggravante della violenza sulle cose di cui all’art. 625, n. 2), cod. pen., la doglianza sulla quale è stata giudicata manifestamente infondata dalla sentenza rescindente della Quinta sezione di questa Corte indicata in premessa.
È per tale ragione che è stato preso in considerazione il d.lgs. n. 150 del 2022 (che, nel caso del furto semplice, da sempre procedibile a querela, ovviamente non avrebbe avuto alcun rilievo), che ha reso procedibile a querela il furto
aggravato, con alcune eccezioni, tra le quali non rientra l’aggravante di cui 2) dell’art. 625 cod. pen., con la conseguente necessità della verifica dell’eventuale esistenza della condizione di procedibilità.
Ciò precisato, e ribadito che i ricorsi degli imputati devono riten inammissibili poiché genericamente formulati, in quanto alieni da un confronto effettivo con il tessuto motivazionale correttamente ordito dalla sente impugnata, va conclusivamente affermato che, nella specie, il mutato regime di procedibilità del reato non determina, pur in assenza della querela, alc possibilità di incidere su un “giudicato sostanziale” che si è già formato ed effetti retroagiscono, per la declaratoria di inammissibilità, al momento mancato instaurarsi di un valido rapporto processuale.
All’inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. p la condanna dei ricorrenti che li hanno proposti al pagamento delle spe processuali, nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla cau inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favo della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro tremila.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2023.