Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 989 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 989 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 06/01/1978
avverso la sentenza del 23/02/2024 della Corte d’appello di Potenza lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto la declaratoria di
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Potenza ha confermato la condanna resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede, in data 18 dicembre 2020, nei confronti di NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 110, cod. pen., 12, comma 3, lett. a) e d), comma 3ter lett. b), comma 5, d. lgs. n. 286 del 1998.
Il primo giudice aveva condannato l’imputato per i re ati ascrittigli, con assorbimento del reato di cui all’art. 12, comma 5, TU Imm., in quello di cui al comma 3, lett. a) e d), TU Imm., alla pena di anni quattro mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed euro 16.667 di multa, oltre sanzioni accessorie interdittive.
Propone tempestivo ricorso per cassazione l’i mputato, per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME denunciando due vizi con i motivi di seguito riassunti, nei limiti di cui all’ art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale e processuale, nonché mancanza di motivazione e travisamento della prova.
2.1.1. La sentenza contiene motivazioni apparenti e, comunque, si presenta contraddittoria; questa si limita a condividere l’ iter logico e argomentativo della sentenza di primo grado senza rispondere, se non in maniera apparente, ai motivi di impugnazione.
La sentenza, per il ricorrente, analizza la posizione dell’imputato soltanto nelle p. da 2 a 3 e si limita a svolgere motivazione succinta, peraltro, determinata da una lettura sommaria sia degli atti processuali, sia dell’atto di appello.
Si sostiene, in primo luogo, l’assenza fisica della motivazione che consente di comprendere le ragioni per la quale è stata pronunciata conferma della sentenza di primo grado.
In particolare, si rimarca che la motivazione elenca soltanto gli elementi di prova, senza spiegarne il contenuto, rimandando ad aspetti generici e indistinti, nonché al compendio probatorio in atti (si richiama precedente di legittimità Sez. 5, n. 12110 del 9/03/2023 su motivazione apparente).
Non si indicano elementi specifici dai quali trarre la partecipazione del ricorrente all ‘ indicata protesta di alcuni stranieri che pretendevano la restituzione del danaro sborsato.
In secondo luogo, quanto al ruolo e al contributo causale fornito dal ricorrente, si richiama la motivazione di primo grado dove si evidenzia un sistema illecito che necessitava dell’apporto fattivo di due imprenditori del metapontino i quali davano disponibilità ad assumere stranieri, presso le proprie aziende, mettendo a disposizione credenziali di accesso, subordinatamente a un ritorno economico personale.
Non si rende alcuna spiegazione, però, rispetto alla doglianza difensiva svolta sul punto, con conseguente violazione degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen.
Si sostiene che, nel caso in esame, manca qualunque valutazione critica del materiale probatorio, alla luce di quanto dedotto dalla difesa nell’atto di appello,
sicché non è possibile comprendere quali siano i passaggi che fondano il convincimento del giudice, mancando una motivazione individualizzante per ciascuno degli imputati.
Le conclusioni, cui sono giunti i giudici del gravame, vanno disattese, a parere del ricorrente, in base alla lettura del controesame del teste maresciallo NOMECOGNOME come riportata nell’atto di appello, il quale aveva ammesso di non aver fatto accertamenti ulteriori rispetto a quelli documentati.
In definitiva, i giudici di merito hanno ritenuto sufficienti i riscontri di indagini raccolti a carico di soggetti diversi (Saturnino e Tariq) per i quali si sono verificati i pagamenti postepay ed intercettazioni, elementi di prova che sono stati traslati per affermare la responsabilità del ricorrente.
Si devolve, dunque, alla Corte di cassazione la necessaria verifica della correttezza del procedimento logico cui è pervenuta la Corte territoriale nel confermare la responsabilità, percorso che, a parere della difesa, è parziale e illogico, attraverso il travisamento della prova dichiarativa, nonché in mancanza di accertamenti circa la capacità aziendale di assorbire manodopera oltre alla presenza di lavoratori nell’azienda, elementi che costituiscono presupposto della richiesta di assunzione finalizzata al rilascio del nullaosta per la concessione dei visti di cui alla normativa sui flussi.
2.1.2. Nell’atto di appello si specificava anche la carenza di prova circa la circostanza aggravante del profitto.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto, dalle conversazioni intercettate, che gli imputati avessero agito con il fine di profitto per aver percepito un compenso in denaro per ciascuna pratica trattata e che tale aspetto fosse sufficiente a integrare la nozione giuridica di profitto. La sentenza impugnata non offre indicazioni sul punto, avendo giustificato il riconoscimento della circostanza aggravante sulla base di presunzioni imperniate sull’esistenza di un collaudato sistema illecito, il quale necessitava dell’apporto fattivo di due imprenditori, i quali erano disponibili ad assunzioni formali di stranieri presso le aziende, mettendo a disposizione le proprie credenziali di accesso subordinatamente a un ritorno personale economico.
La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ha qualificato la circostanza aggravante come di natura soggettiva, quindi non applicabile ai concorrenti che, pur consapevoli del profitto altrui, non abbiano agito in base a tale finalità.
Si assume che nessuna prova è stata esaminata e indicata dai giudici di merito circa la sussistenza della circostanza aggravante di cui al comma 3ter dell’art. 12 TU Imm. Anzi, la Corte di appello si affiderebbe a una motivazione circolare, parcellizzando la portata delle risultanze favorevoli al ricorrente e riproducendo quelle acquisite e indicate dal primo giudice, oppure travisandole, dando decisivo rilievo alla mancanza di riscontri della tesi difensiva,
ragionamento dal quale, però, non è possibile ricavare elementi di prova a carico dell’imputato.
Sicché, il provvedimento impugnato offre una motivazione non adeguata a superare il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen. e 12, comma 3 lett. a) e d), comma 3ter lett. b), TU Imm. nonché vizio di motivazione quanto alla partecipazione concorsuale.
Ai concorrenti nel reato si contesta di aver proceduto in concorso, con condotte volte, verso compenso, a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari privi di valido titolo in quanto conseguito mediante richieste di assunzione ideologicamente false, finalizzate al rilascio di nulla osta per la concessione del visto ai sensi della cd. normativa flussi.
Nel processo di primo grado veniva esclusa la condotta associativa. Invero il primo giudice escludeva, nell’assolvere l’imputato da tale contestazione, l’esistenza di riscontri sulle modalità di flussi di danaro tra gli imputati e sul ruolo svolto da ciascuno di questi nell’organizzazione esistente, avuto riguardo alla diversa origine dei cittadini extracomunitari e alla carenza di collegamenti tra i collettori delle richieste avanzate dagli stranieri e i datori di lavoro, riscontrando lacune investigative su tali punti.
Né il Tribunale né la Corte d’appello si soffermano sull ‘ assoluzione dal reato di cui all’art. 416 cod. pen.
La sentenza della Corte d’appello non ha considerato le doglianze difensive, poste a base dell’atto di impugnazione perché con l’appello, da un lato, si chiariva l’inesistenza di dati certi atti a contribuire a integrare l’ipotesi concorsuale e, dall’altro, si segnalava l’inconsistenza del contributo causale alla realizzazione del delitto di cui all’art. 12, comma 3, lett. a) e d), comma 3ter TU Imm.
La Corte territoriale dedica poche righe alla motivazione su tale punto, senza fornire un’autonoma valutazione ma richiamandosi per relationem , alla sentenza di primo grado.
Nulla è stato precisato quanto all’elemento soggettivo richiesto in capo al concorrente circa la consapevole rappresentazione della volontà di cooperare con soggetti terzi alla condotta criminosa.
Vi sarebbe, per il ricorrente, carenza di contributo causale nonché del profitto insito nel compimento del reato contestato, dovendosi giungere quanto meno alla riqualificazione del fatto con esclusione della circostanza aggravante.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ai sensi degli artt. 614, 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art.
11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del d.l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, in assenza di richiesta di trattazione in pubblica udienza nel termine di legge.
Il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME ha fatto pervenire dichiarazione di adesione all’astensione relativa all’odierno ricorrente (sebbene con indicazione di un diverso numero di ruolo n. 30161).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente deve osservarsi che il difensore ha fatto pervenire dichiarazione di adesione all’astensione di categoria, indetta anche per l’odierna udienza, con p. e. c. trasmessa in data 24 ottobre 2024.
Tuttavia, il Collegio osserva che, nel giudizio di cassazione, in assenza di tempestive richieste di discussione orale, deve essere considerata priva di effetti l’istanza di rinvio presentata dal difensore che dichiari di aderire all’astensione collettiva proclamata dai competenti organismi di categoria, non essendo previsto il diritto di partecipare all’udienza camerale (in tema di rito emergenziale, cfr. Sez. 5, n. 26764 del 20/04/2023, Dalla COGNOME, Rv. 284786 01: in motivazione la Corte ha precisato che il rinvio può essere concesso solo in relazione ad atti o adempimenti per i quali sia prevista la presenza del difensore e che, dunque, in caso di trattazione scritta, rimangono del tutto irrilevanti, ai fini dell’accoglimento dell’istanza, ulteriori circostanze quali la data di scadenza del termine previsto per la trasmissione delle conclusioni o se tale termine ricada nel periodo di astensione; conf. Sez. 4, n. 42081 del 28/09/2021, Rv. 282067 01).
1.Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è inammissibile per plurime ragioni di seguito illustrate.
1.1.1. La prima critica relativa all’operato richiamo per relationem , da parte dei giudici di appello, alla sentenza di primo grado, è manifestamente infondata.
La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in caso di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione; sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito finiscono per costituire una
sola entità (sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 197250; sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615).
Quanto al secondo profilo di critica, si osserva che il motivo di ricorso opera continuo riferimento alle contestazioni svolte con l’atto di appello, senza , però, illustrarle o riportarle per esteso e, comunque, senza rapportare il singolo argomento devoluto con il gravame con la motivazione resa dalla Corte territoriale, con evidenti profili di genericità dell’impugnazione.
Si rileva che la sostanziale riproposizione dei motivi di appello conduce all’aspecificità del ricorso: tale situazione va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel succitato vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., all ‘ inammissibilità della impugnazione (cfr. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, COGNOME, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230634).
Ancora il primo motivo di ricorso, in relazione al dedotto travisamento della prova testimoniale resa dal teste indicato, è generico e, in più punti, tende a confrontarsi con le risultanze probatorie, solo citate o riportate per estratto (controesame del teste NOME), o riassunto.
Peraltro, è noto, quanto al denunciato travisamento delle emergenze probatorie, che conformemente all’indirizzo di questa Suprema Corte (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258438) nel caso di cd. doppia conforme, il vizio di omessa valutazione di una prova indicata come decisiva, possa essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto, come oggetto di valutazione, nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Inoltre il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la decisiva forza dimostrativa del dato probatorio, fermi restando il limite del devolutum e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774).
Detta decisività non si rinviene nella specie, analizzando il complessivo ragionamento, non manifestamente illogico, dei giudici di merito.
In ogni caso, la lettura congiunta dei convergenti provvedimenti di merito (cfr. nel senso che, in caso di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. cit.) consente di reputare ricostruiti, in modo ineccepibile e non manifestamente illogico, i rapporti con i coimputati da parte dell’odierno ricorrente.
Questi, secondo la motivazione di primo grado, è risultato collettore e promotore delle istanze propedeutiche all’inserimento fraudolento delle domande di accesso al titolo di ingresso nello Stato (cfr. p. 3 e ss. della sentenza di primo grado), indicate come non rispondenti ad una genuina necessità aziendale degli imprenditori coinvolti, ma avanzate al solo fine di trarne un profitto.
I provvedimenti di merito rendono conto, infatti, di conversazioni, intrattenute tra la coimputata NOME e l’imputato, che rispecchiano l’attività illecita descritta, documentano il numero di istanze prodotte, tutte precedute da un acconto che oscillava tra i 250 e i 300 € a persona .
La tesi accusatoria, secondo il giudice di primo grado, peraltro, aveva trovato conforto nell’acquisizione della documentazione amministrativa, la quale aveva confermato che gli imprenditori lucani avevano avanzato numerosissime istanze di nullaosta, con esito positivo, senza che, però, fosse seguita a tale iter l’ instaurazione effettiva del corrispondente rapporto di lavoro.
L’attività captativa, di cui rendono conto i provvedimenti di merito, aveva permesso anche di verificare che lo Sportello Unico per l’immigrazione, competente a valutare le istanze in esame, era quello di Matera e che gli imprenditori coinvolti sono stati COGNOME e COGNOME. Si fa riferimento anche a una specifica conversazione (n. 2426/11), tra COGNOME e il ricorrente, nella quale i conversanti si intrattengono proprio sul fatto che era NOME COGNOME a prendere in carico le istanze raccolte dal concorrente nel reato COGNOME il quale svolgeva, insieme al ricorrente odierno, l’attività di intermediazione nel sistema finalizzato alla raccolta delle istanze (cfr. p. 4).
Anzi a p. 5 e ss. della sentenza di primo grado si fa riferimento a una serie di messaggi intercettati, decritti come idonei a dimostrare la fondatezza della prospettazione accusatoria perché, secondo il ragionamento immune da illogicità manifesta svolto dai giudici di merito, attestano la natura dei rapporti intrattenuti dal ricorrente con la COGNOME, rapporti nei quali i due si intrattenevano a conversare di danaro, codici fiscali e numeri di postepay , informazioni scambiate tra i due, indicate come fondamentali per portare avanti il traffico illecito. I
contatti tra i conversanti sono descritti come frequentissimi e aventi ad oggetto scambi di danaro, con riferimento a soggetti stranieri che dovevano pagare.
Si tratta di conversazioni che non hanno trovato, per i giudici di merito, altra spiegazione se non nella natura del rapporto illecito finalizzato all’immigrazione clandestina.
Inoltre, a p. 6 e ss. viene spiegata anche la piena consapevolezza dell’imputato relativamente al reato ascrittogli e si specifica che NOME, insieme ad altri imputati, è stata giudicata separatamente con sentenza di condanna. Questa viene descritta come il soggetto che, insieme ad altra persona, gestiva i rapporti con i vari enti istituzionali e teneva contatti con gli intermediari, cioè con gli stranieri impegnati a raccogliere le richieste di soggiorno in Italia, tra cui l’odierno ricorrente (cfr. p. 3 della sentenza di primo grado).
Si tratta di circostanze, individualizzanti e specifiche, che non risultano puntualmente confutate dal ricorrente il quale, con il motivo di ricorso, fa generico rinvio alle censure contenute nei motivi di appello, senza spiegarne lo specifico contenuto e senza rapportarlo alla motivazione congiunta delle sentenze di merito.
1.1.2. Il secondo aspetto censurato con il primo motivo di ricorso è inammissibile.
In primo luogo, la censura si riferisce a ‘ ricorrenti ‘ mentre il ricorso è presentato solo per NOME COGNOME.
In secondo luogo, il fine di profitto viene reputato immanente da parte della Corte di appello, escludendosi la tesi difensiva che voleva l’ingresso nel territorio nazionale di soggetti extracomunitari dovuto a casi cd. umanitari.
Sul punto, va rilevato che la motivazione della Corte di appello è veramente stringata, ma anche il motivo di ricorso non offre argomenti che possano consentire un intervento da parte del giudice di legittimità.
Del resto, la Corte d’appello contrasta , in maniera univoca e immune da illogicità manifesta, la tesi difen siva della legittimità dell’ingresso degli immigrati, facendo riferimento al contenuto delle intercettazioni telefoniche, nonché agli accordi tra i compartecipi e gli immigrati, circostanze reputato, con ragionamento ineccepibile, sufficienti alla configurazione, oltre ogni ragionevole dubbio, del reato di cui all’art. 12 cit. e alla sussistenza della circostanza aggravante del fine di profitto.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Quanto alla condotta concorsuale e alla sussistenza dell’elemento psicologico, che il ricorrente afferma dover essere rivista per effetto della pronunciata assoluzione per il reato associativo, avvenuta in primo grado, si osserva che la critica non tiene conto delle argomentazioni svolte dai convergenti
provvedimenti di merito nella parte in cui fanno riferimento alle prove emergenti dalle intercettazioni, reputate idonee a configurare, con ragionamento ineccepibile, una condotta materiale a fronte della quale risulta assertiva la dedotta carenza di elemento psicologico e la mancanza di contributo individuale da parte del ricorrente.
Segue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, la condanna alle spese processuali, nonché al pagamento dell’ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 6 novembre 2024