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Ricorso inammissibile: doglianze di fatto e limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile contro una condanna per il reato di dichiarazione infedele (art. 4, D.Lgs. 74/2000). I motivi del ricorrente sono stati considerati semplici doglianze di fatto, non consentite in sede di legittimità. La condanna originaria era basata su accertamenti della Guardia di Finanza che evidenziavano discrepanze tra bilanci e dichiarazioni. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Non Riesamina i Fatti

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità, ribadendo un principio fondamentale del nostro ordinamento: non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione per ottenere una nuova valutazione delle prove. Il caso riguarda una condanna per reati fiscali e la successiva dichiarazione di ricorso inammissibile, una decisione che sottolinea la netta distinzione tra questioni di fatto e questioni di diritto.

Il Caso: Condanna per Dichiarazione Infedele

Un contribuente veniva condannato per il reato continuato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 74 del 2000. La condanna, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello, si fondava su prove concrete: gli accertamenti analitici condotti dalla Guardia di Finanza avevano fatto emergere una chiara discordanza tra i bilanci societari e le dichiarazioni fiscali presentate. Questa discrepanza, secondo i giudici di merito, costituiva la prova dell’infedeltà della dichiarazione e, di conseguenza, della responsabilità penale dell’imputato.

I Motivi del Ricorso e la Risposta della Corte

L’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale e un vizio di motivazione. Sostanzialmente, il ricorrente affermava che la sua condanna si basasse su accertamenti incompleti e mere presunzioni, elementi che, a suo dire, non erano sufficienti a superare il principio del “ragionevole dubbio”.

La Suprema Corte, tuttavia, ha respinto completamente questa linea difensiva. I giudici hanno qualificato le argomentazioni del ricorrente come semplici “doglianze in punto di fatto”, ossia tentativi di rimettere in discussione l’analisi delle prove già effettuata nei precedenti gradi di giudizio.

Il Ricorso Inammissibile e i Limiti del Giudizio

La Corte ha chiarito che il suo ruolo non è quello di un “terzo grado” di giudizio dove si possono riesaminare i fatti. Il sindacato di legittimità si concentra esclusivamente sulla corretta applicazione delle norme giuridiche e sulla logicità della motivazione. Proporre una diversa lettura delle prove, senza indicare specifici errori di percezione da parte del giudice (il cosiddetto “travisamento della prova”), equivale a chiedere un nuovo giudizio sul fatto, cosa non consentita in Cassazione. Poiché il ricorso si limitava a prospettare genericamente una rivalutazione delle fonti probatorie, è stato inevitabilmente dichiarato inammissibile.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni alla base della decisione sono nette e lineari. La Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello aveva adeguatamente giustificato la condanna, basandosi sugli accertamenti della Guardia di Finanza. Questi accertamenti, che dimostravano la mancata corrispondenza tra bilanci e dichiarazioni, non erano stati specificamente e puntualmente contestati dal ricorrente nel suo ricorso. Le lamentele erano rimaste su un piano generico, senza individuare vizi logici o giuridici nella sentenza impugnata. Di fronte a una motivazione solida da parte del giudice di merito e a un ricorso basato su contestazioni fattuali, la Corte non ha potuto fare altro che dichiararne l’inammissibilità.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche per il Ricorrente

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non è priva di conseguenze. In applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, la Corte ha condannato il ricorrente a sostenere due oneri economici: il pagamento delle spese del procedimento e il versamento di una somma, fissata in 3.000 euro, a favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito sull’importanza di redigere ricorsi per Cassazione che si concentrino su questioni di diritto e vizi di motivazione specifici, evitando di trasformarli in un improprio tentativo di ottenere un terzo giudizio di merito.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Perché si limitava a contestare la valutazione dei fatti e delle prove già compiuta dai giudici dei gradi precedenti, presentando delle “doglianze in punto di fatto” che non sono consentite nel giudizio di legittimità della Corte di Cassazione.

Su quali elementi si basava la condanna per dichiarazione infedele?
La condanna si fondava su analitici accertamenti della Guardia di Finanza che avevano rilevato una palese mancata corrispondenza tra i bilanci aziendali e le dichiarazioni dei redditi presentate, dimostrando così l’infedeltà di queste ultime.

Quali sono le conseguenze economiche per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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