Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14341 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14341 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Albania il 7/9/1975
avverso la sentenza del 28/5/2024 della Corte di appello di Roma
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso ,
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 maggio 2024 la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa città il 19 ottobre 2021, con cui NOME COGNOME è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di corruzione e interrogazioni abusive del sistema informatico di cui ai capi A) e B) dell’imputazione.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge in tema di inutilizzabilità dei tabulati telefonici dell utenze dell’imputato, in quanto le intercettazioni telefoniche sarebbero state effettuate in un altro procedimento penale, relativo a reati di stupefacenti, nel quale il ricorrente non era stato neanche iscritto nel registro degli indagati. Secondo la difesa, il Collegio di appello, pur muovendo dalla corretta lettura degli enunciati della sentenza delle Sezioni unite n. 51 del 28/11/2019, COGNOME, Rv. 277395 – 01, avrebbe trascurato l’obiettiva diversità storica tra i fatti ascritti all’imputato e quelli che costituivano l’oggetto delle indagini, nel cui ambito erano state disposte le operazioni di intercettazione.
2.2. Violazione di legge e motivazione apparente, stante l’inutilizzabilità dei risultati degli accertamenti tecnici, svolti sui cellulari sequestrati, in mancanza delle garanzie ex art. 360 cod. proc. pen. Gli accertamenti tecnici sui telefoni sarebbero da considerare irripetibili, in quanto per loro natura i dati, contenuti all’interno dei telefoni cellulari, avrebbero natura “volatile”. L’attività estrapolazione sarebbe avvenuta su iniziativa del Pubblico ministero, senza i caratteri di urgenza, così che si sarebbe dovuto dare avviso agli interessati. Stante l’assenza di tale avviso, non sarebbe stato possibile per il difensore, l’indagato ovvero un consulente tecnico di parte verificare la regolarità delle operazioni compiute.
2.3. Violazione di legge e vizi della motivazione per non essere la fattispecie di cui all’art. 319 cod. pen. stata riqualificata in quella meno grave di cui all’ar 346-bis cod. pen. Nel caso in esame, l’attività, posta in essere, sarebbe consistita nel mettere in relazione i vari soggetti con il pubblico ufficiale. Non sarebbe stata raggiunta la piena prova che fosse stato l’imputato a retribuire direttamente il pubblico ufficiale per l’attività illecita.
2.4. Violazione di legge e illogicità della motivazione per la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., nonostante il buon comportamento processuale e l’esiguità del vantaggio economico ottenuto.
Con atto del 16 ottobre 2024 è stato dedotto il quinto motivo del ricorso, concernente vizi della motivazione in tema di dosimetria della pena base. Ricordati i principi enunciati da questa Corte in ordine all’obbligo di motivazione del giudice del merito sul punto, il ricorrente ha lamentato che il trattamento sanzionatorio sarebbe stato determinato in maniera impropriamente rigorosa, muovendo da una pena base superiore al minimo edittale.
Con atto del 31 ottobre 2024 sono stati depositati motivi aggiunti, con cui sono stati dedotti:
4.1. GLYPH Inutilizzabilità GLYPH dei GLYPH tabulati GLYPH telefonici GLYPH delle GLYPH utenze GLYPH impiegate dall’imputato, utilizzati dal Tribunale a fini decisori. Premesso che la normativa nazionale si era adeguata ai dettami provenienti dalla sentenza resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2 marzo 2021, prescrivendo, per l’acquisizione di quei dati, il vaglio autorizzativo dell’organo giurisdizionale o, nei casi di urgenza, la sua convalida postuma, il ricorrente ha dedotto che, nel caso in esame, il materiale sarebbe stato acquisito senza l’autorizzazione giudiziale e, quindi, sarebbe inutilizzabile per la decisione. A sostegno di tale doglianza il ricorrente ha proposto un’articolata e diffusa rassegna sia della giurisprudenza nazionale ed europea, ritenuta pertinente all’argomento, sia dei rilievi svolti in ambito parlamentare in concomitanza alla procedura di conversione del decreto 132/2021, per suffragare la tesi dell’applicabilità con efficacia ex tunc di quella disciplina.
4.2. Inutilizzabilità dei risultati prodotti dalle intercettazioni telefonic poiché effettuate nell’ambito di un altro procedimento; inoltre, in assenza del decreto di proroga del termine delle indagini preliminari, tutti gli esiti investigativi sarebbero inutilizzabili. Sono state riportate poi diffuse argomentazioni sulle tematiche della tempistica delle iscrizioni, dei termini di durata massima delle indagini preliminari e della ragionevole durata del processo. Inoltre, le modalità di escussione dei testi dell’accusa avrebbero di fatto condotto all’introduzione del materiale probatorio processuale delle informative di reato, riportando e interpretando il testo delle conversazioni intercettate: il che avrebbe integrato una nullità di ordine generale delle deposizioni assunte.
4.3. Sono state reiterate le deduzioni formulate con il secondo motivo del ricorso.
4.4. Sono stati riprodotti i rilievi svolti nel terzo motivo del ricorso cir l’esclusione del concorso dell’imputato nel reato di cui agli artt. 319 – 321 cod. pen., difettando la prova che questi avesse ricevuto denaro o altre utilità e che avesse svolto attività di mediazione tra il Carabiniere NOME COGNOME e i destinatari delle informazioni da questi indebitamente apprese. Parimenti, non vi sarebbe prova che le ricariche sulle postepay del militare fossero state effettivamente eseguite dall’imputato.
4.5. E’ stata censurata l’affermazione di responsabilità per i fatti di cui al capo B), ponendosi in evidenza come fosse rimasto del tutto oscuro il contributo riferibile all’imputato. Non ci sarebbe stato il concorso dell’estraneo nel reato proprio, ma il concorso ordinario nel reato. Inoltre, nulla avrebbe indicato che
l’imputato fosse a conoscenza della particolare metodica illecita praticata dal militare.
4.6. Sono stati reiterati i rilievi censori sulla pena base, superiore al minimo edittale, e si è dedotto che il Giudice del merito avrebbe errato nel non considerare la sostanziale unitarietà delle condotte corruttive e di accesso abusivo, tutte dirette verso un unico fine e consumate senza sostanziali soluzioni di continuità. Secondo il ricorrente, ricorrerebbe non un’ipotesi di concorso formale, ma di assorbimento delle diverse condotte in quella più grave, con conseguente necessità di revisione della severa dosimetria adottata.
Con memoria del 10 febbraio 2025 sono stati sostanzialmente reiterati i rilievi censori già formulati nei precedenti atti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va innanzitutto rilevato, come già disposto in udienza, che l’istanza di rinvio della trattazione del processo, presentata dal difensore del ricorrente il 21 febbraio 2025 per un concomitante impegno professionale, non era meritevole di accoglimento.
L’art. 420 ter cod. proc. pen. prevede espressamente che il giudice rinvia l’udienza quando l’assenza del difensore è dovuta a legittimo impedimento, “purché” prontamente comunicato. La “pronta comunicazione” del legittimo impedimento del difensore, quindi, è condizione necessaria perché la richiesta di differimento dell’udienza possa essere accolta.
Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 4708 del 27.3.92, COGNOME, Rv. 190828 – 01) hanno affermato che l’impedimento è “prontamente” comunicato quando tale comunicazione avvenga “non appena” conosciuta la contestualità degli impegni professionali. La “prontezza” della comunicazione, pertanto, va determinata con riferimento al momento in cui il difensore ha conoscenza dell’impedimento.
Come osservato nella citata sentenza, si tratta di un criterio sufficientemente determinato, che non solo fornisce un’indicazione concreta di agevole e omogenea applicazione, ma consente altresì di perseguire efficacemente lo scopo per cui il requisito della tempestività della comunicazione è stato previsto, ossia consentire al giudice, a cui è chiesto il rinvio, gl accertamenti eventualmente necessari e fare in modo che l’eventuale rinvio avvenga in tempo utile per evitare disagi alle altre parti o disfunzioni giudiziarie.
Questa interpretazione, del resto, si pone in piena consonanza con i principii costituzionali della ragionevole durata dei processi e dell’efficienza della
giurisdizione, che non tollerano la “perdita” ingiustificata di utili trattazioni processi nei ruoli di udienza già fissati.
Nel solco del dictum delle Sezioni Unite, le successive pronunce di questa Corte (Sez. 6, n. 16054 del 2/4/2009, COGNOME, Rv. 243524 – 01; Sez. 5, n. 27174 del 22/4/2014, COGNOME, Rv. 260579 – 01; Sez. 2, n. 47159 del 22/10/2019, COGNOME, Rv. 277802 – 01) hanno sempre ribadito che la tempestività della comunicazione dell’impedimento a comparire del difensore, per concorrente impegno professionale, deve essere valutata, ai fini della decisione sulla richiesta di rinvio, in riferimento al momento in cui il difensore stesso ha avuto cognizione dell’impedimento.
Nel caso in esame, il difensore di fiducia del ricorrente ha presentato a questa Corte istanza di differimento dell’udienza per concomitante impegno professionale, ma non ha neanche indicato la data in cui ha avuto conoscenza della contestualità degli impegni; né ha allegato documentazione idonea a verificare la tempestività della richiesta.
Ne consegue che la difesa non ha offerto elementi atti a consentire la valutazione sull’avvenuta o meno “pronta comunicazione” dell’impedimento, che, per quanto prima detto, è condizione per l’accoglimento dell’istanza di rinvio.
Tale rilievo risulta dirimente ed esime dalla disamina relativa alla sussistenza degli altri presupposti necessari al fine di ottenere un rinvio per legittimo impedimento del difensore.
2. Tanto premesso, va rilevato che il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha evidenziato che non corrispondeva alla realtà che il materiale intercettivo, impiegato dal Tribunale, provenisse da un procedimento diverso dall’attuale.
In tal senso deponevano incontestabili dati di fatto secondo i quali: – a carico del ricorrente risultava originariamente iscritto il procedimento 16709/2018 R.G.N.R. per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 (tanto si evinceva dal semplice esame dei decreti autorizzativi dell’attività tecnica); – lo sviluppo delle indagini aveva fatto rapidamente emergere gravi indizi anche in ordine alle ipotesi delittuose oggetto del presente giudizio. Già con il decreto autorizzativo reso il 19 luglio 2018 il Giudice per le indagini preliminari capitolino aveva dato conto della sussistenza di sufficienti indizi degli ipotizzati delitti d corruzione e accesso abusivo a sistema informatico, attribuiti al ricorrente e al carabiniere NOME COGNOME nell’ambito dello stesso procedimento n. 16709/18; – erano seguiti altri provvedimenti autorizzativi e di proroga
dell’attività tecnica, riferiti alla provvista indiziaria venutasi a delineare c riguardo ai reati di cui agli artt. 81, 319, 615-ter cod. pen.
L’attività tecnica di intercettazione e i decisivi risultati, che essa aveva prodotto, si collocavano, quindi, nella loro sede fisiologica e naturale, cioè proprio il procedimento concernente e comprendente anche la notizia dei reati contestati e ritenuti nei riguardi del ricorrente e, in separata sede processuale, di NOME COGNOME.
Anche il secondo motivo, relativo all’inutilizzabilità dei risultati degl accertamenti tecnici, è manifestamente infondato.
Il Giudice di primo grado aveva diffusamente dato conto della metodica impiegata per l’estrazione e l’analisi dei dati memorizzati negli apparecchi telefonici, motivatamente escludendo che si fosse trattato di un’operazione tecnica irripetibile.
Il Collegio di appello, in linea con l’insegnamento di questa Corte (Sez. 1, n. 38909 del 10/06/2021, COGNOME Rv. 282072 – 01), ha osservato che l’estrazione di dati archiviati in un supporto informatico, qual è la memoria di un telefono cellulare, non costituisce un accertamento tecnico irripetibile e ciò neppure dopo l’entrata in vigore della legge n. 48/2008, che ha introdotto unicamente l’obbligo di adottare modalità acquisitive idonee a garantire la conformità dei dati informatici acquisiti a quelli originali, con la conseguenza che né la mancata adozione di tali modalità né la mancata interlocuzione delle parti al riguardo comportano l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti, ferma l necessità di valutare in concreto la sussistenza di eventuali alterazioni dei dati originali e la corrispondenza ad essi di quelli estratti.
Ne discende che, in caso di mancato rispetto dei protocolli tecnici di comportamento, possono derivare soltanto effetti sull’attendibilità della prova conseguente all’accertamento male eseguito (in termini generali, cfr., altresì, Sez. 5, n. 8893 del 11/01/2021, COGNOME, Rv. 280623 – 01).
Nel caso in esame, però, l’attendibilità della prova non è stata revocata in dubbio dal ricorrente.
Il terzo motivo, concernente l’affermazione di responsabilità per le condotte corruttive di cui al capo A) dell’imputazione, è privo di specificità, oltre che non consentito.
La Corte di appello ha affermato che «il dato documentale e l’intera ricostruzione della vicenda indicavano senza dubbio che le dazioni di denaro erano state effettuate dall’imputato, che le aveva previamente concordate con il Carabiniere NOME COGNOME quale corrispettivo per le controprestazioni illecite,
che l’imputato aveva interesse a ricevere e le cui tracce erano state tutte rinvenute in suo possesso. A tacer d’altro, nella cartella Telegram Images, creata sulla memoria dello smartphone del Pepaj, erano state individuate numerose fotografie di schermate di accertamenti SDI: il che fugava qualsiasi possibile dubbio superstite sulla consapevolezza, in capo al Pepaj, della metodica grazie alla quale COGNOME entrava in possesso delle informazioni richieste».
Va rilevato che le censure prospettate dal ricorrente, che richiamano quelle formulate con l’atto di appello, omettono di correlare criticamente e in modo puntuale le ragioni argomentative della decisione impugnata con quelle poste a fondamento del ricorso.
Nel caso di specie ci si trova dinanzi a due pronunce, di primo e di secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova, posti a fondamento delle conformi rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, avuto riguardo al fatto che l’impugnata pronunzia ha comunque offerto una congrua ed esaustiva giustificazione del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti del ricorrente, esponendo linearmente le conclusioni tratte dalla valutazione delle emergenze probatorie e puntualmente replicando alle deduzioni ed ai rilievi svolti dalla difesa.
È orientamento costante di questa Corte quello secondo cui deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendo gli stessi considerarsi non specifici, ma solo apparenti, in quanto omettono, in modo del tutto disancorato dal correlativo apparato motivazionale, di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza fatta oggetto di ricorso (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838 – 01).
Le censure del ricorrente, inoltre, sono tese a sollecitare la rivalutazione del materiale probatorio: il che esula dai poteri di questa Corte, il cui sindacato, per espressa volontà del legislatore, anche a seguito della novella operata dalla L. n. 46 del 2006, è limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, F., Rv. 280601 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652 – 01).
5.1. Va aggiunto che correttamente i fatti sono stati qualificati da entrambi i Giudici di merito come corruzione e non sono stati sussunti nell’ambito dell’art. 346-bis cod. pen., che, come precisato da questa Corte (Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016, deo. 2017, Rigano, Rv. 269736 – 01) si differenzia, dal punto di vista strutturale, dalle fattispecie di corruzione per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l’opera di mediazione e non potendo, quindi, neppure in parte, essere destinato all’agente pubblico. Circostanza, questa, verificatasi, invece, nella specie.
6. Anche il quarto motivo non rientra tra quelli consentiti.
Con l’atto di appello non era stata censurata la mancata applicazione dell’art. 323-bis cod. pen. e all’udienza dibattimentale di appello la difesa si è riportata ai motivi di appello.
Al riguardo giova ricordare che questa Corte è ferma nel ritenere che il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio i benefici di legge e una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l’effettivo espletamento del medesimo poteredovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna per la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado (Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 276596 – 02; Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, deo. 2019, Salerno, Rv. 275376 – 01).
Nel caso in esame, il ricorrente non ha sollecitato nel giudizio di appello il potere del giudice di concedere l’attenuante de qua, con la conseguenza che il ricorrente non può lamentare alcunché sul punto in questa sede.
7. Il quinto motivo è privo di specificità.
Il ricorrente non si è confrontato con quanto statuito dal Giudice di primo grado, che è partito da una pena base coincidente con il minimo della pena edittale prevista dagli artt. 319-321 cod. pen., su cui sono state applicate le attenuanti generiche nella massima estensione. Come evidenziato dalla Corte di appello, un affievolimento della pena applicata avrebbe implicato la violazione del canone di legalità della sanzione penale.
8. Va rilevato che, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., l’inammissibilità del ricorso travolge anche i motivi nuovi depositati.
Ad ogni modo, le doglianze formulate con i motivi nuovi reiterano pedissequamente le censure sollevate con l’atto di appello, a cui la Corte territoriale ha dato corretta risposta.
8.1. Così, ad es., con riguardo alle censure, formulate nel primo dei motivi nuovi, sulla inutilizzabilità dei tabulati telefonici delle utenze impiegate dall’imputato.
La Corte di appello, infatti, nel dare risposta al medesimo motivo sollevato con l’atto di gravame, ha affermato che la difesa si era dilungata, per le prime diciannove pagine dell’atto, su una tematica relativa ai c.d. tabulati e alla disciplina della loro acquisizione che, in realtà, è estranea al procedimento nel corso del quale non sono mai stati ottenuti e utilizzati dati di tale indole. Il motivo di gravame si incentrava sull’acquisizione dei dati di traffico di una data utenza, detenuti e custoditi negli archivi informatici del gestore/fornitore del servizio di comunicazione telematica, elettronica, telefonica. Si trattava, però, di un’attività investigativa ontologicamente divergente da quella compiuta nel procedimento, consistita, invece, nell’estrazione dei dati archiviati nei supporti di memoria degli apparecchi sequestrati al ricorrente, cioè in un’attività di ricerca della prova tipicamente contemplata dall’art. 247, comma 1-bis lcod. proc. pen., che in alcun caso può essere assimilata alle operazioni di acquisizione presso i gestori di telefonia dei dati di traffico.
8.2. Il secondo dei motivi aggiunti costituisce, in parte, una reiterazione del primo motivo del ricorso e si rinvia pertanto alle argomentazioni già formulate al § 3 .
Per il resto, le censure hanno trovato risposta da parte della Corte di appello, che ha evidenziato che alcuna anomalia, tipizzata come produttiva di nullità codificata, vi era nelle modalità di conduzione degli esami testimoniali.
Da tempo ormai questa Corte si è attestata nel ritenere che il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato anche mediante le deposizioni testimoniali, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che: la prova è costituita dalla bobina o dalla cassetta; l’art. 271, comma 1, cod. proc. pen. non richiama la previsione dell’art. 268, comma 7, cod. proc. pen. tra le disposizioni la cui inosservanza determina l’inutilizzabilità; la mancata trascrizione non è espressamente prevista né come causa di nullità né è riconducibile alle ipotesi di nullità di ordine generale tipizzate dall’art. 178 cod. proc. pen.,. (tra le altre: Sez. n. 2507 del 28/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282696 – 01).
I
N
La Corte di appello ha anche correttamente sottolineato che l’iscrizione nel registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen. rileva ai soli fini della decorrenza del termine delle indagini preliminari e non anche per la validità delle indagini compiute prima dell’iscrizione, così che, nel caso in cui l’iscrizione sia omessa o ritardata, non si determinano vizi di sorta in danno di quel materiale, rimanendo, quindi, irrilevante che i fatti corruttivi e gli accessi abusivi fossero stati iscritti registro delle notizie di reato in un momento successivo ai provvedimenti autorizzativi dell’attività tecnica.
Così argomentando, il Giudice di merito ha fatto corretta applicazione dell’insegnamento di questa Corte, secondo cui il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al giudice per le indagini preliminari sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato ch del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, COGNOME, Rv. 244376 – 01; Sez. 6, n. 4844 del 14/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275046 – 01.
8.3. Sul terzo dei motivi aggiunti, che costituisce reiterazione delle censure dedotte con il secondo motivo del ricorso, si rinvia alle argomentazioni formulate nel § 4.
8.4. Sul quarto dei motivi aggiunti, con cui si reiterano doglianze dedotte con il terzo motivo del ricorso, si rinvia alle argomentazioni formulate nel § 5.
8.5. Il quinto dei motivi aggiunti non è deducibile, in quanto trattasi di censure relative al reato di cui al capo B), non oggetto di ricorso.
Va ricordato, come già affermato da questa Corte (Sez. 2, n. 11291 del 17/02/2023, P.G., Rv. 284520 – 01), che è inammissibile il motivo nuovo di ricorso, presentato ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., avente ad oggetto un punto della decisione non investito dall’atto di ricorso originario.
8.6. Il sesto dei motivi aggiunti, concernente il trattamento sanzionatorio, trova risposta nel § 6. Si aggiunge che la Corte di appello ha escluso l’assorbimento delle 39 singole distinte condotte illecite, che rivestivano ciascuno una propria ben definita individualità e autonomia, essendo tutte singolarmente connotate dalla compiuta integrità strutturale e da un contesto circostanziale di
consumazione ben delimitato e indipendente dagli altri. Si trattava di una fitta reiterazione di condotte illecite omogenee sia nel titolo che nel
modus operandi, espressiva riprova della radicata stabilità dell’intesa collusiva e della relazione
corruttiva stabilita fra l’imputato e il pubblico ufficiale.
Siffatte argomentazioni, in quanto logiche e corrette, sfuggono al sindacato di questa Corte.
9. Con riguardo alla memoria del 10 febbraio 2025, con cui il ricorrente ha sostanzialmente reiterato le censure già esposte nei precedenti atti, si rinvia alle
argomentazioni già formulate.
10. In definitiva, il ricorso è inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno
2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente