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Ricorso inammissibile continuazione: analisi Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con sentenze emesse a grande distanza di tempo. L’impugnazione è stata respinta perché i motivi addotti sono stati ritenuti generici e miravano a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Questo caso evidenzia come un ricorso inammissibile per continuazione porti alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Continuazione: Quando i Motivi sono Troppo Generici

Nel diritto penale, il concetto di ‘continuazione’ permette di unificare, sotto un unico disegno criminoso, più reati, con importanti benefici sulla pena finale. Tuttavia, per ottenere tale riconoscimento è necessario seguire un preciso iter processuale e, in caso di rigetto, impugnare la decisione con motivi specifici e pertinenti. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ha chiarito le conseguenze di un ricorso inammissibile continuazione, sottolineando l’importanza di non presentare motivi di ricorso generici. Approfondiamo questo caso.

Il Caso in Esame: Una Richiesta tra Reati Distanti nel Tempo

Un soggetto condannato con due diverse sentenze, emesse a distanza di molti anni (2005 e 2020), si rivolgeva al giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione. In pratica, chiedeva che i reati (tra cui associazione per delinquere e reati fine) fossero considerati parte di un unico progetto criminale, con l’obiettivo di ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole.

La Decisione della Corte di Appello

La Corte di Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza. La decisione si basava su due elementi principali:
1. La distanza cronologica: il lungo lasso di tempo intercorso tra i fatti oggetto delle due sentenze rendeva difficile ipotizzare un’unica programmazione criminosa.
2. La natura dei reati: la non omogeneità delle norme violate e la difficoltà di ricondurre automaticamente il reato associativo e i reati fine allo stesso disegno criminoso.

Contro questa ordinanza, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una presunta contraddittorietà e illogicità della motivazione.

L’Analisi della Cassazione: Perché il ricorso inammissibile continuazione è stato respinto

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, senza neppure entrare nel merito della questione. La decisione si fonda su principi consolidati della procedura penale.

Genericità dei Motivi di Ricorso

Il primo motivo di ricorso è stato giudicato generico. Il ricorrente si era limitato a una critica generalizzata del provvedimento impugnato, citando massime giurisprudenziali in modo astratto, senza però articolare una doglianza specifica e puntuale contro le argomentazioni della Corte di Appello. In sostanza, non aveva spiegato perché, nel caso concreto, la motivazione del giudice fosse errata.

Il Divieto di Rivalutazione dei Fatti in Cassazione

Anche il secondo motivo è stato considerato inammissibile. Con esso, il ricorrente chiedeva alla Cassazione di rivalutare elementi di fatto, come la distanza temporale tra i reati e la loro diversa natura. Tuttavia, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è riesaminare i fatti (già valutati correttamente e senza vizi logici dalla Corte di Appello), ma verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione. Sollecitare una nuova valutazione nel merito è un motivo non consentito in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha stabilito che il ricorso era inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, in quanto proposto per motivi diversi da quelli consentiti o manifestamente infondati. La critica del ricorrente non si è confrontata efficacemente con la logica della decisione impugnata, ma ha tentato di ottenere una nuova e non permessa valutazione degli elementi fattuali.

Conclusioni: Le Conseguenze di un Ricorso Manifestamente Infondato

La dichiarazione di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., due conseguenze negative per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, il versamento di una somma di 3000 euro a favore della cassa delle ammende. Quest’ultima sanzione viene applicata quando si ritiene che l’impugnazione sia stata proposta ‘in colpa’, ovvero senza una seria e fondata ragione giuridica, come nel caso di un ricorso evidentemente generico e teso a un riesame dei fatti. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: le impugnazioni devono essere fondate su vizi specifici del provvedimento contestato e non possono trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda.

Quando un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se viene proposto per motivi non consentiti dalla legge, come la richiesta di una nuova valutazione dei fatti, oppure se i motivi sono manifestamente infondati, ad esempio perché espressi in modo generico senza una critica specifica al provvedimento impugnato.

Perché è stata negata in origine la continuazione tra i reati?
La Corte di Appello ha negato la continuazione a causa della notevole distanza temporale tra i reati e della diversa natura delle norme violate, ritenendo impossibile ricondurre automaticamente un reato associativo e i reati fine a un unico disegno criminoso in tali circostanze.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (3000 euro) alla cassa delle ammende, data l’evidente infondatezza e genericità dei motivi di impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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