Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6260 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6260 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME, nato a Venaria Reale (TO) il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Cagliari il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 31/05/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari ha applicato la pena, su loro richiesta e con il consenso del Pubblico ministero, ad NOME COGNOME ed NOME COGNOME, per vari delitti in materia di stupefacenti; nei confronti del primo, la sentenza ha altresì disposto la confisca
di alcuni beni, a norma degli artt. 240 -bis, cod. pen., e 85-bis, d.P.R. n. 309 del 1990.
Entrambi impugnano tale decisione, con separati ricorsi dei rispettivi difensori.
NOME censura esclusivamente la statuizione di confisca, limitatamente ai seguenti beni e per le ragioni per ciascuno indicate:
due immobili siti in Torino ed acquistati dalla propria moglie, NOME COGNOME, il 27 settembre 2013 ed il 20 luglio 2017, nonché oggetti preziosi e semi-preziosi contenuti nella cassetta di sicurezza, intestata alla stessa COGNOME, presso la filiale “Torino 3” della “Cassa di risparmio di Fossano”, poiché si tratterebbe di beni appartenenti a costei in via esclusiva e da lei acquistati con proprie disponibilità finanziarie;
il conto-corrente n. 1000/63080, intestato a lui e a sua moglie, acceso presso la filiale della banca “Intesa San Paolo” di Moncalieri, quanto meno fino alla concorrenza di 185.000 euro, pari al saldo presentato dallo stesso alla fine del 2010 e costituito dal corrispettivo ottenuto dalla vendita di un esercizio commerciale: sostiene il ricorrente che dette disponibilità non coincidano con il periodo temporale della sua accertata pericolosità, collocabile molti anni più avanti, vale a dire dal 2017 al 2021;
il contenuto della cassetta di sicurezza cointestata a lui e a sua moglie, anche questa presso la filiale della banca “Intesa San Paolo” di Moncalieri, per difetto del requisito della sproporzione del loro valore rispetto ai redditi leciti della coppia.
NOME, invece, si duole esclusivamente del difetto di motivazione in ordine alla ritenuta considerazione della recidiva, richiamando la giurisprudenza costituzionale e di legittimità che esclude, a tal fine, la rilevanza del semplice dato formale dell’esistenza di precedenti condanne.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi non possono essere ammessi.
Quello di NOME è caratterizzato da un palese difetto di legittimazione e d’interesse, nella parte in cui rappresenta l’esclusiva titolarità di alcuni beni in capo alla propria moglie: la quale, semmai così fosse, sarebbe l’unica legittimata a far
valere tale situazione e, dunque, ad impugnare il provvedimento ablativo, con i differenti strumenti messile a disposizione dalla legge.
In tema di confisca allargata ai sensi dell’art. 240-bis, cod. pen., infatti, l’imputato non ha interesse a proporre impugnazione in ordine al provvedimento ablatorio caduto su beni intestati a terzi, ancorché considerati nella sua disponibilità indiretta, poiché, non potendo vantare alcun diritto alla loro restituzione, non può ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione. È solo il terzo, infatti, ad avere un interesse personale e diretto a provare la legittima acquisizione dei beni ovvero l’assenza di fittizia intestazione degli stessi (così, tra molte, Sez. 2, n. 4160 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278592; analogamente, seppure nella materia della confisca di prevenzione, in cui però la tematica si presenta in termini identici, Sez. 1, n. 50463 del 15/06/2017, Mangione, Rv. 271822).
Nella parte in cui, invece, invoca la legittima provenienza delle disponibilità liquide presenti sul conto corrente acceso presso la filiale della banca “Intesa San Paolo” di Moncalieri, quanto meno nei limiti degli importi presenti nel 2010, il ricorso è generico: esso, infatti, si limita a rilevare il dato formale de conseguimento di una precedente entrata legittima, quale prezzo della vendita di un’attività commerciale, ma elude completamente il confronto con le articolate motivazioni del decreto di sequestro preventivo (integralmente richiamato in sentenza), che hanno spiegato, con logica stringente, come la perdurante disponibilità di tale somma ancora dopo molti anni non si potesse conciliare con il tenore di vita ed il valore degli investimenti operati dal proposto e dai suoi familiari medio tempore, ovvero proprio in quegli anni in cui si è manifestata la sua pericolosità.
Ancora più generica è la doglianza riguardante il contenuto della cassetta di sicurezza cointestata (si tratterebbe di alcuni monili in oro e pietre preziose e di un orologio), la cui sproporzione per valore rispetto ai redditi leciti è semplicemente asserita.
Il ricorso di COGNOME è inammissibile, invece, a norma dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., poiché proposto per motivi non consentiti dalla legge.
L’art. 448, comma 2-bis, stesso codice, dispone che «il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza».
Risulta di solare evidenza, dunque, che la doglianza del ricorrente, relativa alla motivazione della decisione di tener conto della recidiva, conformemente, del resto, alla sua richiesta di pena concordata, non rientri in nessuna delle suddette ipotesi tipiche.
6. L’inammissibilità dei ricorsi comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna di entrambi i proponenti alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro per ognuno di essi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.