Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 46233 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 46233 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nata a POZZUOLI il 04/09/1957
avverso la sentenza del 23/03/1999 della Corte d’appello di Napoli Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento s enza rinvio della sentenza;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23 marzo 1999, la Corte d’appello di Napoli , in parziale riforma della sentenza Pretore di Napoli, sez. dist. Pozzuoli, del 18 settembre 1997, appellata da NOME COGNOME pronunciava sentenza di proscioglimento nei confronti della medesima per i reati contravvenzionali di cui ai capi c) ed e) della rubrica, in quanto estinti per prescrizione, rideterminando la pena, per le residue imputazioni di cui ai capi a), b), d) ed f) della rubrica in 1 anno di reclusione e lire 900.000 di multa, riconoscendo all’imputata il beneficio della non menzione ed ordinando il ripristino dello stato dei luoghi a sua spese, confermando nel resto l’appellata sentenza che l’aveva riconosciuta
colpevole, per quanto qui rileva, delle contravvenzioni edilizie e paesaggistiche di cui ai capi a) e d) della rubrica, di quella in materia di conglomerato cementizio armato di cui al capo b), del delitto violazione reiterata ed aggravata di sigilli contestato al capo f) e dell’illecito (ora amministrativo) di cui all’art. 221 Testo Unico leggi sanitarie contestato al capo g).
Avverso la predetta sentenza, a seguito di accoglimento dell’istanza di restituzione in termine da parte della Corte territoriale campana, ha proposto ricorso per cassazione la COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, articolando otto motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 39, comma 8, l. 724 del 1994 per intervenuta estinzione dei reati di cui ai capi a), b) e d) per intervenuto rilascio della concessione edilizia in sanatoria nelle more del giudizio di cassazione.
In sintesi, rileva la difesa che, in data antecedente al ricorso per cassazione (reso possibile a seguit o dell’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione dichiarava in data 2 aprile 2024 la non esecutività della sentenza d’appello, disponendo la notifica dell’estratto contumaciale all’imputata), e, precisamente, in data 29 ottobre 2018, il Comune di Monte Procida aveva provveduto al rilascio della sanatoria edilizia per le opere abusive in contestazione a seguito dell’istanza di condono edilizio presentato dal marito dell’imputata, comproprietaria dell’immobile, ai sensi della l. n. 724 del 1994, condono che, come è noto, estingue non solo le violazioni edilizie ma anche quelle paesaggistiche (nella specie, si noti, la sanatoria rilasciata era stata preventivamente assistita dal parere favorevole in ordine alla compatibilità paesaggistica espresso dalla locale Commissione per il paesaggio nella seduta del 7 febbraio 2018, cui aveva fatto seguito il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica n. 41 del 31 maggio 2018, l’autorizzazione in sanatoria quanto al vincolo idrogeologico ex r.d. n. 3267 del 1923 ed il certificato di idoneità statica). Rileva, pertanto, la difesa della ricorrente che, in ossequio alla giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è, tra le tante, a Cass. n. 7289 del 10 maggio 1994, rv. 198202), dovrebbe essere disposto l’annullamento con rinvio al giudice di merito per verificare la sussistenza delle condizioni in fatto dell’effetto sanante, rinvio tuttavia che si ridonderebbe superfluo stante l’intervenuta estinzione per prescrizione di tutti i reati in epoca antecedente all’introduzione del giudizio di legittimità. Nessun dubbio, peraltro, potrebbe residuare circa l’estensione dell’effetto estintivo alla ricorrente, pur essendo stata l’istanza di condono depositata dal marito, attesa la veste di committente e (com)proprietaria dell’immob ile della cui abusiva edificazione si discute, come del resto più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è, tra le tante, a Cass., n. 3585 del 13 marzo 1996, rv. 205852).
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 157, comma 1, cod. pen., per essere intervenuta l’estinzione per prescrizione dei reati di cui ancora si discute in epoca antecedente l’introduzione del giudizio di legittimità.
In sintesi, rileva la difesa come tutti i reati in contestazione sono stati accertati, al più tardi, in data 19.10.1994, anche se commessi in date antecedenti e corrispondenti alle date di accertamento delle reiterate violazioni di sigilli intervenute tra il 7 luglio 1993 ed il 6 novembre 1993. Tr attandosi di reati, sia contravvenzionali che dell’unico delitto di cui all’art. 349, cod. pen. per i quali risultano già interamente decorsi i termini di prescrizione – sia che si applichi la disciplina antecedente alla legge c.d. ex Cirielli (legge n. 251 del 2005) sia che si applichi quella successiva -ne consegue che dovrebbe essere disposto l’annullamento senza rinvio per tutti i reati oggetto di contestazione, per essere gli stessi estinti per prescrizione. Non troverebbe applicazione, aggiunge la difesa, l’istituto della c.d. sterilizzazione dei tempi di prescrizione di cui all’art. 175, ultimo comma, cod. pen., che riguarda soltanto le ipotesi di intervenuta restituzione nei termini di cui all’art. 175 cod. pen., non suscettibile dunque di estension e analogica in malam partem . Non risultando, pertanto, alcun atto interruttivo tra la sentenza d’appello e la presentazione del ricorso per cassazione, i termini di prescrizione per tutti i reati sarebbero interamente decorsi, essendo peraltro decorso tra l’ultimo atto interruttivo (la sentenza d’appello oggi impugnata) e quello successivo il termine ‘ordinario’ di prescrizione per ogni singolo reato, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (il riferimento è, tra le tante, a Cass. n. 20654 del 23 aprile 2014, rv. 259583).
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge processuale in relazione all’art. 179 cod. proc. pen. , attesa l’omessa notifica all’imputata del decreto di citazione per il giudizio di appello con conseguente nullità assoluta ed insanabile della sentenza di secondo grado.
In sintesi, rileva la difesa che il decreto di citazione per il giudizio di appello non risulterebbe correttamente notificato all’imputata, in quanto asseritamente ricevuto da tale NOME COGNOME ‘familiare convivente padre’, qualità tuttavia non rivestita da quest’ultimo non essendo né il padre (che si chiamava NOME COGNOME né un familiare convivente con l’imputata all’epoca della notifica. Peraltro, si aggiunge, l’imputata nel corso dell’indagini preliminari aveva provveduto ad eleggere domicilio in luogo diverso da quello della notifica, con conseguente nullità assoluta ed insanabile della notifica, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (il riferimento è, tra le tante, a Cass., n. 22707 del 29 maggio 2007, rv. 236700).
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 81, cpv. cod. pen., attesa l’illegalità della pena inflitta all’imputata.
In sintesi, rileva la difesa che la sentenza è affetta da un errore giuridico evidente in quanto il primo giudice ha pronunciato condanna anche il reato sub g), ossia l’art. 221 r.d. 1265 del 1981, che è stato depenalizzato e che è attualmente punito con sanzione
amministrativa pecuniaria. I giudici di appello, nel riformare parzialmente la sentenza, hanno tuttavia confermato la sentenza id primo grado anche per tale illecito amministrativo, aumentando la pena per la continuazione riferendola anche a tale illecito, con evidente violazione di legge.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di mancanza della motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputata rispetto ai fatti oggetto di contestazione.
In sintesi, rileva la difesa che la sentenza sarebbe, oltremodo, illegittima per aver pronunciato l’affermazione di responsabilità dell’imputata, assolvendo il marito quale concorrente, senza tuttavia chiarire le ragioni in base alle quali era stato determinato il convincimento circa la sussistenza della sua responsabilità penale.
2.6. Deduce, con il sesto motivo, il vizio di mancanza della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche all’imputata.
In sintesi, si rileva che la sentenza impugnata sarebbe silente in ordine alle ragioni per le quali i giudici di appello non avrebbe riconosciuto all’imputata le invocate attenuanti generiche, limitandosi a valorizzare lo stato di incensuratezza dell’imputata, tanto da riconoscerle il beneficio della non menzione ex art. 175, cod. pen.
2.7. Deduce, con il settimo motivo, il vizio di violazione della legge processuale in relazione all’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. , attesa l’illegittima correzione del dispositivo della sentenza.
In sintesi, rileva la difesa che erroneamente i giudici di appello avrebbero attivato la proc edura di correzione dell’errore materiale per aver indicato nel dispositivo l’estinzione dei reati sub b) ed e), anziché correttamente per i reati sub c) ed e) della rubrica, in ciò contravvenendo ai principi più volte affermati dalla giurisprudenza di que sta Corte circa l’illegittimità del ricorso alla procedura di cui all’art. 130, cod. proc. pen. in consimili ipotesi (il riferimento, in ricorso, è a Cass., n. 42922 dell’11 settembre 2012).
2.8. Deduce, con l’ottavo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 178, lett. c), cod. proc pen. in ragione della correzione del dispositivo di sentenza senza fissazione dell’udienza camerale.
In sintesi, richiamando il penultimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione della legge processuale con riferimento all’art. 130, cod. proc. pen. per non essere mai stata fissata la camera di consiglio al fine di attivare il contraddittorio sulla correzione dell’errore materiale di cui al dispositivo della sentenza, come più volte affermato dalla giurisp rudenza di legittimità (il riferimento è, tra le tante, a Cass., n. 8612 dell’8 febbraio 2022, rv. 282933).
Con requisitoria scritta del 28 ottobre 2024, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza .
3.1. Secondo il PG il primo motivo appare fondato. Il difensore ha depositato, unitamente al ricorso per Cassazione, la concessione edilizia in sanatoria n. 32 rilasciata in data 29 ottobre 2018 dal Comune di Monte di Procida a favore del marito dell’imputata che sembra essere relativa all’immobile oggetto del procedimento penale. In materia edilizia, nell’ipotesi in cui la concessione in sanatoria, rilasciata nelle more del giudizio di Cassazione, venga quivi depositata, occorre annullare la sentenza impugnata e trasmettere gli atti al giudice del merito, perché espleti le opportune indagini di fatto (corrispondenza tra il bene oggetto dell’imputazione e quello di cui alla concessione; accertamento della legittimità del provvedimento) e dichiari, ove ne sussistano gli estremi, l’estinzione del reato edilizio (Sez. 3, n.19363 del 23/06/2020; Sez. 3, n. 44551 del 27/06/2018; Sez. 3, n. 7289 del 10/05/1994, COGNOME ed altri, Rv. 198202). Tale annullamento, funzionale ai predetti accertamenti di fatto incompatibili con la cognizione di legittimità, apparirebbe a maggior ragione necessario in una fattispecie come quella in esame nella quale la concessione in sanatoria è stata emessa ai sensi della legge n. 794 del 1994 in forza della dichiarazione della parte di aver completato le opere nel 1993, mentre, dalla sentenza della Corte d’appello, risulta che il reato è stato accertato fino al 19 ottobre 1994 e che sono state accertate plurime violazioni dei sigilli, da ultimo in data 6 novembre 1993.
3.2. Anche il secondo motivo appare fondato. Per consolidata giurisprudenza, spetta al giudice dell’esecuzione la competenza a provvedere sulla richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione solo quando questa sia accompagnata dalla richiesta di declaratoria di non esecutività della sentenza (nella specie, contumaciale) per invalidità della notificazione e, quindi, per inesistenza del titolo esecutivo (Sez. 1, n. 16645 del 20/04/2010, COGNOME, Rv. 247561). E la competenza del giudice dell’esecuzione in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione sussiste solo allorquando tale richiesta sia logicamente subordinata all’accertamento della validità del titolo esecutivo (Sez. 1, n. 46226 del 28/09/2004, Merah, Rv. 230157): solo in tal modo (o, anche, con l’alternatività delle domande relative al titolo ed alla remissione in termini) rivive la competenza ex art. 670, comma 3, cod. proc. pen. a decidere su entrambe le istanze, sebbene quella avanzata ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen., normalmente, rientri nella competenza del giudice dell’impugnazione (Sez. 1, n. 15526 del 07/04/2006, COGNOME, Rv. 234134). Nel caso di specie, la originaria richiesta faceva riferimento al titolo esecutivo, alla sua eventuale non esecutività, essendo stata proposta direttamente al giudice dell’esecuzione che, difatti, ha dichiarato la non esecutività della sentenza. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, richiamato dalla ricorrente, la previsione di cui all’ultimo comma dell’art. 175 cod. proc. pen. non è suscettibile di estensioni analogiche in malam partem , non potendo in particolare ricomprendere, ai fini della sterilizzazione dei tempi di prescrizione, l’ipotesi di cui all’art. 670 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 8713 del 02/12/2016, dep. 2017., Rv. 269158 -01; da ultimo, Sez. 5,
n.32077 del 5/07/2024). Ne consegue che deve prendersi atto della maturata prescrizione dei reati, salvo quanto di seguito sarà illustrato per quello di cui al capo G).
3.3. Il quarto motivo è parimenti fondato. L’impugnata sentenza deve comunque essere annullata senza rinvio, limitatamente all’imputazione di cui al R.D. 27 luglio 1934, n. 1256, art. 221 (capo G della rubrica), perché il fatto non è previsto dalla legge come reato in seguito alla depenalizzazione disposta dal d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 70.
3.4. Gli ulteriori motivi appaiono per il PG assorbiti dall’accoglimento dei precedenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di una richiesta di discussione orale, è inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile.
2.1. Ed invero, pur essendo stata la richiesta di condono correttamente presentata dal marito comproprietario, con conseguente estensione dei suoi effetti anche all’attuale ricorrente (Sez. 3, n. 6333 del 03/06/1997, Rv. 208697 -01), risulta tuttavia pacificamente che le opere non sono condonabili. Premesso che non è compito di questa Corte verificare la condonabilità delle opere trattandosi di accertamento in fatto riservato al giudice di merito, risulta tuttavia ictu oculi dalla semplice disamina del capo di imputazione e della sentenza impugnata che dette opere non erano condonabili in quanto, per la loro realizzazione, il termine era fissato ex lege in data 31 dicembre 1993, laddove, i giudici di appello hanno chiaramente affermato che, alla data del 6 novembre 1993, le opere erano ancora prive di tamponatura laterale, tanto che nel capo a) della rubrica vi è evidenziato che si trattava di un seminterrato ‘tompagnato’ ed il primo ed il secondo piano a vento. Risulta, inoltre, un’ulte riore imputazione che riguarda la prosecuzione die lavori dopo l’apposizione dei sigilli del 6 novembre 1993, con il completamento delle opere, senza che peraltro emerga se vi sia stata tamponatura laterale, e l’accertamento di questi fatti è del 19 ottobre 1994, Dunque, risulta evidente che alla data del 31 dicembre 1993 le opere non potevano dirsi ultimate, con conseguente inapplicabilità della disciplina condonistica richiamata.
2.2. Deve, dunque, essere ribadito che l’accertamento della sussistenza di tutti i presupposti ed i requisiti per conseguire la speciale causa estintiva prevista dalla normativa sul condono edilizio, non costituisce disapplicazione di un atto amministrativo preteso illegittimo (la c.d. attestazione di congruità dell’oblazione ovvero, nei casi in cui sia contestato un reato attinente alla tutela di un vincolo, della concessione in sanatoria subordinata all’autorizzazione dell’autorità competente per detta protezione ex art. 39
ottavo comma legge n. 724 del 1994), ma rientra tra i compiti del giudice penale, cui è deferita la dichiarazione di improcedibilità dell’azione penale per l’applicazione della predetta specifica causa di estinzione dei reati (V. Corte Cost. sent, n. 427 del 1995 e n. 270 del 1996; Sez. 3, n. 9963 del 22/09/1997, Rv. 209243 -01). Ne discende, pertanto, che non ricorrendo le condizioni ab origine per la condonabilità delle opere, il rilascio della successiva sanatoria non esplica alcun effetto estintivo, in quanto atto amministrativo rilasciato fuori dei casi previsti dalla legge.
3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
3.1. La circostanza che la parte sia stata rimessa in termini per proporre impugnazione avverso la sentenza impugnata non comporta automaticamente l’estinzione per prescrizion e dei reati di cui ai capi a), b), d) ed f) della rubrica. Ed invero, i fatti sono stati accertati sino all’11.11.1993 (proc. pen. 63088/93 rgnr) e fino al 19/10/1994 (proc. pen. 113240/94 rgnr). La sentenza di primo grado, già disposta la riunione dei due procedimenti, è intervenuta in data 18/09/1997, costituendo atto interruttivo valido anche ove si applichino i termini di prescrizione ante lege n. 251/2005. Analogamente è a dirsi per la sentenza d’appello, intervenuta in data 23/03/1999. Non rileva, quindi, il fatto che per i reati in esame sia maturata la prescrizione, trovando applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L. Rv. 217266 -01).
4. Il terzo motivo non si sottrae al giudizio di inammissibilità.
4.1. Risulta dagli atti, infatti, che alla notifica del decreto di citazione a giudizio sono seguiti ulteriori rinvii delle udienze, tra cui, a titolo esemplificativo, quello dell’ud. 23.03.1999, in cui venne pronunciata la sentenza, in cui la relata di notifica venne ricevuta dalla suocera convivente (NOME o NOME) -la stessa che ebbe a ricevere la notifica della sentenza d’appello in data 14/04/1999 – , donde, non essendosi svolta alcuna attività istruttoria nelle precedenti udienze, dopo peraltro il rinvio a nuovo ruolo disposto all’udienza 1.12.1998 (udienza per la quale, l’imputata aveva ricevuto la citazione ancora una volta a mezzo posta, risultando dalla relata ricevuta la predetta citazione a mani del familiare convivente ‘padre’ NOME COGNOME, in realtà padre del coniuge COGNOME NOME, donde l’equivoco ingeneratosi, non essendovi dubbio sul fatto che si trattasse, però, di familiare convivente), nessuna nullità si è verificata nel caso di specie, avendo avuto notizia l’imputata non solo del processo d’appello, ma dell’unica udienza in cui si svolse la discussione, ossia il 23/03/1999.
4.2. Quanto all’eccezione difensiva di violazione della legge processuale per non essere stata eseguita la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello al domicilio eletto, deve, anzitutto, rilevarsi che la stessa, sollevata per la prima volta davanti a questa Corte dopo la pronuncia, irrevocabile, del giudice dell’esecuzione che ha rimesso in termini l’imputata per ricorrere per cassazion e avverso tale sentenza, non è efficacemente proponibile davanti a questa Corte. Ed invero, con riferimento al caso in esame, va rilevato che la COGNOME ha proposto l’eccezione per la prima volta davanti a questa Corte in sede di ricorso per cassazione soltanto dopo l’ordinanza della Corte d’appello che, quale giudice dell’esecuzione, aveva deciso sulla regolarità della notificazione della sentenza contumaciale, disponendone la sua rinnovazione. L’imputata, all’atto dell’elezione di domicilio, si era dichia rata residente in INDIRIZZO Procida alla INDIRIZZO ivi eleggendo ( rectius , dichiarando) domicilio; dal certificato storico di residenza acquisito da questa Corte, risulta invece che la stessa risulta essere stata residente, al rientro dagli USA, dal 17/08/1976 in INDIRIZZO e, a partire 21/10/2001 ad oggi, al medesimo indirizzo con numero civico diverso, ossia il n. 24. L’elezione di domicilio presso la residenza dichiarata di INDIRIZZO dunque sollevava dubbi sulla sua idoneità, non essendo mai stata residente anagraficamente l’imputata a tale ultimo indirizzo.
4.3. Dirimente, in ogni caso, è la circostanza per cui l ‘eccezione è tardiva, atteso che, come già affermato da questa Corte, in tema di notificazioni, ove il decreto di citazione per il giudizio di appello sia notificato all’imputato in luogo diverso rispetto al domicilio validamente eletto o dichiarato, si determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, che va dedotta entro i termini decadenziali previsti dall’art. 182 cod. proc. pen., salvo che l’irrituale notifica risulti, in concreto, inidonea a consentire l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, configurandosi, in tal caso, una nullità assoluta per omessa notificazione di cui all’art. 179 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, Rv. 284810 -01). Nella specie, la notifica era stata eseguita presso la sua effettiva residenza e ricevuta da persona (NOME COGNOME) individuata correttamente quale familiare convivente, anc he se erroneamente indicato come ‘padre’ dell’imputata, anziché ‘padre’ del coniuge dell’imputata, parimenti convivente, NOME COGNOME.
Né rileva l’obiezione difensiva secondo cui quest’ultimo non fosse convivente, posto che per giurisprudenza costante di questa Corte in materia di notificazione all’imputato non detenuto, ai fini della applicazione dell’art. 157, cod. proc. pen., per familiari conviventi devono intendersi non soltanto le persone che convivono stabilmente con il destinatario dell’atto e che anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle che si trovino al momento della notificazione nella sua casa di abitazione, purché le stesse, per la qualifica declinata all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo,
che legittima nell’agente notificatore il ragionevole affidamento che l’atto perverrà all’interessato (Sez. 3, n. 5930 del 17/12/2014, dep. 2015, Rv. 263177 -01).
Ed è indubbio che la veste della persona che ebbe a ricevere la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello legittimava senza alcun dubbio la ritualità della consegna a quest’ultimo, attesa la relazione di familiarità intercorrente con l’imputata.
Il quarto motivo è inammissibile.
5.1. Ed infatti, per l’imputazione sub g), non può disporsi l’annullamento senza rinvio per non essere il fatto, oggi, previsto dalla legge come reato. La censura, in particolare, investe la dosimetria della pena, che nell’ottica del difensore, sarebbe stata il legittima perché i giudici di appello avrebbero calcolato anche l’aumento per la continuazione in relazione al reato di cui all’art. 221, r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie). È ben vero che attualmente tale illecito non integra più un illecito penale, dopo la depenalizzazione disposta dall’art. 70, comma 1, lett. b), D.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, ma solo un illecito amministrativo. Tuttavia, la sentenza è stata emessa in data 23/03/1999, dunque in data antecedente alla norma di depenalizzazione, donde nessuna illegittimità è rilevabile nella decisione di giudici di appello.
5.2. Nulla osta, peraltro, a che l’interessata rivolga apposita istanza ex art. 673, comma 1, cod. proc. pen. al giudice dell’esecuzione per la revoca parziale della sentenza di condanna.
Il quinto motivo è inammissibile in quanto proposto per la prima volta dinanzi a questa Corte. Ricorre, pertanto, la causa di inammissibilità prevista dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., trattandosi di violazione di legge non dedotta con i motivi di appello.
6.1. Ed invero, dalla lettura dell’atto di appello depositato personalmente dall’imputata in data 22.09.1997 in atti allegato, nessuno dei cinque motivi proposti attinge il giudizio di responsabilità, essendo gli stessi articolati esclusivamente sul trattamento sanzionatorio (secondo motivo), la prescrizione (primo motivo), l’ordine di demolizione (terzo e quarto motivo) e il mancato riconoscimento del beneficio della non menzione (quinto motivo).
6.2. Ne discende, pertanto, che il motivo di ricorso in questione è da considerarsi nuovo e, dunque, inammissibile per le ragioni indicate, non potendosi eccepire un vizio di motivazione della sentenza su questione non investita da motivo di appello su cui la Corte territoriale non era tenuta a rispondere perché non oggetto di specifica deduzione con i motivi di appello.
Il sesto motivo è inammissibile.
7.1. Ed invero, risulta pacificamente dalla motivazione della sentenza impugnata che il primo giudice ebbe a riconoscere le circostanze attenuanti generiche operando un giudizio di equivalenza con l’aggravante contestata di cui all’art. 349, comma secondo, cod. pen. Evidente, dunque, che il motivo non si è confrontato adeguatamente con la motivazione della sentenza che, infatti, dava atto dell’intervenuto riconoscimento delle invocate attenuanti.
7.2. Quand’anche, peraltro, la censura volesse intendersi nel sen so di doglianza per il mancato giudizio di prevalenza, non ricorrerebbero comunque i presupposti per tale più favorevole giudizio di bilanciamento, atteso che la non meritevolezza di tale più favorevole giudizio risulta giustificata dalla Corte d’appello c on adeguata e logica motivazione, avendo sul punto valorizzato in chiave negativa la reiterazione della condotta criminosa, alla luce della ripetuta violazione di sigilli operata dall’imputata. Deve, quindi, farsi applicazione del consolidato principio secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Rv. 270450 -01). Adeguata motivazione che, sul punto, appare palese.
Il settimo e l’ottavo motivo devono essere trattati congiuntamente, attesa l’intima connessione dei profili di doglianza ad essi sottesa.
8.1. Gli stessi sono inammissibili per manifesta infondatezza.
8.2. È pacifico infatti nella giurisprudenza di questa Corte che l’adozione “de plano”, senza fissazione della camera di consiglio ed avviso alle parti, del provvedimento di correzione di errore materiale comporta una nullità di ordine generale ex art. 178 cod. proc. pen. che può essere dedotta con il ricorso per cassazione soltanto qualora il ricorrente indichi un concreto interesse a partecipare all’udienza camerale (Sez. 1, n. 20984 del 23/06/2020, Rv. 279219 -01).
8.3. Nella specie, la difesa, contestando la mancata attivazione del contraddittorio, non specifica le ragioni per le quali la mancata partecipazione all’udienza avrebbe violato il diritto di difesa, violazione che, nel caso in esame, appare del tutto inesistente ove si consideri che la Corte territoriale si è semplicemente limitata a modificare in dispositivo l’indicazione di uno dei due reati (il capo c), quello corretto, anziché il capo b), erroneamente indicato), per il quale era stata pronunciata la sentenza di proscioglimento parziale per essere detto reato, unitamente al quello sub e), estinto per prescrizione.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 14/11/2024