Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19822 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19822 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 891/2025
NOME COGNOME
ORDINANZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Lecco il 07/11/1955,
avverso la sentenza del 04/10/2024 della Corte d’appello di Milano
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminato i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano del 19/04/2023, che aveva condannato NOME in ordine al delitto di cui all’articolo 279 d. lgs. 152/2006, alla pena condizionatamente sospesa di euro 2.000,00 di ammenda, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita Città metropolitana di Milano.
Avverso tale sentenza l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando, con un primo motivo, violazione degli artt. 40 e 43 cod. penna. laddove la sentenza non ha escluso l’esistenza della colpa in capo all’imputato.
Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 131- bis cod. pen.
Con il terzo motivo lamenta violazione dell’articolo 133 cod. pen..
Con il quarto motivo lamenta violazione dell’articolo 545 cod. proc. penna. in relazione alla liquidazione del danno morale a favore della parte civile.
In data 3 aprile 2025 l’Avv. NOME COGNOME per la parte civile Città Metropolitana di Milano, depositava memoria in cui chiedeva il rigetto o l’inammissibilità del ricorso con conferma delle statuizioni civili e depositava nota spese.
Il ricorso Ł inammissibile in quanto le doglianze costituiscono pedissequa reiterazione (v. pag. 7 sentenza gravata) di doglianze già correttamente disattese, in fatto e diritto, dalla Corte territoriale e, prima di lei, dal Tribunale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 3/12/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dip.
Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di
inammissibilità (artt. 581 e 591 cpp), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione Ł, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (vale a dire con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 3/12/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale Ł previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente «attaccato», lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, Ł di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, cit.).
Scendendo in concreto, quanto al primo profilo di censura la sentenza evidenzia come l’informativa dell’ARPA sottolinei che, alla scadenza dell’autorizzazione, non fosse stata neppure avviata la pratica per il rinnovo, operando la società per un periodo lungo senza autorizzazione, fino al rilascio dell’AUA, circostanza che, oltre a quello oggettivo, integra pacificamente (anche) l’elemento soggettivo del reato contestato, a nulla rilevando le verbali assicurazioni contenute in una mail da parte del precedente amministratore.
Quanto all’articolo 131bis cod. pen., il lungo arco temporale di commissione del fatto Ł stato correttamente ritenuto causa ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità; la sentenza aggiunge, in ordine alla gravità del fatto, il riferimento alle molestie olfattive e alle problematiche relative all’inquinamento atmosferico evidenziate dall’ARPA, circostanze tutte che escludono secondo la non illogica valutazione dei giudici del merito – la particolare tenuità del fatto.
Del resto, la Corte di appello evidenzia che le circostanze dedotte dalla difesa al fine del riconoscimento della causa di non punibilità sono state considerate dal primo giudice (v. pag. 8) al fine di applicare la sola pena pecuniaria e concedere le circostanze attenuanti generiche, giungendo ad una pena che la Corte territoriale ritiene – nell’esercizio del suo potere discrezionale, congrua e adeguata ai fatti, facendo buon governo dell’orientamento della Corte secondo cui Ł sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale
Nel giudizio di cassazione Ł dunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME non mass.), valutazione che si riverbera anche sulla dedotta violazione dell’articolo 133 cod. pen., nel senso della sua infondatezza.
Del pari inammissibile Ł l’ultima doglianza, posto che pacificamente – come evidenziato a pagina 9 della sentenza – Ł liquidabile all’ente pubblico territoriale il danno di immagine e di surplus di lavoro amministrativo cagionato dall’illecito (v., ex multis , Sez. 4, n. 24619 del 27/5/2014, Salute, Rv. 259153).
La legittimazione Ł correlata in questo caso alla lesione di un «diritto della personalità» dell’ente o dell’associazione, e cioŁ quello di agire a protezione dell’equilibrio dell’ambiente in un determinato luogo, la cui lesione cagiona quello che potrebbe definirsi «danno da afflizione».
Certamente non sindacabile Ł poi in questa sede di legittimità Ł la liquidazione del danno operata in via equitativa da parte dei giudici del merito, posto che, pacificamente, «in tema di risarcimento del danno, la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non può che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l’obbligo motivazionale mediante l’indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli Ł stato determinato l’ammontare del risarcimento» (Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, Rv. 274229 – 01; Sez. 1, n. 44477 del 25/10/2024, Rv. 287154 – 01).
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il ricorrente deve altresì essere condannato alla rifusione delle spese affrontate nel presente grado di giudizio dalla parte civile, che il Collegio liquida in complessivi euro 900,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 900,00, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 09/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME