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Ricorso inammissibile: condanna per reati ambientali

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per reati ambientali. La sentenza conferma la condanna al pagamento di un’ammenda e al risarcimento del danno in favore di un ente pubblico, sottolineando che un ricorso inammissibile si ha quando si limita a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di merito. La decisione ribadisce principi fondamentali sulla specificità dei motivi di ricorso e sulla liquidazione del danno morale all’ente pubblico.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione Conferma la Condanna per Reati Ambientali

Quando un ricorso per Cassazione si limita a ripetere argomenti già esaminati e respinti, il suo destino è segnato: si tratta di un ricorso inammissibile. Questo principio fondamentale della procedura penale è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza, che ha confermato la condanna di un imprenditore per un reato ambientale. La decisione offre spunti cruciali sulla necessità di specificità nelle impugnazioni e sul diritto degli enti pubblici a ottenere un risarcimento per i danni subiti.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un imprenditore per la violazione dell’articolo 279 del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale). In particolare, la sua azienda aveva operato per un lungo periodo senza la necessaria autorizzazione, la cui precedente era scaduta senza che fosse stata avviata la pratica di rinnovo. Il Tribunale di primo grado lo aveva condannato al pagamento di un’ammenda di 2.000 euro, con pena sospesa, e al risarcimento del danno in favore della Città Metropolitana, costituitasi parte civile.

La sentenza era stata integralmente confermata dalla Corte d’Appello. Non soddisfatto, l’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, basandolo su quattro motivi principali: la presunta assenza di colpa, la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), la violazione dei criteri di commisurazione della pena (art. 133 c.p.) e, infine, una contestazione sulla liquidazione del danno morale a favore della parte civile.

La Decisione della Cassazione: un Ricorso Inammissibile

La Corte Suprema ha tagliato corto, dichiarando il ricorso inammissibile nella sua interezza. La ragione principale, come sottolineato nell’ordinanza, risiede nel fatto che le argomentazioni dell’imputato non erano altro che una “pedissequa reiterazione” di doglianze già correttamente esaminate e respinte sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello.

La Cassazione ha ricordato un principio cardine: un’impugnazione, per essere ammissibile, deve contenere una critica argomentata e specifica contro la sentenza che si contesta, indicando con precisione le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che fondano il dissenso. Riprodurre semplicemente i motivi d’appello equivale a ignorare la sentenza di secondo grado e a mancare l’obiettivo stesso del ricorso.

Analisi dei Singoli Motivi di Impugnazione

Pur basando la decisione sulla ragione procedurale dell’inammissibilità, la Corte ha comunque esaminato, seppur brevemente, l’infondatezza dei singoli motivi:

1. Sulla colpa: La Corte ha ritenuto evidente l’elemento soggettivo del reato. L’azienda ha operato per un lungo periodo senza autorizzazione dopo la sua scadenza, un fatto oggettivo che integra la colpa, a nulla rilevando eventuali rassicurazioni verbali ricevute da un precedente amministratore.
2. Sulla particolare tenuità del fatto: La richiesta di applicare l’art. 131-bis c.p. è stata respinta. Il lungo arco temporale della commissione del reato, unito alle problematiche di molestie olfattive e inquinamento atmosferico evidenziate dall’ARPA, sono state considerate circostanze ostative al riconoscimento della particolare tenuità.
3. Sulla commisurazione della pena: La Corte ha ribadito che la determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice di merito. In questo caso, la pena pecuniaria era stata ritenuta congrua, avendo già tenuto conto delle attenuanti generiche. Un intervento della Cassazione sarebbe possibile solo in caso di manifesta illogicità, qui non sussistente.
4. Sul danno morale: È stata confermata la legittimità della liquidazione del danno a favore dell’ente pubblico. La giurisprudenza riconosce che un illecito ambientale lede l’immagine dell’ente e comporta un aggravio di lavoro amministrativo, danni che possono essere liquidati in via equitativa dal giudice.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su un pilastro del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Il ricorso non può essere un’occasione per chiedere ai giudici supremi una nuova valutazione dei fatti, ma deve servire a denunciare vizi di legge o difetti logici evidenti nella motivazione della sentenza impugnata. La presentazione di un ricorso inammissibile, perché meramente ripetitivo, non assolve a questa funzione critica e, pertanto, non può essere accolto.

La decisione evidenzia inoltre la coerenza della giurisprudenza nel valutare i reati ambientali. La durata della condotta illecita è un fattore determinante sia per escludere la tenuità del fatto sia per stabilire la colpevolezza. Allo stesso modo, viene consolidato il principio che il danno ambientale non è solo materiale, ma si traduce anche in un pregiudizio per la collettività, rappresentata dall’ente pubblico territoriale, che ha pieno diritto a esserne risarcito.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per la difesa: un ricorso per Cassazione deve essere costruito con argomenti nuovi e specifici, che si confrontino puntualmente con le motivazioni della sentenza d’appello. La semplice riproposizione di vecchie tesi conduce inevitabilmente all’inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Dal punto di vista sostanziale, la decisione rafforza la tutela dell’ambiente, confermando che le condotte illecite prolungate nel tempo sono considerate di particolare gravità e che gli enti territoriali hanno a disposizione strumenti efficaci per ottenere ristoro dei danni, anche non patrimoniali, subiti a causa di tali reati. La condanna dell’imprenditore è così diventata definitiva, chiudendo il cerchio di una vicenda giudiziaria che ribadisce la serietà con cui l’ordinamento persegue le violazioni in materia ambientale.

Perché un ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché si limitava a essere una “pedissequa reiterazione”, ovvero una semplice ripetizione, dei motivi già presentati e respinti dalla Corte d’Appello. Un ricorso in Cassazione, per essere valido, deve contenere una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata, non riproporre le stesse identiche doglianze.

È possibile ottenere l’assoluzione per “particolare tenuità del fatto” in caso di reato ambientale prolungato nel tempo?
Secondo la Corte, in questo caso non è stato possibile. La lunga durata della commissione del reato, unita ad altre circostanze negative come le molestie olfattive e i problemi di inquinamento atmosferico, è stata considerata un elemento ostativo al riconoscimento della particolare tenuità del fatto.

Un ente pubblico può chiedere il risarcimento del danno morale per un reato ambientale?
Sì, la Corte ha confermato la legittimità di tale richiesta. Un illecito ambientale causa un danno all’immagine dell’ente pubblico e un “surplus di lavoro amministrativo”. Questi pregiudizi sono risarcibili e il giudice può liquidarne l’importo in via equitativa, ovvero basandosi su un criterio di giustizia e proporzionalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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