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Ricorso inammissibile: condanna per droga confermata

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile contro una condanna per detenzione di stupefacenti. La Corte ha stabilito che, anche in assenza di possesso materiale della droga, la responsabilità penale può essere affermata sulla base di numerosi e concordanti elementi indiziari che dimostrano una disponibilità congiunta della sostanza con un altro soggetto. Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile e Spaccio: La Valenza degli Indizi

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di detenzione di stupefacenti, chiarendo come la responsabilità penale possa essere affermata anche in assenza del possesso materiale della sostanza. La decisione sottolinea l’importanza degli elementi indiziari e le conseguenze di un ricorso inammissibile. Questo provvedimento offre spunti fondamentali sulla valutazione della prova nel processo penale e sulla corretta strategia difensiva.

I fatti del caso: la condanna in appello

La vicenda giudiziaria ha origine da una sentenza della Corte di Appello che confermava una precedente condanna emessa dal Tribunale. Un individuo era stato ritenuto penalmente responsabile per reati legati agli stupefacenti e condannato a una pena di 4 anni e 8 mesi di reclusione, oltre a una multa di 22.000,00 euro. La condanna si basava sulla sua partecipazione a un’attività di detenzione di droga a fini di spaccio, sebbene la sostanza fosse stata materialmente trovata in possesso di un altro coimputato.

Il motivo del ricorso: una difesa basata sulla mancanza di prove dirette

Contro la sentenza di secondo grado, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo di impugnazione. La difesa sosteneva che la Corte di merito avesse erroneamente desunto la sua colpevolezza dalla sola circostanza di trovarsi insieme al coimputato che possedeva fisicamente lo stupefacente. Secondo il ricorrente, l’accusa non aveva fornito elementi sufficienti a dimostrare una sua effettiva partecipazione al reato, lamentando una carenza probatoria.

La decisione sul ricorso inammissibile della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. La decisione si fonda su una valutazione attenta delle motivazioni della sentenza impugnata e sulla corretta applicazione dei principi in materia di prova indiziaria.

La valutazione degli elementi indiziari

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, i giudici di legittimità hanno evidenziato come la condanna non si basasse sulla mera presenza dell’imputato sul luogo del fatto. La Corte di Appello, infatti, aveva adeguatamente motivato la propria decisione sulla base di numerosi elementi indiziari. Questi dati, considerati nel loro insieme, erano stati ritenuti ‘obiettivi e sintomaticamente deponenti’ per una comune disponibilità dello stupefacente da parte di entrambi i soggetti coinvolti.

L’onere della prova e la motivazione della sentenza

La Cassazione ha chiarito che il ricorrente non è riuscito a contrapporre alcun elemento logico o fattuale capace di privare gli indizi della loro ‘pregnanza sintomatica’. La Corte ha precisato che ciò non equivale a un’inversione dell’onere della prova. Piuttosto, di fronte a un quadro indiziario solido e coerente costruito dall’accusa e validato dai giudici di merito, la difesa ha il compito di offrire una lettura alternativa altrettanto plausibile, cosa che in questo caso non è avvenuta. La mancanza di una valida contro-argomentazione ha reso, secondo la Corte, ‘più che adeguatamente motivata’ la sentenza di conferma della responsabilità penale.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato perché la decisione dei giudici di merito era ancorata a un solido quadro indiziario. La responsabilità dell’imputato non derivava dalla semplice vicinanza al correo, ma da una serie di circostanze oggettive che, lette congiuntamente, dimostravano una sua piena partecipazione al progetto criminoso e una disponibilità condivisa della sostanza. La difesa non ha saputo incrinare la logicità di tale quadro, limitandosi a una critica generica che non trovava riscontro negli atti processuali. La Corte ha quindi ribadito il principio secondo cui la prova della colpevolezza può legittimamente fondarsi su elementi indiziari, purché questi siano gravi, precisi e concordanti, come ritenuto nel caso di specie.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un principio cardine del diritto processuale penale: la condanna per concorso in un reato non richiede necessariamente che ogni concorrente compia materialmente l’azione tipica. Nel caso della detenzione di stupefacenti, è sufficiente dimostrare, anche tramite indizi, la ‘comune disponibilità’ della sostanza. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso ha comportato, inoltre, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende, a monito contro la presentazione di impugnazioni palesemente prive di fondamento.

È possibile essere condannati per detenzione di stupefacenti senza avere la droga addosso?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che si può essere ritenuti responsabili se esistono numerosi elementi indiziari che dimostrano la ‘comune disponibilità’ della sostanza stupefacente insieme a chi la detiene materialmente.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché il motivo presentato era manifestamente infondato. Le argomentazioni della difesa non sono riuscite a confutare la logicità e la coerenza della motivazione della sentenza d’appello, che si basava su solidi elementi indiziari.

Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la persona che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come in questo caso in cui è stata fissata una somma di 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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