Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29696 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29696 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Noia il 02-04-1981, avverso la sentenza del 29-05-2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria di replica trasmessa dall’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso e ha invocato la prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 maggio 2024, la Corte di appello di Napoli confermava la decisione del 25 maggio 2023, con la quale il Tribunale di Avellino, concesse le attenuanti generiche, aveva condannato NOME COGNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 4 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 10 ter del d. Igs. n. 74 del 2000, a lui contestato perché, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, non versava, nel termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’Iva dovuta in base alla stessa dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta 2016, per un ammontare di 337.747 euro; fatto commesso in Marzano di Noia il 16 marzo 2017. Veniva parimenti confermata la statuizione con cui era stata disposta la confisca del profitto del reato.
Avverso la sentenza della Corte di appello partenopea, COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, è stata dedotta la violazione degli art. 178 e 420 ter cod. proc. pen., contestandosi il mancato accoglimento del legittimo impedimento addotto per l’udienza del 29 maggio 2024, in occasione della quale era stato depositato un certificato medico attestante l’impossibilità di movimento dell’imputato, fermo restando che, in caso di dubbio sull’attendibilità del certificato medico, il giudi avrebbe dovuto disporre la visita medica di controllo.
Con il secondo motivo, è stata eccepita l’inosservanza degli art. 17, 18, 33, 178 e 551 cod. proc. pen., rilevandosi che l’eccezione difensiva era volta al rispetto dell’art. 33 cod. proc. pen. e che l’assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio incide sulla costituzione del giudice.
Con il terzo motivo, la difesa contesta, sotto il profilo del vizio di motivazione la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, evidenziando che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza del Tribunale, l’esposizione debitoria del ricorrente non generava alcun obbligo di addebito dell’iva.
Il quarto motivo è infine dedicato alla confisca dei conti correnti, deducendosi al riguardo la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen., atteso che il conto corrente bancario non può formare oggetto di provvedimento cautelare, trattandosi di un rapporto contrattuale con un istituto di credito.
2.1. Con memoria trasmessa il 29 aprile 2025, il difensore di fiducia di COGNOME nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, eccependo l’intervenuta prescrizione del reato a far data dal 28 settembre 2024, epoca antecedente rispetto al deposito del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Iniziando dal primo motivo, deve premettersi che, all’udienza del 29 maggio 2024, la Corte territoriale ha rigettato l’istanza di rinvio proposta nell’interesse dell’imputato, rimarcando l’assoluta genericità del certificato medico prodotto, nel quale la dottoressa NOME COGNOME aveva attestato la necessità per COGNOME di osservare 8 giorni di riposo e cure “per motivi di salute”.
Orbene, il mancato accoglimento della richiesta di differimento appare immune da censure, essendo evidente che la genericità del certificato medico esibito dalla difesa era tale da impedire ogni verifica circa l’effettività dell’impedimento dedotto, non essendo indicata la diagnosi e dunque la ragione della necessità del riposo, essendo del tutto insufficiente il richiamo a non meglio precisati “motivi di salute”, motivi che invero anche nel ricorso non sono stati adeguatamente illustrati.
Ne consegue che la doglianza difensiva risulta manifestamente infondata.
2. La medesima conclusione si impone per il secondo motivo, che costituisce la riproposizione di un tema già adeguatamente affrontato nella sentenza gravata. La Corte territoriale, infatti, ha già chiarito che la riunione dei processi veni chiesta dalla difesa all’udienza del 24 febbraio 2022 e veniva ritualmente disposta all’udienza del 21 aprile 2022, per cui da quel momento è stato incardinato un unico processo assegnato allo stesso giudice, mentre la circostanza che in seguito, per uno dei procedimenti riuniti, sia stata disposta la separazione per la mancata celebrazione dell’udienza preliminare non rende illegittimo il fatto che il giudice che aveva disposto la riunione sia rimasto assegnatario dell’altro procedimento penale in precedenza riunito (peraltro proprio su istanza dalla difesa).
Pertanto, alcuna violazione né normativa né tabellare appare ravvisabile nel caso di specie, dovendosi in ogni caso rilevare che, ove pure fosse stata violata una previsione (che in ogni caso il ricorso non specifica quale fosse) delle tabelle di organizzazione dell’ufficio, non vi sarebbe spazio per alcuna nullità, avendo questa Corte più volte chiarito (cfr. Sez. 3, n. 8901 del 10/12/2024, dep. 2025, Rv. 287723 e Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, Rv. 270775) che l’assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio può incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice, determinando la nullità di cui all’art. 33, comma primo, cod. proc. pen., non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti evenienza questa senz’altro non configurabile nel caso di specie.
Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.
Con tale doglianza, infatti, la difesa si è limitata a censurare un breve passaggio della motivazione della sentenza di primo grado, senza confrontarsi non solo con le restanti argomentazioni della pronuncia del Tribunale (pag. 2) riferite alla ricostruzione del fatto, ma anche e soprattutto con la motivazione della decisione di appello (unica pronuncia impugnata in questa sede), nella quale (pag. 3) sono state richiamate dichiarazioni del funzionario dell’Agenzia delle Entrate NOME COGNOME da cui è emerso che NOME COGNOME, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, non ha versato, nel termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’Iva dovuta in base alla stessa dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta 2016, per un ammontare di 337.747 euro, risultando a fronte di ciò generica e meramente assertiva l’affermazione difensiva secondo cui l’esposizione debitoria del ricorrente non generava alcun obbligo di addebito dell’iva. Di qui la manifesta infondatezza delle censure difensive sul punto.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al quarto motivo, riguardante la statuizione della confisca, dolendosi la difesa del mancato dissequestro di un non meglio precisato contratto di conto corrente bancario che, ad avviso della difesa, non potrebbe mai formare oggetto di provvedimento cautelare, assunto questo privo di alcun aggancio normativo, per cui la doglianza, oltre che palesemente generica, risulta del tutto priva di fondamento, tanto più ove si consideri che, in materia di reati tributari, è senz’altro legittimo il seques delle somme esistenti o anche successivamente confluite su un conto corrente.
Resta solo da precisare che, al momento della sentenza impugnata (29 maggio 2024), non era ancora maturata la prescrizione del reato contestato, commesso il 16 marzo 2017, decorrendo il relativo termine di 7 anni e 6 mesi alla data del 16 settembre 2024, Né rileva la circostanza che la prescrizione sia intervenuta in epoca successiva all’emissione della sentenza impugnata, essendo la declaratoria di estinzione del reato impedita dal rilievo della manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, non consentendo l’inammissibilità originaria dei ricorsi per cassazione la valida instaurazione dell’ulteriore fase d impugnazione (cfr. Sez. 7, n. 6935 del 17/04/2015, dep. 2016, Rv. 266172).
In conclusione, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, in sintonia con le conclusioni del Procuratore generale, deve essere dichiarato inammissibile, con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle s processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13.05.2025