Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22295 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22295 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Borzonasca il 22/12/1972, COGNOME NOME, nato a Fonni il 20/03/1953, COGNOME NOME, nato a Ottaviano il 07/01/1970, COGNOME NOME nata a Sassari il 24/09/1972, avverso la sentenza in data 14/12/2023 della Corte di appello di Cagliari, visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo per COGNOME e COGNOME l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata e l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME e COGNOME, uditi per COGNOME l’avv. NOME COGNOME per COGNOME in delega dell’avv. NOME COGNOME l’avv. NOME COGNOME per COGNOME l’avv. NOME COGNOME per COGNOME l’avv.
NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo raccoglimento dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 14 dicembre 2023 la Corte di appello di Cagliari, in ti parziale riforma della sentenza in data 8 giugno 2022 del G.u.p. del Tribunale di Cagliari, ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME
secondo l’accordo ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. e ha confermato le pene nei confronti degli altri per i reati degli art. 416 cod. pen., 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (Azzena, Pagano e Scanu) e per il reato degli art. 56, 81 cpv. 110, 628, primo e terzo comma, n. 1 cod. pen. (Garippa e Pagano).
Azzena lamenta la violazione di norme processuali e il vizio di motivazione per la mancata riqualificazione dell’associazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 nei reati in concorso dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 nonché per la mancata assoluzione dal reato associativo dell’art. 416 cod. pen. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato.
2.1. Garippa deduce la violazione di norme processuali (primo motivo) e il vizio di motivazione (secondo motivo) per l’utilizzazione delle intercettazioni effettuate nel procedimento a carico di NOME COGNOME denuncia inoltre il vizio di motivazione in ordine alla configurazione del tentativo punibile di rapina (terzo motivo).
2.2. Pagano eccepisce il vizio di motivazione per travisamento delle prove e per omessa valutazione di una serie di prove decisive (primo motivo), il vizio di motivazione (secondo motivo) e la violazione di legge (terzo motivo) per omessa riqualificazione della fattispecie associativa dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 nell’ipotesi autonoma del sesto comma.
2.3. Scanu articola due motivi per vizio di motivazione, il primo per l’equivocità della prova a suo carico e il secondo per il mancato superamento del ragionevole dubbio ai fini della condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono manifestamente infondati.
Il presente procedimento ha tratto origine dalle complesse e prolungate indagini effettuate dal Nucleo Operativo Radio Mobile della Compagnia dei Carabinieri di Carbonia in seguito allo spunto investigativo offerto dalle intercettazioni della Procura della Repubblica di Cagliari relative a un’associazione a delinquere operante in Sardegna, capeggiata dai trafficanti di droga, NOME COGNOME e NOME COGNOME e dedita all’acquisto e allo smercio di rilevanti quantitativi di cocaina. Nel corso delle indagini, era emersa la figura di tale NOME COGNOME che era in stretti rapporti con tale NOME COGNOME. Questi era, a sua volta, in rapporti, tra gli altri, con NOME COGNOME, imprenditore napoletano con solidi legami in Gallura nonché con esponenti della criminalità organizzata napoletana e calabrese, con il sardo NOME COGNOME che curava gli interessi criminali in Corsica (donde il coordinamento con la polizia francese), con il sardo NOME COGNOME che operava in Toscana. Dalle intercettazioni era emerso che NOME dirigeva il
traffico di stupefacenti in Corsica grazie in particolare ad Azzena e Ledda nonché ai rispettivi figli e alla COGNOME; aveva poi rilevanti rapporti con COGNOME a Napoli attraverso il quale procurava i rifornimenti di stupefacente; era implicato con COGNOME e COGNOME in operazioni di assalto ai furgoni portavalori, tra cui in particolare la tentata rapina alla Mondialpol a Cecina.
NOME ha concordato la pena in appello e ciò nonostante ha contestato il mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. dai reati ascrittigli. L’esame nel merito è tuttavia precluso dalla rinuncia ai motivi di appello, ciò che non consente alcun recupero in sede di legittimità (Sez. 3, n. 51557 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285628 – 02). Non ricorre poi un’ipotesi di illegalità della pena (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277196), concordata nella misura di anni 10 di reclusione per il reato dell’art. 74 e per numerosi reati fine di cui all’art. 73, comma 1 e all’art. 73, comma 4 d.P.R. n. 309 del 1990; non sono stati dedotti vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato nonché al consenso del pubblico ministero sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170); non è è stata rappresentata l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481). Dunque, la censura sollevata esorbita dai limiti dell’art. 599-bis cod. proc. pen. ed è pertanto inammissibile.
COGNOME è stato condannato per il reato del capo 18) relativo al concorso nella tentata rapina in danno della Mondialpol di Cecina. Dall’istruttoria era emerso che aveva partecipato agli incontri in Toscana con i coimputati sardi e con il COGNOME; che 1’8 luglio 2019 si trovava nel parcheggio ad attendere l’escavatore necessario all’assalto; che era presente all’incontro in cui i coimputati avevano concordato tempi e modalità del prelievo dell’automezzo; che era stato presente a numerosi altri incontri per discutere delle organizzazioni e delle armi.
Con i primi due motivi ha contestato la decisione dei Giudici di merito di ritenere utilizzabili le intercettazioni disposte in altro procedimento, incardinato presso la Procura della Repubblica di Firenze. Si tratta di motivi ripetitivi che non si confrontano con le sentenze che hanno puntualmente applicato l’art. 270 cod. proc. pen. secondo cui i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto i flagranza (così nella formulazione originaria della norma, vigente ratione temporis). La Corte territoriale ha ribadito che le intercettazioni erano state decisive e che per la tentata rapina aggravata era previsto l’arresto in flagranza.
La verifica di tali condizioni, previste dal legislatore in deroga rispetto alla regol dell’inutilizzabilità, rende superflua l’indagine sulla connessione dei reati ed eccentrico l’obbligo di utilizzare le intercettazioni come notizia di reato. La difesa ha tratto gli argomenti difensivi dalla disamina dell’art. 270 cod. proc. pen. nella sentenza a Sezioni Unite Cavallo (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Rv. 277395 – 01), ma il caso in esame rientra pacificamente nella deroga stabilita dal legislatore, deroga che è stata confermata a livello interpretativo dalle Sezioni Unite.
Il terzo motivo attiene invece alla questione di merito del suo coinvolgimento nel reato di tentata rapina aggravata. La tesi propugnata è che il tentativo non fosse punibile, per cui meritava l’assoluzione con la formula utilizzata per il coimputato NOME COGNOME tant’era vero che la polizia giudiziaria, che era legittimata a intervenire quando gli atti avessero assunto la forma del tentativo, non era intervenuta. La censura non confuta gli argomenti utilizzati dai Giudici di merito a fondamento della condanna. Dall’istruttoria era emersa la partecipazione del Garippa a tutta la fase preparatoria all’assalto del portavalori. Nella sentenza impugnata sono indicate le riunioni con Dessì, con NOME e altri, nonché i relativi contenuti anche inerenti all’uso di armi, al cui deposito presso l’ovile di Dessì aveva personalmente assistito. La dinamica dei fatti è stata analiticamente riportata nelle pag. 177-192 della sentenza di primo grado, mentre nelle successive pagine, da 192 a 199 è stato esaminato lo specifico ruolo del ricorrente. E’ stato accertato che la rapina era saltata per l’imprevedibile difetto strutturale del camion utilizzato per il trasporto dell’escavatore. E’ stata esclusa qualsiasi sovrapposizione tra la posizione del Garippa e del Sepe, il quale è stato assolto per il trasporto dell’escavatore sul presupposto che tale frazione di condotta non fosse stata decisiva ai fini della condanna per la tentata rapina. Al contrario, è ineccepibile la motivazione della condanna del Garippa perché, ai fini della configurabilità del tentativo, assumono rilievo non solo i veri e propri atti esecutivi, ma anche quelli che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà perpetrato, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili, indipendenti dalla volontà dell’agente (Sez. 6, n. 46796 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285566 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6. COGNOME è stato condannato per il reato del capo 2) consistente nella partecipazione all’associazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e all’associazione dell’art. 416 cod. pen. con il ruolo di partecipe, addetto ai rapporti con la criminalità organizzata campana e calabrese, sia per il reperimento dello stupefacente che delle armi che dei mezzi necessari al compimento dei reati contro il patrimonio e
delle banconote false; per il reato del capo 18) relativo alla tentata rapina alla Mondialpol; per il reato del capo 27) relativo all’introduzione nel territorio dello Stato di banconote false per euro 50.000.
Nel primo motivo di ricorso COGNOME ha lamentato l’omesso esame di tutta una serie di documenti e dichiarazioni difensive comprovanti l’esercizio di attività lecite con la società di cui era legale rappresentante, RAGIONE_SOCIALE e ha sostenuto che disponeva di un solo cellulare e che le conversazioni erano inerenti esclusivamente alla sua attività d’impresa. La Corte territoriale aveva dunque travisato le prove e non aveva considerato che i loquenti parlavano dei lavori della fibra ottica in Sardegna e di depliant (il riferimento a “20” e “50” era relativo alle misure della brochure), inoltre, i punti di contatto campani e calabresi non erano soggetti legati alla criminalità organizzata.
Il motivo è generico, fattuale e rivalutativo.
Innanzi tutto, il ricorrente non ha dedotto di aver presentato la documentazione allegata al ricorso per cassazione all’attenzione del G.u.p. o della Corte di appello né ha confutato sul punto la motivazione della sentenza di primo grado né ancora ha contestato il riepilogo dei motivi di appello nella sentenza impugnata da cui appare evidente, invece, che la prospettazione difensiva degli affari leciti per i subappalti della fibra in Sardegna è stata eccentrica rispetto alla tesi propugnata con i motivi di appello dell’omessa partecipazione ai sodalizi criminosi.
Peraltro, si tratta di documenti comunque inidonei a scardinare la lettura delle prove offerta dai Giudici di merito. Il COGNOME non ha contestato l’esistenza dei sodalizi né che il COGNOME e il COGNOME ne fossero i capi. Ha negato invece di essere un partecipe perché i rapporti intrattenuti con i due (e con altri) erano legati alla sua attività d’impresa e all’interesse all’affare del subappalto della fibra in Sardegna. Al fine di dimostrare la sua tesi ha selezionato solo alcune conversazioni senza confrontarsi con numerose altre conversazioni con i predetti vertici o tra costoro ed altri soggetti, la cui lettura sinergica ha consentito la ricostruzione del complesso quadro criminoso. Si evidenzia inoltre che nella sentenza di primo grado il Giudice ha utilizzato una tecnica redazionale per così dire mista, in parte ha riportato le conversazioni per intero e in altra (e per la maggior) parte ne ha riportato delle sintesi. Va ricordato che, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337-01). Nel caso in esame, come si è detto, le censure hanno avuto a oggetto solo alcuni punti e sono
consistite in parte nella negazione dei fatti e in altra parte nella proposta di una lettura alternativa, non maggiormente persuasiva.
Il ricorrente ha affermato che 1’11 agosto 2019 con COGNOME e COGNOME non aveva parlato di traffici di sostanze stupefacenti, ma di tematiche differenti. La circostanza dedotta non si confronta con le sentenze di merito ove si dà ampia evidenza dell’attivismo di COGNOME e COGNOME nei predetti traffici di stupefacenti nonché delle conversazioni con il COGNOME che ne dimostrano il suo pieno coinvolgimento. Ha affermato che non aveva schede dedicate, ma non ha confutato specificamente la parte della motivazione della sentenza impugnata ove invece si legge che dagli sms scambiati l’ 8 luglio 2019 con NOME COGNOME era emerso che il messaggio al COGNOME non aveva avuto risposta perché inviato a un’utenza “pulita” e non a un’utenza “dedicata” di cui pure il COGNOME disponeva. L’espressione “guadagno nostro” doveva essere intesa come guadagno personale del Pagano per l’attività lecita. In realtà, nell’atto di appello, stando al riepilogo de motivi a pag. 22 della sentenza impugnata, risulta che la contestazione dell’espressione era riferita al destinatario del guadagno, “nostro” nel senso di personale e non destinato alla cassa comune. Invece, inammissibilmente, nella prospettiva del ricorso per cassazione è stato riferito al guadagno lecito.
Il ricorrente ha sostenuto anche che non vi erano elementi a suo carico con riferimento alle armi, il che è sconfessato dalla motivazione della sentenza in primo grado in vari punti, ove è riportato il riassunto delle intercettazioni, e nell motivazione della sentenza di secondo grado a pag. 40 ove si legge che si era interessato presso il suo punto di riferimento calabrese per procurare dei micidiali fucili mitragliatori TARGA_VEICOLO, del tipo di quelli che avrebbero dovuto essere utilizzati nella rapina della RAGIONE_SOCIALE. Ha proposto anche una lettura parcellizzata degli incontri a Napoli, richiamando le dichiarazioni difensive secondo cui COGNOME e NOME erano venuti presso la sua sede a parlare dell’affare della fibra. I Giudici di merito hanno ricostruito in fatto che gli incontri erano stati molteplici sia a Napoli che in Sardegna ed erano finalizzati alla programmazione della rapina di Cecina. Il reato del capo 27) è descritto nel dettaglio con riferimento alle conversazioni tra i vari partecipi e a tutte le informazioni di contesto (pag. 82-176 della sentenza di primo grado, pag. 40-41 della sentenza di secondo grado). Particolarmente accurata è stata la descrizione del ruolo di COGNOME che doveva occuparsi dell’escavatore. Il ricorrente ha negato l’idoneità degli atti alla consumazione del reato, ma sul punto vi è precisa motivazione, come detto per COGNOME.
Infine, ha lamentato l’interpretazione della parola depliant proponendo una lettura parcellizzata solo di alcune conversazioni, senza confrontarsi con gli argomenti spesi dalla sentenza di primo grado a pag. 227-230 e con la sentenza di secondo grado a pag. 42 ove si dà ampia evidenza delle ragioni per cui i loquenti
discutevano dell’ingresso nel territorio dello Stato di banconote false in rilevanti importi.
Il secondo e il terzo motivo sono del pari generici perché non tengono conto del fatto che le intercettazioni, in particolare delle conversazioni tra COGNOME,
NOME e COGNOME hanno restituito il dato della programmazione di traffici di vari tipi di sostanza stupefacente in quantitativi dell’ordine di 100 chili a settimana. Al
contrario di quanto rappresentato nel ricorso, è stato accertato che l’organizzazione era solida e ben ramificata con plurimi interessi illeciti.
7. Infine, COGNOME ha articolato due motivi del tutto inconsistenti. La sentenza di secondo grado ha precisato che il COGNOME aveva ricevuto 15 chili di stupefacente,
di cui ne aveva assegnati 3 alla Scanu donde la condanna per detenzione (capo
5). Quanto al reato del capo 6), ha ribadito che la condanna era basata sulle dichiarazioni del COGNOME che aveva parlato di 250 grammi di cocaina di cui la COGNOME
aveva decantato la qualità superiore perché coinvolta nella sua illecita detenzione e cessione. La prova è stata valutata logicamente e la motivazione resiste alle
censure sollevate.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità dei ricorsi, in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, l’11 febbraio 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente