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Ricorso inammissibile: Cassazione su spaccio lieve

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da due imputati contro una condanna per spaccio. La Corte ha ritenuto i motivi infondati, generici o basati su questioni di fatto non riesaminabili in sede di legittimità, confermando la valutazione della Corte d’Appello sulla quantità ‘significativa’ di stupefacenti che esclude l’ipotesi di spaccio lieve.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione e i Limiti del Giudizio di Legittimità

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come la Corte di Cassazione valuti i ricorsi in materia penale, delineando i confini tra questioni di diritto e questioni di fatto. Il caso riguarda due imputati che, dopo una condanna della Corte d’Appello, hanno presentato ricorso sperando in una revisione della loro posizione. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, una decisione che sottolinea principi fondamentali della procedura penale, specialmente per reati legati agli stupefacenti.

I Fatti alla Base del Ricorso

Due soggetti, condannati nei gradi di merito per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, hanno impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Potenza. Le loro difese si basavano su diversi motivi.

Un ricorrente sosteneva che la sua condotta dovesse essere riqualificata come ‘fatto di lieve entità’ ai sensi dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti. Inoltre, contestava l’interpretazione delle intercettazioni telefoniche fatta dai giudici di merito e riteneva inadeguata la riduzione della pena per le attenuanti generiche.

L’altro ricorrente, similmente, chiedeva la riqualificazione del reato in fatto di lieve entità e contestava in modo generico le argomentazioni della Corte territoriale sulla sua responsabilità penale.

La Decisione della Corte di Cassazione: il ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, dichiarandoli inammissibili e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza, ma si concentra sulla correttezza formale e sostanziale dei motivi presentati.

Per il primo imputato, la Corte ha stabilito che:
1. Il motivo sulla riqualificazione del reato era manifestamente infondato. La sentenza d’appello aveva già motivato la sua decisione basandosi sul quantitativo ‘significativo’ di sostanza ceduta, un elemento di fatto che esclude la lieve entità.
2. La richiesta di una diversa interpretazione delle intercettazioni è una questione di merito, non valutabile in sede di legittimità. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice di merito.
3. Anche il motivo sulla pena era infondato, poiché la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione senza incorrere in vizi logici.

Per il secondo imputato, i motivi del ricorso inammissibile sono stati:
1. La genericità e la natura confutativa del primo motivo, che si limitava a contestare la decisione senza addurre specifici vizi di legge.
2. L’infondatezza manifesta del secondo motivo, speculare a quello del primo ricorrente, sulla base della già accertata quantità ‘significativa’ della sostanza stupefacente.

Le Motivazioni: la Funzione della Corte di Cassazione

La decisione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento: la netta distinzione tra il giudizio di merito e il giudizio di legittimità. Le Corti d’Appello e i Tribunali valutano i fatti e le prove (testimonianze, perizie, intercettazioni). La Corte di Cassazione, invece, ha il compito di verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria.

Nel caso specifico, i ricorrenti chiedevano alla Suprema Corte di compiere una nuova valutazione dei fatti (la quantità di droga, il significato delle conversazioni), un’attività che le è preclusa. Il ‘quantitativo significativo’ era un dato di fatto già accertato e motivato, che rendeva manifestamente infondata la richiesta di applicare l’ipotesi del fatto di lieve entità. La dichiarazione di inammissibilità è la conseguenza diretta di un ricorso che non rispetta questi limiti.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza ribadisce un messaggio importante per chi intende ricorrere in Cassazione: i motivi di ricorso devono essere specifici, pertinenti al diritto e non possono limitarsi a contestare la valutazione delle prove fatta nei gradi precedenti. Un ricorso inammissibile non solo non ottiene il risultato sperato, ma comporta anche conseguenze economiche per il ricorrente, come la condanna alle spese e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende. La decisione, citando la giurisprudenza della Corte Costituzionale, sottolinea che tale sanzione è dovuta quando l’impugnazione è proposta con colpa, ossia senza una seria valutazione delle sue possibilità di accoglimento.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è inammissibile quando i motivi sono manifestamente infondati, generici, di natura confutativa o quando pretendono un riesame dei fatti già valutati dai giudici di merito, attività preclusa alla Corte di Cassazione.

Perché la Corte non ha riqualificato il reato come ‘spaccio di lieve entità’?
La Corte ha ritenuto inammissibile la richiesta perché la sentenza impugnata aveva già escluso tale possibilità sulla base di una valutazione di fatto, ovvero il quantitativo ‘significativo’ di sostanza stupefacente ceduta. La Cassazione non può rimettere in discussione questa valutazione di merito.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende. Ciò avviene perché si ritiene che il ricorso sia stato proposto senza un fondamento giuridico valido e quindi ‘in colpa’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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