Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14722 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14722 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Mugnano di Napoli (Na) il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 25/5/2023 della Corte di appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con memoria
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25/5/2023, la Corte di appello di Ancona confermava la pronuncia emessa il 6/7/2021 dal Tribunale di Ascoli Piceno, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole dei delitti di cui agli artt. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, 337 cod. pen., e condannato – con rito abbreviato – alla pena di 4 anni, 2 mesi di reclusione e 18.200,00 euro di multa.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen.; vizio di motivazione. A fronte della richiesta di procedere con rito abbreviato “secco”, il Giudice avrebbe disposto d’ufficio un’integrazione istruttoria – una perizia – sul presupposto che vi fosse un’assoluta esigenza probatoria, peraltro non specificata; il Giudice, dunque, si sarebbe avvalso di questo potere al di fuori dei casi consentiti, ossia l’indispensabilità ai fini del decidere, con conseguente violazione delle garanzie a tutela dell’imputato;
violazione di legge e vizio di motivazione sono poi dedotti quanto all’art. 73 contestato. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna con argomento lacunoso ed illogico, non considerando numerosi elementi decisivi; tra questi, a) che il narcotest avrebbe dato esito positivo alla cocaina (sostanza, peraltro, mai assunta dal ricorrente), a differenza della perizia, che avrebbe riconosciuto l’eroina; b) che il ricorrente, già sottoposto a perquisizione domiciliare il 6/3/2020, ne avrebbe subita un’altra il 13/3/2020, in pieno lockdown per pandemia, così non potendosi comprendere come lo stesso si sarebbe procurato lo stupefacente, stando peraltro in regime di arresti domiciliari e costantemente monitorato. La sentenza, ancora, non avrebbe valutato numerosi argomenti in fatto, richiamati alle pagg. 8-9 del ricorso, che renderebbero tutt’altro che certa l’affermazione di responsabilità. Sotto altro profilo, poi, la Corte di appello avrebbe omesso ogni motivazione quanto all’eventuale uso personale della sostanza, sebbene compatibile con la condizione di assuntore, da oltre 20 anni, e con una situazione di fatto – il citato lockdown che avrebbe reso del tutto verosimile e logico precostituirsi una scorta di sostanza per esclusivo uso personale. Infine, si contesta la motivazione apparente quanto al mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
violazione di legge e vizio di motivazione sono dedotti, ancora, con riguardo al delitto di cui all’art. 337 cod. pen., per il quale mancherebbe ogni accertamento in concreto. In particolare, non si comprenderebbe come lo COGNOME avrebbe commesso resistenza attiva, considerando che erano intervenuti ben 5 agenti di Polizia;
infine, si contestano l’illogicità e l’assenza di motivazione, oltre all’erronea applicazione della legge penale, quanto alla mancata esclusione della recidiva ed alla mancata ritenuta prevalenza su questa delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, che contesta l’integrazione istruttoria disposta dal Giudice d’ufficio in sede di giudizio abbreviato, il Collegio rileva, per
un verso, il carattere del tutto generico della stessa censura (che lamenta una compromissione delle garanzie non specificata e, invero, non ravvisabile), e, per altro verso, l’adeguatezza della motivazione resa sul punto dalla Corte di appello; la sentenza, in particolare, ha rilevato che l’accertamento sulla natura della sostanza sequestrata risultava davvero indispensabile ai fini della decisione, attesa la norma contestata ex art. 73 citato, ed a fronte della dichiarata inutilizzabilità delle risultanze dell’accertamento tecnico dei Carabinieri, in quanto depositato oltre il termine di chiusura delle indagini preliminari.
Nessun rilievo, pertanto, può essere mosso alla sentenza al riguardo.
5. In ordine, poi, al secondo motivo, in punto di responsabilità, il Giudice del merito ha congruamente sottolineato il carattere congetturale delle considerazioni difensive, legate al periodo di lockdown nel quale i fatti erano avvenuti, alla perquisizione subita appena 7 giorni prima dallo stesso imputato, all’impossibilità di conoscere fonti di approvvigionamento ed eventuali acquirenti della sostanza, allo stato di consumatore abituale e, dunque, di soggetto interessato a precostituirsi una scorta di stupefacente, specie in un periodo in cui era vietato allontanarsi dalla propria abitazione (nella quale, peraltro, lo COGNOME era in regime di arresti donniciliari). Ebbene, tutti questi argomenti – peraltro ribaditi i sede di legittimità sebbene a carattere fattuale, dunque qui inammissibili – sono stati correttamente giudicati privi di qualunque riscontro, oltre che confutati dai pacifici esiti istruttori, che avevano visto il ricorrente in possesso di eroin (inizialmente indicata dagli operanti come cocaina, per esito di narcostest poi “superato” da successivi accertamenti più approfonditi, non contestati), nei termini diffusamente richiamati alla pag. 5 della sentenza di primo grado; ebbene, il quantitativo di stupefacente, idoneo a confezionare alcune centinaia di dosi singole e, dunque, non certo modesto, ha costituito argomento non manifestamente illogico a sostegno dell’accusa, anche alla luce della situazione economica del ricorrente – non contestata – che non avrebbe consentito l’acquisto di simili quantità di sostanza se non per una destinazione prevalentemente a terzi. Quanto, poi, agli argomenti del gravame che la Corte di appello non avrebbe valutato (abitazione dell’imputato; incertezza circa il confezionamento; assenza di servizi di osservazione sull’attività di spaccio o di sommarie informazioni di acquirenti), il Collegio ritiene che gli stessi – peraltro non decisivi – siano implicitamente assorbiti nelle considerazioni della sentenza, anche alla luce della pronuncia di primo grado. Altrettanto congetturali e proprie del solo giudizio di merito, dunque inammissibili, sono infine le considerazioni in ordine alla destinazione delle sostanze ad uso esclusivamente personale, in funzione di scorta, invocata dal ricorrente senza alcun sostegno istruttorio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con riguardo, poi, all’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, il Collegio non ritiene che la sentenza contenga una motivazione apparente, “soffermandosi esclusivamente sul dato quantitativo della sostanza”, come si legge nel ricorso. In senso contrario, infatti, si osserva che la Corte di appello ha richiamato – oltre quest’ultimo – anche le modalità del fatto, commesso dall’imputato in regime di arresti domiciliari, ad evidenza, dunque, di una condotta tutt’altro che tenue.
In ordine, di seguito, al delitto di resistenza a pubblico ufficiale, la sentenza – nel rispondere alla stessa censura di irragionevolezza qui ripetuta – ha sottolineato che le precise dichiarazioni degli operanti escludevano ogni dubbio sulla colpevolezza dello COGNOME. Le stesse dichiarazioni, tali da integrare il delitto di cui all’art. 337 cod. pen., non costituiscono, peraltro, argomento di censura in questa sede, così da confermarsi la loro piena attendibilità anche con riguardo al capo A) in esame.
Infine, quanto alla mancata disapplicazione della recidiva, il Collegio rileva ancora l’adeguatezza della motivazione impugnata, che ha evidenziato la “assoluta molteplicità” dei precedenti penali, anche in materia di stupefacenti, di violenza alla persona e resistenza a pubblico ufficiale. Ancora, è stata richiamata la significativa circostanza di un reato – quello in oggetto – commesso in regime di arresti domiciliari, ad evidenziare una pericolosità sociale sempre più significativa. Quel che, del pari, ha adeguatamente impedito anche ogni differente bilanciamento – diverso dall’equivalenza – con le circostanze attenuanti generiche.
Quanto, infine, alla mancata conversione della pena in lavori di pubblica utilità, la sentenza ha ben riconosciuto che quella applicata risultava a ciò ostativa, in assenza della riqualificazione della condotta ai sensi del comma 5 citato.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2024
Il ansigliere estensore
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