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Ricorso inammissibile: Cassazione su appello generico

Una donna è stata condannata per insolvenza fraudolenta e appropriazione indebita. Ha presentato ricorso in Cassazione, ma è stato respinto perché i motivi erano una mera ripetizione di quelli già presentati in appello. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in quanto privo di una critica specifica e argomentata contro la decisione di secondo grado, risultando quindi generico e infondato.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: La Cassazione e la reiterazione dei motivi d’appello

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11752/2024, ha ribadito un principio fondamentale del processo penale: un ricorso inammissibile è tale quando si limita a riproporre le stesse censure già formulate in appello, senza una critica specifica e argomentata della decisione impugnata. Questo caso offre uno spunto essenziale sull’importanza della specificità degli atti di impugnazione.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda una donna condannata in primo e secondo grado per i reati di insolvenza fraudolenta e appropriazione indebita. La difesa ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, articolando ben undici motivi di doglianza. Questi spaziavano da presunti vizi procedurali, come la validità della querela e l’escussione di un testimone non in lista, a critiche sulla valutazione delle prove e sul trattamento sanzionatorio, incluso il mancato riconoscimento di attenuanti e della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

L’analisi della Cassazione e il ricorso inammissibile

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso nel suo complesso infondato, sottolineando come la maggior parte dei motivi fossero inammissibili. Il fulcro della decisione risiede nel concetto di “apparenza” del motivo di ricorso. Secondo la giurisprudenza consolidata, non è sufficiente ripresentare le medesime questioni già respinte dalla Corte d’Appello. Per superare il vaglio di ammissibilità, il ricorrente deve sviluppare una critica puntuale e argomentata contro il provvedimento “attaccato”, evidenziando le ragioni della sua erroneità e la decisività dei vizi denunciati rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito. La semplice reiterazione rende il ricorso inammissibile perché non assolve alla sua funzione tipica, che è quella di censurare la sentenza di secondo grado, non di riproporre un terzo grado di giudizio sul merito.

La gestione delle questioni procedurali

Per quanto riguarda i vizi procedurali sollevati, la Corte ha agito come “giudice del fatto” processuale, esaminando direttamente gli atti. Ha così accertato che la querela era stata validamente presentata da un soggetto munito di formale delega da parte dell’amministratore della società offesa. Allo stesso modo, l’audizione di un testimone in sostituzione di un altro è stata ritenuta legittima, poiché l’esame è stato condotto ritualmente e le dichiarazioni erano pertinenti. Questi punti dimostrano che, di fronte a un’accusa di error in procedendo, la Cassazione può e deve verificare la fondatezza della censura direttamente sugli atti.

La genericità delle censure sul merito e sulla pena

La maggior parte degli altri motivi è stata liquidata come generica, reiterativa e manifestamente infondata. Le critiche sulla valutazione della responsabilità, sulla credibilità del testimone e sul mancato riconoscimento dello stato di necessità sono state considerate una mera riproposizione dei motivi d’appello, senza un confronto critico con le argomentazioni della Corte territoriale. Analogamente, le doglianze sul trattamento sanzionatorio sono state respinte perché la sentenza impugnata aveva fornito una giustificazione adeguata, basata su elementi concreti come i precedenti penali dell’imputata e l’entità non irrisoria del danno, per negare le attenuanti e considerare equa la pena irrogata.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di economia processuale e di rispetto dei gradi di giudizio. La Cassazione non è un terzo giudice di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non riesaminare i fatti. Un ricorso che si limita a ripetere le argomentazioni già disattese, senza spiegare perché la motivazione della Corte d’Appello sia illogica o errata in diritto, è considerato solo apparente. La Corte ha chiarito che, anche in caso di mancata risposta esplicita a un motivo d’appello, non si ha un vizio di motivazione se quel motivo era manifestamente infondato, come nel caso di specie per la questione della querela. La decisione impugnata, seppur con motivazione sintetica, aveva risposto in modo concludente a tutte le censure, rendendo i rilievi del ricorrente privi di capacità demolitoria.

Le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per la pratica forense. La redazione di un ricorso per cassazione richiede un’analisi critica e approfondita della sentenza di secondo grado. Non basta essere in disaccordo con la decisione; è necessario dimostrare, con argomenti specifici e pertinenti, dove e perché il giudice d’appello ha sbagliato. La pedissequa reiterazione dei motivi d’appello conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali. Per avere successo in Cassazione, l’impugnazione deve evolvere da una semplice lamentela a una critica strutturata e giuridicamente fondata.

Quando un ricorso per cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso per cassazione è considerato inammissibile quando si risolve nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito. Per essere ammissibile, deve contenere una critica argomentata specifica contro la sentenza impugnata, indicando le ragioni della sua decisività.

La presentazione della querela da parte di un soggetto delegato è valida?
Sì, la sua presentazione è valida. La Corte, esaminando gli atti processuali, ha verificato l’esistenza di una formale delega rilasciata dall’amministratore della persona offesa al soggetto che ha materialmente presentato l’atto di querela, ritenendo pertanto la procedura pienamente legittima.

Un precedente penale può impedire la concessione delle attenuanti generiche?
Sì. La sentenza conferma che la presenza di precedenti penali a carico dell’imputato può costituire, da sola, un motivo sufficiente per il giudice per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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