Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4813 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4813 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME – COGNOME NOME .
Data Udienza: 11/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano e dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Curtatone il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Lugo il DATA_NASCITA
COGNOME, nato a La Spezia il DATA_NASCITA
NOME, nato a Inverness (Gran Bretagna) il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Sanremo il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
NOME COGNOME, nato in Pakistan il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Pisa il DATA_NASCITA
Banca Monte dei Paschi RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE– RAGIONE_SOCIALE
4.
17. RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 06/05/2022 della Corte di appello di Milano visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta da Consiglieri NOME COGNOME e NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso della parte civile RAGIONE_SOCIALE, in conseguenza della revoca della sua costituzione quale parte civile, e del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano;
udito il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, che ha depositato dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile con le ricevute di avvenuta notifica, nonché procura speciale;
udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso a ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore della parte civile Banca d’Italia, AVV_NOTAIO, che non ha rassegnato conclusioni evidenziando la sopravvenuta carenza d’interesse a seguito della revoca della costituzione della parte civile RAGIONE_SOCIALE;
udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e la condanna degli imputati e dei responsabili civili al risarcimento del danno e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese; udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME COGNOME altri, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e la condanna degli imputati e dei responsabili civili al risarcimento del danno e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese; udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e ha depositato conclusioni scritte;
udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale;
udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME,
AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e la condanna degli imputati e dei responsabili civili al risarcimento del danno e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese; udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed eredi di NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e la conferma delle statuizioni civili della sentenza di primo grado e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e la conferma delle statuizioni civili della sentenza di primo grado e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME,NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME:NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOMENOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME NOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOMECOGNOME NOME
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COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale;
udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale;
udito il difensore della parte civile NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, e NOME COGNOME, AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO, che ha chiesto la condanna degli imputati al risarcimento del danno e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore delle parti civili RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOMENOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME, RAGIONE_SOCIALE Suisse Index Fund e NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME
4 COGNOME
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inammissibile o, in subordine, rigettato;
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha riformato la sentenza del Tribunale di Milano del 8 novembre 2019 che aveva affermato la penale responsabilità:
di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati loro ascritti al capo A) – con riferimento alle condotte di cui ai sottocapi A4) e A5) (reati cP falso in bilancio) ai capi B), C), D), H), I) 3) e K) (reati di ostacolo alla vigilanza, aggiotag informativo e falso in prospetto);
di NOME COGNOME per i reati ascrittigli al capo A) – con riferimento al condotte di cui ai sottocapi A4) e A5) – e ai capi B), D) e I) (falso in bilanc aggiotaggio informativo e falso in prospetto);
di NOME COGNOME per i reati ascrittigli al capo A) – con riferimento all condotte di cui ai sottocapi A4) e A5) – e ai capi B), C) (falso in bilancio, aggiotaggi informativo e ostacolo alla vigilanza);
di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME. NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, per i reati loro ascritti al capo A) – con riferimento alle condotte di cui ai sottocapi A4) e A5) – e al capo B);
di NOME e NOME COGNOME per i reati loro ascritti al capo A) – con riferimento alle condotte di cui ai sottocapi A4) e A5) – e ai capi B) e C).
Con la sentenza di primo grado il Tribunale, escluse le aggravanti della transnazionalità e del grave danno ai risparmiatori e ritenuta la continuazione tra i reati, aveva condannato i predetti imputati alle pene di giustizia.
Inoltre, il Tribunale aveva dichiarato RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE responsabili degli illeciti amministrativi previsti dalla legge 231 del 2001 loro rispettivamente ascritti ai capi L), M), N), O), P) e Q), applicando le sanzioni di legge e ordinando la confisca della somma di C 88.000.000,00 a carico RAGIONE_SOCIALE, nonché della somma di C 64.891.000,00 a carico di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, anche per equivalente.
Infine, gli imputati e le banche sopra indicate, quali responsabili civili, eran stati condannati al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite. specificamente, per quanto di interesse in questa sede, il Tribunale aveva condannato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME e i responsabili civili Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Plc RAGIONE_SOCIALE, in solido, al risarcimento dei danni in favore di RAGIONE_SOCIALE in relazione ai capi B), C), D) e H).
Il Tribunale aveva, invece, dichiarato non doversi procedere, per estinzione dei reati loro rispettivamente ascritti per intervenuta prescrizione, nei confronti
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NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di cui ai sottocapi Al), A2) e A3); di NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME per i reati di cui ai sottocapi A2) e A3); di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi E), F) e G); di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui al capo E).
Le operazioni finanziarie oggetto di contestazione e di addebito sotto il profilo della falsa comunicazione ai creditori, al mercato finanziario e agli enti di vigilanza con condotte varie poste in essere dal 2008 al 2012, possono sin da ora indicarsi come «operazione RAGIONE_SOCIALE», «operazione COGNOMErini», «operazione NOME» e «operazione RAGIONE_SOCIALE classico».
La Corte di appello, per quanto di interesse in questa sede, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, dichiarando non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti ai capi I) e J), nonché K) (delitti di falso in prospe limitatamente alle condotte sino al 9 agosto 2011, perché estinti per prescrizione, ha assolto gli imputati dalle imputazioni di cui ai capi A4), A5), B), C), D), (delitti di falso in bilancio, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza) – quest’ultim relazione alle condotte del 22 marzo 2012 – perché il fatto non sussiste, e ha assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME dalle imputazioni loro ascritte al capo H) (ostacolo alla vigilanza) perché il fatto non sussiste in relazione all’ipotesi di all’art. 2638, primo comma, cod. civ. e perché il fatto non costituisce reato in relazione all’ipotesi di cui all’art. 2638, secondo comma cod. civ.; ha pure revocato le statuizioni civili e ha assolto RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE dagli illeciti amministrativi rispettivamente ascritti ai capi L), M), N), O), P) e Q) per insussistenza dei reati presupposti revocando anche le confische disposte nei confronti di dette società.
2. Secondo l’ipotesi accusatoria, fatta propria dal Tribunale, la Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE (da qui in poi indicata con la sigla RAGIONE_SOCIALE), a seguito della delibera del consiglio di amministrazione del 8 novembre 2007 di acquisire la Banca RAGIONE_SOCIALE al prezzo di nove miliardi di euro, aveva la necessità di reperire capitali per sostenere il relativo onere economico, sollecitata in tal senso anche dalla Banca d’Italia. A tale scopo era stato deliberato, tra l’altro, un aumento di capitale di un miliardo di euro riservato alla banca americana JP Morgan ed in tale contesto si innesta la c.d. operazione RAGIONE_SOCIALE, che riguarda detto aumento di capitale; secondo il Tribunale, non si sarebbe trattato di un vero aumento di capitale, in quanto l’operazione avrebbe dato vita ad uno strumento ibrido, studiato, con la collaborazione della banca americana, in modo tale da poter essere
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formalmente iscritto in bilancio e computato nel patrimonio di vigilanza, sebbene non ne sussistessero i presupposti, trattandosi, piuttosto, di una operazione a debito (v. capo Al, già dichiarato prescritto dal Tribunale, e capo D).
La medesima finalità avrebbe ispirato le operazioni «COGNOMErini», avviata con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE AG e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE AG RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ed «NOME», avviata con la RAGIONE_SOCIALE. La prima aveva lo scopo di coprire contabilmente le perdite che alla fine dell’anno 2008 sarebbero maturate in seno alla società veicolo RAGIONE_SOCIALE, partecipata interamente da RAGIONE_SOCIALE e la seconda quello di non far emergere in bilancio il costo di sostituzione del portafoglio sottostante le notes «NOME» (v. capo A4 e A5 e capi B, C).
Infine, con l’operazione RAGIONE_SOCIALE classico, RAGIONE_SOCIALE ha dismesso alcuni beni immobili al fine di contabilizzarne le plusvalenze nel patrimonio di vigilanza e nel bilancio consolidato. L’operazione sarebbe, tuttavia, stata strutturata in più contratti che comportavano a carico della banca senese una serie di oneri ed obblighi, non tutti portati a conoscenza delle autorità di vigilanza, RAGIONE_SOCIALE e Banca di Italia, e che escludevano la ricorrenza di una true sale, ossia di una effettiva dismissione dal patrimonio della banca, necessaria per la contabilizzazione delle plusvalenze nel patrimonio di vigilanza (v. capo H).
2.1 In particolare, quanto all’operazione RAGIONE_SOCIALE.H., il Consiglio di Amministrazione di RAGIONE_SOCIALE deliberava l’aumento di capitale riservato a RAGIONE_SOCIALE per un importo, comprensivo di sovrapprezzo, di quasi un miliardo di euro ed il 15 aprile 2008 RAGIONE_SOCIALE sottoscriveva l’acquisto delle azioni; le azioni erano al servizio dell’emissione da parte di RAGIONE_SOCIALE of New York (COGNOME), fiduciaria di 3PM, di titoli obbligazionari denominati «F.RAGIONE_SOCIALE.H.»; con il prezzo versato dagli obbligazionisti, RAGIONE_SOCIALE acquisiva la liquidità necessaria per corrispondere a RAGIONE_SOCIALE il prezzo delle azioni sottoscritte. L’operazione includeva, quindi, più contratti collegati tra loro, diretti a regolare i rapporti tra i diversi soggetti interess contratto di sottoscrizione delle azioni tra 3PM e RAGIONE_SOCIALE; il fiduciary contract che disciplinava le caratteristiche degli strumenti collocati sul mercato e i rapporti tr COGNOME e i sottoscrittori dei titoli; un contratto di usufrutto tra 3PM e RAGIONE_SOCIALE; due contratti di swap agreement di cui il primo stipulato tra JPM e RAGIONE_SOCIALE e il secondo tra COGNOME e 3PM.
Il contratto di usufrutto prevedeva: la costituzione del diritto di usufrutto favore di RAGIONE_SOCIALE, di durata trentennale, sulle azioni di nuova emissione sottoscritte da JPM, il pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE di un canone da corrispondere a RAGIONE_SOCIALE a partire dal 16 luglio 2008, dunque dopo l’approvazione del bilancio dell’anno 2007, ogni tre mesi (in corrispondenza delle medesime date in cui veniva corrisposta la cedola dei «F.R.E.S.H.»); la rinuncia da parte di RAGIONE_SOCIALE ai diritti patrimoniali sulle azioni; la sospensione del diritto di voto inerente i titoli azionari.
In base alla clausola 4.5.1. del contratto di usufrutto del 16 aprile 2008 il canone era dovuto se RAGIONE_SOCIALE avesse, in base all’ultimo bilancio individuale, realizzato profitti distribuibili ovvero avesse deliberato o corrisposto dividendi a qualsiasi categoria di azionisti.
NOME e COGNOME, il 16 aprile 2008, stipulavano uno swap agreement in base al quale: COGNOME si impegnava a versare a 3PM l’importo di un miliardo di euro derivante dalla sottoscrizione delle obbligazioni «RAGIONE_SOCIALE.» da parte degli obbligazionisti; RAGIONE_SOCIALE si impegnava a versare a COGNOME importi pari a quelli che quest’ultima era tenuta a pagare agli obbligazionisti in base alle condizioni delle obbligazioni «RAGIONE_SOCIALE»; 3PM si impegnava a trasferire a COGNOME le azioni RAGIONE_SOCIALE che la seconda era tenuta a consegnare agli obbligazionisti in caso di conversione delle obbligazioni suindicate in azioni RAGIONE_SOCIALE.
Dall’applicazione congiunta delle varie clausole derivava che: a) i canoni di usufrutto costituivano i flussi di remunerazione delle azioni sottoscritte da JPM nell’ambito dell’aumento di capitale sociale ad essa riservato; b) le cedole di interessi sulle obbligazioni «RAGIONE_SOCIALE.» erano corrisposte da RAGIONE_SOCIALE sotto forma di canoni di usufrutto a JPM; c) JPM trasferiva i flussi finanziari a COGNOME senza assumere alcun rischio in relazione alle azioni RAGIONE_SOCIALE sottoscritte poiché, in caso di insolvenza di RAGIONE_SOCIALE, si sarebbe verificata la conversione automatica delle obbligazioni «RAGIONE_SOCIALE.» in azioni RAGIONE_SOCIALE che sarebbero state consegnate agli obbligazionisti; d) COGNOME svolgeva una funzione di intermediazione dei flussi finanziari ricevuti da 3PM, senza sostenere alcun rischio in relazione alle obbligazioni «RAGIONE_SOCIALE.», emesse in base a un mandato fiduciario.
L’operazione «RAGIONE_SOCIALE» era stata presentata da RAGIONE_SOCIALE alle Autorità di Vigilanza e al mercato come un’operazione di aumento di capitale e i titoli come assimilabili alle azioni, con il rischio della variazione del prezzo del titolo e de relativi interessi in capo ai sottoscrittori in relazione all’andamento positivo o negativo della società.
Secondo l’ipotesi accusatoria, tuttavia, solo formalmente JPM era divenuta azionista di RAGIONE_SOCIALE, poiché nella sostanza, per effetto della conclusione di accordi separati tra le due banche, consacrati in tre documenti denominati «Indemnity» e non portati a conoscenza delle autorità di vigilanza, la banca d’affari americana non aveva assunto i rischi connessi all’investimento azionario, che erano rimasti in capo a RAGIONE_SOCIALE. In particolare, in virtù della seconda Indemnity, rimasta in vigore sino al 19 maggio 2009, Banca Monte Paschi aveva accordato a 3P Morgan condizioni ben più favorevoli, rispetto a quelle comunicate a Banca d’Italia, sia sul pagamento del canone di usufrutto, che sulla sua entità; RAGIONE_SOCIALE si era obbligata a pagare un canone annuale (diviso in 4 scadenze trimestrali) anche nel caso in cui l’esercizio precedente si fosse chiuso in perdita, purché fossero deliberate
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distribuzioni (senza fare riferimento all’entità delle medesime), oppure, nel caso in cui l’esercizio fosse stato chiuso in utile, nel limite degli utili distribuibili eventuali distribuzioni, anche solo deliberate, e quindi anche oltre il tetto degli uti distribuibili.
RAGIONE_SOCIALE Morgan, benché formalmente socia di RAGIONE_SOCIALE, godeva di un trattamento assai più favorevole rispetto agli altri soci e poteva percepire somme di denaro in modo quasi del tutto sganciato dai risultati di esercizio.
Pertanto, le azioni sottoscritte da RAGIONE_SOCIALE non potevano essere considerate, alla stregua dei principi contabili internazionalmente riconosciuti, uno strumento innovativo di capitale, ma uno strumento di debito e non potevano essere computate nel core capital della banca senese.
2.2. Quanto all’operazione «COGNOMErini», RAGIONE_SOCIALE era unico azionista della RAGIONE_SOCIALE, società veicolo di diritto scozzese che aveva stipulato con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un contratto derivato – un collared equity swap avente come sottostante un pacchetto di azioni di Banca Intesa San NOME. Tra gennaio e dicembre 2008 la quotazione delle azioni della banca torinese era fortemente diminuita e la società RAGIONE_SOCIALE aveva maturato perdite superiori a trecento milioni di euro che si sarebbero riverberate sul conto economico della controllante. A quel punto RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno concluso un’operazione di finanza strutturata composta da più contratti.
In data 4 dicembre 2008 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno stipulato con controparte RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE due contratti ciascuna di total retum swap.
I contratti sottoscritti da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE prevedevano quanto segue.
COGNOME trasferiva a pronti a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE BTP per un valore nominale complessivo pari a C 1.500 milioni e periodicamente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE versava a COGNOME l’ammontare derivante dall’incasso delle cedole sui BTP sull’ammontare nozionale dei titoli; periodicamente COGNOME pagava a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un ammontare determinato sulla base di un tasso variabile applicato al valore dei titoli oggetto dei contratti e stabilito in Eur Eonia swap 6 mesi più uno spread, che a sua volta avrebbe potuto essere pari a +3,47% o a -0,55% per il contratto avente ad oggetto i BTP 2020 e a + 3,81% o a -0,725% nel contratto avente ad oggetto BTP 2018; l’ammontare dei due spread effettivamente dovuti, fra le coppie di alternative possibili, si sarebbe determinato in funzione dell’andamento di alcune variabili, individuate e descritte nei contratti.
I contratti sottoscritti da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE prevedevano quanto segue.
RAGIONE_SOCIALE trasferiva a pronti a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE BTP per un valore nominale complessivo pari a C 1.500 milioni, a fronte di un corrispettivo
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di C 1.500 milioni periodicamente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE versava a RAGIONE_SOCIALE l’ammontare derivante dall’incasso delle cedole sui BTP sull’ammontare nozionale dei titoli; periodicamente RAGIONE_SOCIALE pagava a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un ammontare determinato sulla base di un tasso fisso applicato al valore dei titoli oggetto dei contratti e stabilito in un valore che avrebbe potuto esser pari a 6,50% o 2,46% per il contratto avente ad oggetto i BTP 2020 e a 6,76% o 2,2% nel contratto avente ad oggetto BTP 2018; l’ammontare dei due tassi effettivamente dovuti, fra le coppie di alternative possibili, si sarebbe determinato in funzione dell’andamento di alcune variabili, individuate e descritte nei contratti
Entrambe le coppie di contratti prevedevano che alla loro scadenza, in assenza di credit event dell’emittente i titoli sottostanti (Repubblica Italiana), RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avrebbe ricevuto dalle sue controparti un ammontare pari al valore nominale dei BTP, e invece RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era tenuta, in caso di physical settlement, a consegnare i titoli, e in caso di cash settlement, a consegnare un ammontare pari al valore di mercato dei titoli (che in quel momento, considerato che la scadenza dei contratti era allineata alla scadenza dei titoli, altro non sarebbe stato se non il loro valore nominale, rimborsato a quella data dall’emittente); un eventuale default della Repubblica Italiana avrebbe determinato l’estinzione anticipata dei contratti (early termination) con conseguente obbligo per le controparti di corrispondere a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un ammontare pari al valore nominale dei BTP sottostanti ai contratti e l’obbligo per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di riconsegnare ad esse i titoli o qualunque altro titolo avente caratteristiche analoghe del medesimo emittente, eventualmente anche il più economico (cheapest to delivery option).
In sostanza, i due contratti di total return swap sottoscritti da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono quasi identici ai 2 contratti di total retum swap sottoscritti da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quanto a tipologia, oggetto, valori nominali di riferimento, durata; in particolare, a fronte del pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di un tasso fisso (pari all’ammontare della cedola dei titoli) a entrambe le sue controparti, RAGIONE_SOCIALE pagava a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un interesse variabile e quindi in un caso (rapporto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE) era previsto uno scambio di tasso fisso contro tasso variabile e nell’altro caso (rapporto RAGIONE_SOCIALE) era previsto uno scambio di tasso fisso contro tasso fisso; erano diverse le quantificazioni dello spread del tasso variabile pagato da RAGIONE_SOCIALE e del tasso fisso pagato da RAGIONE_SOCIALE anche se, in entrambi i casi, erano previste per ciascun contratto due possibili alternative, una evidentemente più favorevole a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’altra evidentemente più favorevole alle sue controparti.
La quantificazione dello spread e del tasso fisso che, rispettivamente,
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avrebbero dovuto pagare RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, fra le due alternative possibili previste dai contratti, è avvenuta sulla base di alcune variabili collegate all’andamento, fra l’altro, di due indici influenzati dal movimento dei tassi di interesse e dalle previsioni del loro futuro andamento. Il periodo di osservazione dell’andamento degli indici, per come definito nella versione finale dei contratti, era compreso fra il “2 ed il 5 dicembre 2008; finestra temporale all’interno della quale era attesa una importante decisione della Banca Centrale Europea da adottarsi il 4 dicembre 2008. In particolare, il mercato si attendeva una consistente riduzione dei tassi di interesse o la modifica delle condizioni di rifinanziamento delle banche presso la BCE. La «scommessa» che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE facevano con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (e dalla quale dipendeva la definizione del tasso da pagare nella quantificazione più favorevole o più sfavorevole) era sull’entità della riduzione dei tassi e, rispetto a tale scommessa, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano assunto posizioni fra loro antitetiche.
L’entità della riduzione dei tassi di interesse da parte della BCE aveva poi portato alla quantificazione del livello dello spread del tasso variabile corrisposto da COGNOME a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nella misura più alta, e quindi più sfavorevole per COGNOME (che aveva perso la sua scommessa a breve), fra le due alternative previste dai contratti e del tasso fisso corrisposto da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nella misura più bassa, e quindi più favorevole per RAGIONE_SOCIALE (che aveva vinto la sua scommessa a breve), fra le due alternative previste dai contratti.
In data 15 dicembre 2008 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno sottoscritto, con la medesima controparte RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, un altro contratto di total retum swap ciascuna, con scadenza 1 febbraio 2020, avente come oggetto BTP 2020 scadenza 1 febbraio 2020 e cedola 4,5%. L’efficacia di tali contratti (trasferimenti) e la determinazione definitiva di alcuni parametri economici (comunque tutti già previsti e quantificati nelle valenze alternative possibili) era agganciata alla definizione di alcune condizioni essenziali, che si sarebbero potute osservare e definire compiutamente solo al 17 dicembre 2008; la effective date era fissata al 18 dicembre 2008 per RAGIONE_SOCIALE e al 17 dicembre 2008 per RAGIONE_SOCIALE.
La struttura di questi due contratti era analoga a quella dei contratti che RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva già concluso con ciascuna delle due controparti ed anche in questo caso la quantificazione dello spread e del tasso fisso che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente, avrebbero dovuto pagare a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, fra le due alternative possibili previste dai contratti, è avvenuta sulla base di alcune variabili collegate alla osservazione dell’andamento di alcun t indici influenzati dal movimento dei tassi di interesse e dalle previsioni del loro futuro
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andamento. Il periodo di osservazione dell’andamento degli indici, per come definito nei contratti, era compreso fra il 10 ed il 17 dicembre 2008; finestra temporale all’interno della quale era attesa una importante decisione della Banca Centrale Americana (FED) il 16 dicembre 2008. In particolare, il mercato si attendeva una consistente riduzione dei tassi di interesse.
Anche in questo caso la «scommessa» che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE facevano con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era sulla entità della riduzione dei tassi di interesse e RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano assunto posizioni fra loro antitetiche.
La misura della riduzione del tasso di interesse operata dalla FED aveva condotto alla quantificazione del livello dello spread del tasso variabile corrisposto da COGNOME nella misura più alta, e quindi più sfavorevole per COGNOME (che aveva perso la sua scommessa), fra le due alternative previste dai contratti, e del tasso fisso corrisposto da RAGIONE_SOCIALE nella misura più bassa, e quindi più favorevole per questa società (che aveva vinto la sua scommessa), fra le due alternative previste dai contratti.
Il 30 dicembre 2008 RAGIONE_SOCIALE ha estinto anticipatamente il total return swap stipulato il 15 dicembre 2008 conseguendo un provento di C 60 milioni circa, registrato contabilmente nel conto economico del proprio bilancio di esercizio 2008. Il 16 marzo 2009 RAGIONE_SOCIALE ha estinto anticipatamente anche i total retum swap stipulati il 3 dicembre 2008, conseguendo un provento di C 304 milioni, registrato contabilmente nel conto economico del proprio bilancio di esercizio 2008.
Il valore complessivo del profitto realizzato da RAGIONE_SOCIALE estinguendo anticipatamente i suoi tre total return swap con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è risultato sostanzialmente pari al valore della perdita che RAGIONE_SOCIALE stava maturando in conseguenza della riduzione della quotazione azionaria di Banca Intesa San NOME; l’imputazione di entrambi i valori al conto economico del bilancio del 2008, uno positivo l’altro negativo, ne ha determinato di fatto una compensazione sul piano economico ai fini dei risultati di esercizio.
Il 15 giugno 2009 RAGIONE_SOCIALE, che aveva invece mantenuto aperti i suoi tre contratti total return swap e i flussi di cassa dagli stessi generati secondo le scadenze contrattualmente previste, ha rinegoziato con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alcune loro caratteristiche relative alla scadenza alla tipologia di BTP sottostanti e al tasso variabile pagato da RAGIONE_SOCIALE ed è stata fissata la decorrenza effettiva dei nuovi flussi finanziari rispettivamente dal 20, 21 e 22 luglio 2009 sui tre total retum swap.
Il 15 luglio 2009 NOME ha concluso con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un contratto di interest rate swap (IRS) in forza del quale, su un valore nozionale di C 2 miliardi, avrebbe pagato un tasso fisso del 6% (pari all’ammontare delle cedole incassate per effetto dei TRS) e avrebbe ricevuto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un tasso variabile.
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Il 14 gennaio 2011 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE hanno rinegoziato i contratti di total return swap, introducendo, tra l’altro, degli obblighi di collateralizzazione in capo a RAGIONE_SOCIALE in ragione dell’andamento delle quotazioni dei credit default swap su debito della Repubblica Italiana.
A dicembre del 2013 RAGIONE_SOCIALE ha stipulato con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un accordo transattivo (ritenuto vantaggioso dalla banca senese) diretto a regolare le condizioni della chiusura anticipata di tutte le operazioni fra loro in essere, tenuto anche conto delle pretese risarcitorie avanzate in sede giudiziaria da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel marzo 2013.
2.3. L’antefatto dell’operazione «NOME» risale al 2005, quando RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato da Dresdner RAGIONE_SOCIALE, al valore nominale di C 400 milioni, obbligazioni emesse dalla società veicolo di diritto irlandese RAGIONE_SOCIALE, le c.d. «RAGIONE_SOCIALE» notes, aventi cedola pari a Euribor a 3 mesi + 80 punti base e scadenza 20 dicembre 2012. Il rendimento dei titoli «NOME» era correlato, in ragione della linea di credito emessa in favore di altro veicolo di investimento di diritto irlandese, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, al rischio creditizio di una collateralized debt obligation (CDO), la quale aveva, quale sottostante, un portafoglio di titoli di società nordamericane ed europee legati a mutui ipotecari e tranches di altri CDO. Nel 2009, quando il prezzo dell’obbligazione era sensibilmente sceso in conseguenza della crisi di liquidità che aveva colpito i mercati finanziari e, in particolar modo, il settore dei CDO, RAGIONE_SOCIALE aveva deciso di ristrutturare le Notes «NOME» al fine di modificare e migliorare il profilo di rischio di tale strumento finanziario.
La complessa operazione negoziata con COGNOME era stata originariamente ideata, a partire dal gennaio 2009, su richiesta di RAGIONE_SOCIALE, da JP Morgan, ma non era stata da questa portata a compimento in quanto, sebbene il comitato europeo della banca d’affari avesse giudicato legittima l’operazione dal punto di vista contabile, il comitato americano aveva rilevato rischi reputazionali connessi all’asimmetria contabile dell’operazione da parte delle due contraenti. Dal maggio 2009, pertanto, COGNOME, che inizialmente avrebbe dovuto occuparsi solo dell’asset exchange delle notes «NOME» per conto di RAGIONE_SOCIALE, era divenuta controparte di RAGIONE_SOCIALE per l’intera operazione, le cui modalità di attuazione erano state formalizzate con la sottoscrizione, in data 31 luglio 2009, del c.d. Mandate Agreement. La complessa struttura dell’operazione prevedeva, da un lato, la ristrutturazione delle notes «NOME», da attuarsi mediante la sostituzione del CDO Squared sottostante con credit linked notes emesse da RAGIONE_SOCIALE e, dall’altro, mediante un’operazione in BTP articolata in tre transazioni. Con la prima, RAGIONE_SOCIALE acquistava a termine da RAGIONE_SOCIALE BTP per un valore nominale di C 3.050 milioni aventi scadenza nel 2034 Per acquistare i BTP, erano stati stipulati quaranta
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contratti di acquisto a termine dal 3 agosto 2009 al 18 settembre 2009, tutti con data di regolamento al 28 settembre 2009. La seconda transazione consisteva nella stipula di contratti di swap, in virtù dei quali, su un nozionale di C 3.050 milioni, RAGIONE_SOCIALE pagava a COGNOME un interesse annuo fisso e riceveva, annualmente, un interesse variabile. La terza transazione era un’operazione di long term repo, r)i ossia di «pronti contro termine», sulla base della quale RAGIONE_SOCIALE si impegnava a trasferire BTP per un valore nominale di C 3.050 milioni aventi scadenza nel 2034 con obbligo di riacquisto a scadenza, nel 2034, al valore nominale. Nel tempo compreso tra la stipula e la scadenza del contratto, RAGIONE_SOCIALE riceveva dalla controparte, sul valore nominale, la cedola pari al 5% e pagava trimestralmente un ammontare indicizzato. La struttura dell’operazione contemplava la presenza delle clausole early termination e cheapest to delivery option. Era, invero, prevista la risoluzione anticipata del contratto nel caso di credit event che avesse coinvolto la Repubblica Italiana, ciò che avrebbe comportato, per COGNOME, la facoltà di restituire a RAGIONE_SOCIALE un qualsiasi titolo emesso dalla Repubblica Italiana, anche diverso dai BTP oggetto del long term repo, purché di valore nominale pari a quello oggetto di scambio, dietro corresponsione da parte di RAGIONE_SOCIALE del valore nominale dei titoli oggetto di scambio. RAGIONE_SOCIALE aveva, altresì, concesso alla controparte COGNOME una linea di credito repo facility avente scadenza 1 settembre 2040 estensibile al 1 settembre 2045, utilizzabile fino ad un valore massimo di C 3.050 milioni, consegnando a RAGIONE_SOCIALE BTP o titoli similari per un nominale equivalente. Per l’ipotesi di utilizzo della linea di credito, RAGIONE_SOCIALE avrebbe percepito un interesse indicizzato al tasso Euribor 3 mesi sul finanziamento concesso, nonché, a prescindere dall’utilizzo, una commissione pari a 5 punti base calcolata sull’ammontare della linea di credito concessa.
Nel bilancio di RAGIONE_SOCIALE chiuso al 31 dicembre 2009, le transazioni erano state registrate con le seguenti modalità.
I BTP acquistati erano stati iscritti nella voce di bilancio available for sale (AVS); gli strumenti di asset swap erano stati classificati come derivati di copertura del fair value dei BTP relativamente al rischio di tasso d’interesse; il debito nei confronti di COGNOME in relazione all’obbligo di riacquisto a termine dei BTP era stato iscritto al passivo al valore di scambio dei BTP e successivamente valutato al costo ammortizzato. La modalità di contabilizzazione, quanto alla valorizzazione iniziale della passività al valore di costo e non al fair value, era rimasta invariata sino alla approvazione del bilancio chiuso al 31 dicembre 2012, quando, a seguito del rinvenimento del Mandate Agreement, che chiariva il collegamento tra le transazioni appena descritte e la ristrutturazione delle notes «NOME», il nuovo management di RAGIONE_SOCIALE aveva ritenuto che l’operazione di long term repo non fosse stata correttamente valutata all’atto della iniziale iscrizione, stabilendo
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che, alla data di attivazione del contratto, il fair value della passività da contabilizzare fosse superiore rispetto al valore di iscrizione in bilancio per circa 308 milioni. Non era, tuttavia, mutata (e ciò sino al 2015) la determinazione di rappresentazione separata – a saldi aperti – delle transazioni in bilancio, in ragione del differente business purpose delle stesse, non riconducibile alla mera vendita di protezione sul rischio Italia, quanto all’assunzione di una esposizione su titoli d Stato, finanziata tramite repo e con copertura del rischio di tasso di interesse, finalizzata a fornire un contributo positivo al margine di interesse.
2.4. L’operazione «RAGIONE_SOCIALE classico» risale al 2009 e trova causa nell’esigenza di RAGIONE_SOCIALE, sorta a seguito dell’acquisizione di Banca RAGIONE_SOCIALE, di rafforzare il suo patrimonio senza tuttavia procedere ad un aumento di capitale, che rischiava di non essere interamente sottoscritto.
Essa aveva lo scopo di produrre una plusvalenza da contabilizzare nel bilancio consolidato del RAGIONE_SOCIALE e da computarsi ai fini della quantificazione del patrimonio di vigilanza. Il RAGIONE_SOCIALE disponeva di un patrimonio immobiliare strumentale che, nel 2003, era stato conferito alla controllata RAGIONE_SOCIALE con iscrizione a bilancio al costo storico di circa C 1,3 mld e che, a seguito di perizia di stima autorizzata dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, era stato valutato al valore attualizzato di C 1,721 mld, con una plusvalenza di euro 405,5 min. L’operazione era finalizzata alla cessione a terzi dei beni immobili, che la cedente avrebbe mantenuto in disponibilità per il tramite di contratti di locazione con l’acquirente era stata avviata un’intensa interlocuzione con le autorità di vigilanza per le verifiche di competenza. L’operazione, per come originariamente strutturata e descritta nella nota del 23 settembre 2009, trasmessa a Banca d’Italia il successivo 25 settembre, si sarebbe dovuta concretizzare nell’erogazione di un finanziamento ipotecario pari ad C 1.672,8 a favore di RAGIONE_SOCIALE e nella costituzione del RAGIONE_SOCIALE; al RAGIONE_SOCIALE, in sede dì aumento dì capitale, sarebbe stato conferito un ramo di azienda comprensivo, tra l’altro, di gran parte del portafoglio immobiliare del RAGIONE_SOCIALE; il credito di RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato cartolarizzato attraverso la società veicolo RAGIONE_SOCIALE Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il 7 luglio 2009, RAGIONE_SOCIALE aveva concesso a RAGIONE_SOCIALE un finanziamento di C 1,672 mld, garantito da ipoteche su immobili da quest’ultima detenuti, in uso a società del RAGIONE_SOCIALE in forza di contratti di locazione Conseguentemente, la prima aveva iscritto in contabilità un credito verso la seconda e quest’ultima un corrispondente debito verso la Banca. In data 24 luglio 2009, RAGIONE_SOCIALE (società indirettamente partecipata da RAGIONE_SOCIALE tramite la società RAGIONE_SOCIALE, controllata dalla RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE (azionista di minoranza di RAGIONE_SOCIALE e con la quale quest’ultima aveva una
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partnership in ambito bancario/assicurativo) e RAGIONE_SOCIALE (advisor e intermediario di RAGIONE_SOCIALE già da prima e soggetto vicino al mondo RAGIONE_SOCIALE avendo in precedenza prestato consulenze in suo favore) avevano costituto una società consortile per azioni denominata RAGIONE_SOCIALE, con capitale sottoscritto per complessivi 4,975 mm n di euro, nelle quote, rispettivamente, del 56,1%, del 33,3% e del 10,6%. Al RAGIONE_SOCIALE così costituito era stata conferita parte del portafoglio immobiliare del RAGIONE_SOCIALE attraverso il già previsto aumento di capitale con emissione di nuove azioni di categoria A (con diritto di voto) e di nuove azioni di categoria B (senza diritto di voto), sottoscri in prevalenza da RAGIONE_SOCIALE Era previsto, inoltre, che il RAGIONE_SOCIALE emettesse anche strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, sesto comma, cod. civ. (S.F.P.), per un importo iniziale stimato pari a circa C 110 milioni, d contabilizzarsi come parte del patrimonio netto del RAGIONE_SOCIALE e che avrebbero dovuto essere sottoscritti, per la maggior parte, da soggetti non appartenenti al RAGIONE_SOCIALE. L’operazione determinava un incremento della dotazione patrimoniale del RAGIONE_SOCIALE di circa C 50 milioni, di cui euro C 4,5 milioni apportati da società del RAGIONE_SOCIALE mediante conferimenti in denaro ed C 45 milioni da RAGIONE_SOCIALE attraverso il conferimento di un ramo di azienda, costituito da un portafoglio di 683 immobili strumentali all’attività bancaria, dal debit derivante dal finanziamento ipotecario ricevuto da RAGIONE_SOCIALE per C 1,672 miliardi e dai contratti di locazione degli immobili a favore di società del RAGIONE_SOCIALE per la durata di 24 anni adeguati a valore di mercato. Alla conclusione di tale fase, RAGIONE_SOCIALE, che, avendo ceduto il suddetto portafoglio immobiliare, aveva conseguito la plusvalenza di e 405,5 mm, aveva potuto contabilizzarla già nel bilancio relativo all’esercizio 2009. Non altrettanto aveva potuto il RAGIONE_SOCIALE, in quanto gli immobili non erano effettivamente fuoriusciti dal suo patrimonio, posto che il RAGIONE_SOCIALE risultava partecipato dal RAGIONE_SOCIALE in modo rilevante e quindi, essendo di fatto qualificabile come operazione infraRAGIONE_SOCIALE, non si era verificata nei suoi confronti una vera fuoriuscita dei beni dal relativo patrimonio complessivo (true sale), con conseguente computabilità della plusvalenza nel bilancio consolidato; pertanto, in detto esercizio, tale valore positivo non concorreva neppure al computo del patrimonio di vigilanza di RAGIONE_SOCIALE. Era seguita la fase di cartolarizzazione del credito di RAGIONE_SOCIALE derivante dal finanziamento ipotecario concesso a RAGIONE_SOCIALE, perfezionatasi nel dicembre 2010. A tal fine, era stata individuata la società veicolo RAGIONE_SOCIALE, che, per l’occasione, sarebbe stata ridenominata RAGIONE_SOCIALE, mutando la forma giuridica in RAGIONE_SOCIALE e trasferendo la sede da Padova a Roma, e sarebbe stata ceduta alla fondazione olandese RAGIONE_SOCIALE, sedente in Amsterdam. Quest’ultima, in data 11 settembre 2009, aveva ricevuto da RAGIONE_SOCIALE un finanziamento non fruttifero di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
interessi con una previsione di restituzione al 2044 in una unica soluzione, funzionale a mettere a disposizione del soggetto olandese la liquidità necessaria per l’acquisizione delle quote di RAGIONE_SOCIALE, al momento di proprietà di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, perfezionatasi il successivo 14 settembre 2009. Successivamente RAGIONE_SOCIALE avrebbe acquistato il credito di C 1,672 che RAGIONE_SOCIALE aveva verso il RAGIONE_SOCIALE, reperendo liquidità sul mercato attraverso l’emissione titoli di debito ABS (asset backed securities). In data 4 e 8 novembre 2010, RAGIONE_SOCIALE emetteva due comunicati stampa con cui informava il mercato di avere ricevuto l’assenso di RAGIONE_SOCIALE a pubblicare il prospetto informativo di offerta al pubblico dei titoli ABS emessi da COGNOME, di cui €1,575 mld di classe A, destinati alla clientela retail della banca, ed il residuo importo di classi subordinate (caratterizzate da un maggiore livello di rischio), destinate ad investitori qualificati e professionali. seguito dell’annunciato acquisto da parte di COGNOME del credito di C 1,671 che RAGIONE_SOCIALE vantava nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, questo non era più debitore della banca senese, bensì di COGNOME, quale acquirente del relativo credito. Per saldare tale debito era previsto che il RAGIONE_SOCIALE girasse alla società di cartolarizzazione il denaro che riceveva dalle società del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a titolo di pagamento dei canoni di locazione per l’affitto degli immobili, che le filiali della banca continuavano ad utilizzare; contemporaneamente, COGNOME avrebbe impiegato il denaro che le giungeva dal RAGIONE_SOCIALE per pagare le cedole e rimborsare alla scadenza gli obbligazionisti. La cartolarizzazione tramite COGNOME era diretta a deconsolidare dal bilancio del RAGIONE_SOCIALE la posizione di debito/credito derivante dal finanziamento concesso da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE e da questa conferita al RAGIONE_SOCIALE.
Nel corso dell’operazione RAGIONE_SOCIALE aveva avviato una fitta interlocuzione con le autorità di vigilanza, che intendevano verificare se l’operazione RAGIONE_SOCIALE Classico, sotto il profilo sostanziale, potesse essere considerata una true sale del portafoglio immobiliare con effettivo conseguimento della plusvalenza o si trattasse, invece, di una semplice cessione di beni interna al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, come tale, non valorizzabile nel bilancio consolidato e nel patrimonio di vigilanza.
Nel corso del 2013, tenuto conto del contesto di mercato e del piano di ristrutturazione approvato dal consiglio di amministrazione il 7 ottobre 2013, RAGIONE_SOCIALE decideva di chiudere l’operazione RAGIONE_SOCIALE Classico, avviando una serie di interlocuzioni finalizzate ad ottenere il benestare di Banca d’Italia e di RAGIONE_SOCIALE alla ristrutturazione dell’operazione, che avrebbe implicato il riacquisto da parte di RAGIONE_SOCIALE di tutte le azioni di RAGIONE_SOCIALE e degli SFP dallo stesso emessi e comportato il riconsolidamento nel bilancio del RAGIONE_SOCIALE degli immobili oggetto dello spin-off immobiliare.
Descritte sinteticamente le operazioni sopra menzionate, appare opportuno procedere ad una breve rassegna delle condotte contestate agli imputati ed alle persone giuridiche – queste ultime ai fini della loro responsabilità ai sensi della legge n. 231 del 2001 – limitandola ai capi di imputazione che assumono rilievo ai fini della decisione in questa sede di legittimità.
3.1. Ai capi A4) e A5), è stato contestato a NOME COGNOME, quale presidente di RAGIONE_SOCIALE, ad NOME COGNOME, quale direttore generale della stessa banca, a NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali dirigenti della stessa banca, in concorso tra loro e – quanto all’operazione «COGNOMErini» – con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali soggetti apicali e dirigenti di Deutsce RAGIONE_SOCIALE AG RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nonché in concorso – quanto all’operazione «NOME» – con NOME COGNOME, responsabile dell’area finanza di RAGIONE_SOCIALE, e con NOME COGNOME, CE0 di RAGIONE_SOCIALE, e NOME COGNOME, quale dirigente di RAGIONE_SOCIALE, il delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, 110, 112, primo e secondo comma, cod. pen. ed all’art. 2622, primo, terzo e quarto comma, cod. civ., per avere, al fine di ingannare i soci ed il pubblico e conseguire un ingiusto profitto, esposto, nel bilancio 2011, nelle relazioni semestrali del 2012 e nelle altre comunicazioni sociali di RAGIONE_SOCIALE, fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazione, ed omesso informazioni, la cui comunicazione era imposta dalla legge, sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria di RAGIONE_SOCIALE, in modo da indurre in errore i destinatari e cagionando a RAGIONE_SOCIALE un danno di rilevante entità.
In particolare, secondo l’ipotesi accusatoria fatta propria dal Tribunale, i tre contratti stipulati da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE risultano analoghi e speculari altre contratti stipulati da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE; le due entità controparti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, attraverso il meccanismo tecnico che avrebbe portato alla quantificazione del valore dei tassi finali da pagare, assumevano di fatto e contemporaneamente posizioni in sostanza antitetiche una rispetto all’altra, nel senso che ciascuna scommetteva sull’andamento delle variabili da cui dipendeva la quantificazione del valore degli indici in modo opposto rispetto a quanto faceva l’altra. Questo comportava, che, ex ante, a parte alcune possibilità marginali che l’andamento degli indici determinasse un risultato favorevole sia per RAGIONE_SOCIALE sia per RAGIONE_SOCIALE o un risultato favorevole per RAGIONE_SOCIALE con entrambe le sue controparti, le probabilità nettamente prevalenti erano nel senso che, laddove si fosse determinato un tasso favorevole per RAGIONE_SOCIALE, si sarebbe con elevata probabilità determinato un tasso sfavorevole per RAGIONE_SOCIALE e viceversa.
Secondo l’ipotesi accusatoria, i contratti stipulati da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
erano strettamente collegati a quelli conclusi da RAGIONE_SOCIALE con la medesima controparte e poiché RAGIONE_SOCIALE era l’unica azionista di RAGIONE_SOCIALE, le varie componenti integravano in realtà un’unica operazione che, sebbene formalmente suddivisa in più contratti e rapporti, aveva la sostanza di un contratto derivato e precisamente di un credit default swap relativo al rischio sul debito sovrano della Repubblica Italiana.
Conseguentemente, sulla base dei principi contabili internazionalmente riconosciuti e precipuamente di quello per il quale la sostanza economica dei contratti deve prevalere sulla loro forma, l’operazione avrebbe dovuto essere contabilizzata unitariamente al fair value ed a saldi chiusi.
Le due componenti, le due «gambe», una relativa a RAGIONE_SOCIALE e l’altra relativa a RAGIONE_SOCIALE, sono invece state contabilizzate separatamente, facendo subito risultare nel bilancio del 2008 della controllata RAGIONE_SOCIALE il profitto maturato in conseguenza dell’estinzione anticipata dei rapporti che questa aveva instaurato con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, mentre la perdita maturata da RAGIONE_SOCIALE per effetto della perdita della «scommessa» con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era stata «spalmata» su tutti gli esercizi successivi sino alla scadenza dei contratti, non essendo questi stati estinti immediatamente dopo la perdita della scommessa.
In questo modo era stato possibile coprire immediatamente nel bilancio del 2008 la perdita maturata da RAGIONE_SOCIALE sul collared equity swap con sottostante le azioni Banca Intesa San NOME, evitando che essa si ripercuotesse sul bilancio della controllante RAGIONE_SOCIALE.
Anche la operazione «NOME», sempre secondo la ipotesi accreditata dal Tribunale, integrava, per le sue caratteristiche, un credit default swap sul debito della Repubblica italiana ed era volta a trasferire la perdita derivante dalle notes «NOME» in capo a COGNOME, che, in cambio, sarebbe stata remunerata acquisendo protezione dal rischio di default dal debito pubblico italiano ad un prezzo inferiore a quello di mercato. Anche in relazione ad essa i vari rapporti avrebbero dovuto essere considerati unitariamente e la contabilizzazione avrebbe dovuto essere effettuata al fair value e a saldi chiusi.
Conseguentemente, al capo A4) era stato contestato agli imputati di avere, nel bilancio al 31 dicembre 2011, approvato il 27 aprile 2012, in relazione alla operazione «COGNOMErini»: – iscritto BTP 2031 per nominali euro 2 mld nell’attivo dello stato patrimoniale, alla voce «attività disponibili per la vendita» (AFS), per l’importo di euro 1.795,5 mm, fatto materiale non corrispondente al vero, in quanto lo scambio dei BTP con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era avvenuto solo quale sottostante del derivato concluso, senza determinare un effettivo attivo nel portafoglio titoli di RAGIONE_SOCIALE, e in quanto l’iscrizione dei titoli da parte di RAGIONE_SOCIALE era avvenuto in assenza di una vendita da parte di un soggetto proprietario dei medesimi titoli, non avendo
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE mai avuto in proprietà i titoli che aveva reperiti a prestito sul mercato e ceduto a RAGIONE_SOCIALE attraverso l’interposta RAGIONE_SOCIALE onde non figurare quale parte venditrice; – iscritto le passività conseguenti al finanziamento ricevuto a pronti in total retum swap pari a euro 2.513,6 mln (al lordo del valore di restatement relativo all’esercizio corrente), nel passivo dello stato patrimoniale, alla voce «debiti verso banche», fatto materiale non corrispondente al vero in quanto l’operazione di pronti contro termine sui BTP era del pari solo figurativa e non esistevano debiti verso DB per detto importo; – omesso per contro di rilevare a conto economico, alla voce «risultato netto dell’attività di negoziazione», maggiori passività su derivati di negoziazione per euro 371,4 mln, pari al mark to market a fine anno dell’operazione «COGNOMErini».
Nello stesso capo, in relazione all’operazione «NOME», si era contestato agli imputati di avere: – iscritto BTP 2034 per euro 2.479,9 nnln nell’attivo dello stato patrimoniale, alla voce «attività disponibili per la vendita» (AFS), fatt materiale non corrispondente al vero in quanto lo scambio con RAGIONE_SOCIALE dei BTP 2034 era avvenuto solo figurativamente, quale sottostante del credit default swap concluso con NOME, senza determinare un effettivo attivo nel portafoglio titoli di RAGIONE_SOCIALE; – iscritto le passività conseguenti al finanziamento ricevuto in «Repo» pari a euro 3.397,3 mm n (al lordo del valore di restatement relativo all’esercizio corrente) nel passivo dello stato patrimoniale, alla voce «debiti verso clientela», fatto materiale non corrispondente al vero in quanto l’operazione di pronti contro termine sul BTP 2034 era del pari solo figurativa e non esistevano debiti verso NOME per detto importo; omesso per contro di rilevare a conto economico, alla voce «risultato netto dell’attività di negoziazione», maggiori passività su derivati di negoziazione per euro 1.099 mln, pari al mark to market a fine anno dell’operazione «NOME».
Si era contestato, quindi, agli imputati di avere esposto, per effetto di tali false contabilizzazioni, nel bilancio consolidato di RAGIONE_SOCIALE e nel bilancio individuale di RAGIONE_SOCIALE perdite inferiori a quelle effettivamente realizzate e un patrimonio netto superiore a quello effettivo e nella nota integrativa dei predetti bilanci dati relat alla dimensione del patrimonio di base e del patrimonio supplementare non corrispondenti al vero.
Al capo A5) si era contestato agli imputati di avere nella relazione semestrale di RAGIONE_SOCIALE al 30 giugno 2012, approvata il 29 agosto 2012, e nelle relazioni trimestrali al 31 marzo 2012 e al 30 settembre 2012, approvata il 14 novembre 2012, esposto attività, passività, risultati d’esercizio, patrimonio di vigilanza e VaR diversi dal reale analogamente a quanto già sopra esposto in relazione al capo A4).
3.2. Al capo B) si erano contestati agli imputati, nelle loro qualità già sopra
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,
indicate, più reati di aggiotaggio informativo unificati dal vincolo dell continuazione, per avere diffuso al mercato notizie false – attraverso comunicati aventi ad oggetto quanto contenuto nei bilanci degli esercizi 2008, 2009, 2010 e 2011 e nelle relazioni trimestrali al 31 marzo, 30 giugno e 30 settembre 2012 idonee a determinare una sensibile alterazione del prezzo dell’azione ordinaria RAGIONE_SOCIALE.
La natura di strumento di debito del «RAGIONE_SOCIALE», le perdite iniziali non evidenziate sulle operazioni «NOME» e «COGNOMErini» e la loro contabilizzazione a saldi aperti, nelle situazioni contabili di RAGIONE_SOCIALE comprese tra il bilancio al 31 dicembre 2008 e nella relazione trimestrale al 30 settembre 2012, avrebbero determinato una falsa rappresentazione di dati rilevanti nella valutazione degli strumenti finanziari emessi dal RAGIONE_SOCIALE tra i quali spicca l’azione ordinaria RAGIONE_SOCIALE; erano stati falsamente rappresentati – ed in misura rilevante – il risultato d’esercizio del RAGIONE_SOCIALE, il suo patrimonio netto, il patrimonio di vigilanza la capitalizzazione di mercato ed il value at risk.
3.4. Al capo D) si era contestato agli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nelle suddette qualità, il reato di aggiotaggio informativo, per avere, in relazione all’operazione «F.RRAGIONE_SOCIALEH.» 2008, diffuso al mercato notizie false idonee a determinare una sensibile alterazione della quotazione della azione di RAGIONE_SOCIALE sul mercato telematico azionario gestito da RAGIONE_SOCIALE Italiana, in quanto suscettibili di modificare le decisioni dell’investitore medio.
In particolare, computando nel patrimonio di base l’aumento di capitale riservato a JP Morgan e collegato all’emissione di titoli c.d. «F.RAGIONE_SOCIALE» per euro 950 milioni, non computabile poiché lo stesso doveva essere considerato all’epoca quale strumento non innovativo di capitale, con la pubblicazione della relazione semestrale di RAGIONE_SOCIALE al 30 giugno 2008, avvenuta il 29.08.2008, comunicavano dati relativi alla dimensione del patrimonio di base e del patrimonio supplementare non corrispondenti al vero, facendo apparire che Banca MPS aveva un total capital ratio pari al 9,1%, superiore al minimo del 8% richiesto dalla normativa di vigilanza mentre, in realtà, possedeva un total capital ratio pari al 7,8%.
3.6. Ai capi L), M) e N), si era contestato rispettivamente a RAGIONE_SOCIALE, a RAGIONE_SOCIALE e a RAGIONE_SOCIALE l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, 6, 7, 8 e 25-ter lett. b), legge n. 231 del 2001 in relazione al reato continuato contestato al capo A, di cui fanno parte i sottocapi A4) e A5).
Ai capi O), P) e Q), si era contestato rispettivamente a RAGIONE_SOCIALE, a RAGIONE_SOCIALE e a RAGIONE_SOCIALE l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, 6, 7, 8 e 25-ter lett. b), legge n. 231 del 2001 in relazione al reato contestato al capo B).
4 COGNOME
A
La Corte di appello ha integralmente ribaltato la decisione di primo grado, laddove il Tribunale aveva affermato la penale responsabilità degli imputati e la responsabilità amministrativa delle banche poco sopra menzionate.
Deve innanzitutto osservarsi che il materiale probatorio sul quale la Corte di appello si è pronunciata è diverso da quello utilizzato dal Tribunale.
In primo luogo, la Corte territoriale ha ritenuto inutilizzabili le dichiarazi testimoniali di NOME COGNOME, che, quale sottoscrittore del bilancio del 2009 di RAGIONE_SOCIALE, sin dal primo momento avrebbe dovuto essere sentito come soggetto indagato, con riconoscimento delle garanzie di legge, con conseguente applicazione dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen.
In secondo luogo, la Corte territoriale ha acquisito ulteriore documentazione e, in particolare, dagli imputati appartenenti a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dalla stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE numerosi documenti pertinenti all’operazione «COGNOMErini».
4.1. Quanto agli specifici capi di imputazione che tuttora rilevano in questa sede, anche quali reati presupposti ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai sensi della legge n. 231 del 2001, la Corte territoriale non solo ha ritenuto ormai prescritti i reati di cui ai capi A4) e A5), ma è giunta a affermare la loro insussistenza.
Ha osservato che si trattava di ipotesi di falso valutativo e, richiamati i princi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza COGNOME (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266803), ha evidenziato che il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, sebbene venga affermato in più disposizioni normative e sia finalizzato a fornire una fedele rappresentazione contabile delle operazioni compiute dalla società, rimane un principio ambiguo ed indeterminato, da utilizzarsi in casi residuali, quando non vi siano principi contabili specificament applicabili, con la conseguenza che il citato principio non può essere incluso tra i «criteri di valutazione normativamente fissati o criteri tecnici generalmente accettati» cui hanno fatto riferimento le Sezioni Unite con il precedente sopra citato.
Inoltre, per la Corte territoriale, le operazioni «COGNOMErini» ed «NOME» andavano analizzate partitamente, differentemente rispetto a quanto operato dal Tribunale, che le aveva sovrapposte.
4.1.1. Quanto all’operazione «COGNOMErini», la Corte territoriale, anche sulla base della nuova documentazione acquisita, ha escluso che essa fosse ab origine illecita e fosse stata architettata con l’unico scopo di ottenere un illecito vantagg contabile e che questo fosse il fine condiviso tra i rappresentanti delle due banche sin dalla fase delle trattative e della creazione del prodotto sin dall’inizio. La Cor di merito ha fatto riferimento ad una «ipostatizzazione» del movente ad opera
del Tribunale.
Il Tribunale era giunto ad affermare la sussistenza di un movente puramente «estetico-contabile» utilizzando le dichiarazioni non riscontrate dell’imputato COGNOME e la propria scienza privata, non rientrante tra le prove ammesse in un processo.
Le nuove e-mail prodotte dalla difesa congiunta degli imputati di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e della stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quale responsabile civile hanno consentito di escludere che l’operazione intercorsa tra le due banche fosse «sartoriale», ossia confezionata in esclusiva per consentire a RAGIONE_SOCIALE di falsificare i bilanci; hanno inoltre consentito di individuare il reale ruolo assunto da RAGIONE_SOCIALE nella vicenda, ma soprattutto di gettare luce sulle ragioni del restatement di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 2013, che aveva portato a classificare l’operazione «COGNOMErini» come un derivato.
Essa era un prodotto tipico di finanziamento collateralizzato da titoli che RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE offriva ai propri clienti in quel periodo storico, spesso inserendosi nell’acquisto dei titoli.
La Corte di appello ha anche escluso che NOME COGNOME avesse impartito massivamente ordini di acquisto per alterare il fixing dell’indice dal quale dipendeva l’esito delle scommesse sui tassi di interesse nell’operazione «COGNOMErini» e ha ritenuto non utilizzabili ex art. 526 comma 1-bis cod. proc. pen. le dichiarazioni in proposito rese dai soggetti, dall’audit e dalla funzione disciplinare della banca tedesca.
L’impossibilità di attribuire a NOME COGNOME l’acquisto dei futures ha portato la Corte di appello ad escludere il concorso degli imputati RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei reati contestati, dal momento che era venuto meno uno degli elementi di maggior spessore idoneo a ingenerare un sospetto sull’attività dei funzionari di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nella conclusione dell’operazione.
La Corte di appello ha poi concluso che l’operazione «COGNOMErini» non era priva di rischi per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e costituiva una vera scommessa i cui esiti erano non prevedibili e dipendevano da future dinamiche di sviluppo del mercato, che sarebbero state conosciute solo negli anni successivi. La presenza di un rischio per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE portava ad escludere che si trattasse di un’operazione fittizia.
Per la Corte territoriale, l’operazione «RAGIONE_SOCIALE» non era stata strutturata come mera operazione contabile priva di finalità economica, in quanto era evidente, analizzando i flussi di cassa individuati dal Prof. COGNOME, che la stessa era stata un’operazione dal carattere marcatamente speculativo, la quale si era risolta in un doppio esito vantaggioso per RAGIONE_SOCIALE, tanto sul fronte della posizione assunta a breve termine, cristallizzata grazie all’unwinding della «RAGIONE_SOCIALE, quanto sul fronte della posizione a lungo termine, grazie ai flussi di cassa prodotti sulla «RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
Il rischio preponderante era sempre stato un rischio di tasso e l’operazione era stata correttamente contabilizzata a saldi aperti.
Peraltro, che l’operazione non fosse finalizzata ad occultare la minusvalenza maturata sul CES discendeva, per la Corte territoriale, dalla circostanza che la perdita era già stata registrata per C 152,2 milioni in bilancio nella rispettiva riserva di valutazione del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE ed era già stata comunicata al mercato nei suoi effetti patrimoniali. L’obiettivo dell’operazione non poteva essere quello di occultare le perdite derivanti dal veicolo, poiché già dal bilancio di RAGIONE_SOCIALE al 31 dicembre 2007 e dalle semestrali di giugno e settembre 2008 risultava l’iscrizione di una riserva di patrimonio netta negativa in relazione alla minusvalenza originatasi sul veicolo.
Al momento dell’annotazione della perdita, ovvero a settembre 2008, era già disponibile la previsione dell’utile di circa un miliardo che la banca avrebbe raggiunto e, dunque, anche l’annotazione di una ulteriore perdita da iscrivere a dicembre 2008, quantificata dal Pubblico ministero in 160 milioni di euro e verificata da settembre a dicembre 2008, non avrebbe avuto alcun impatto sul patrimonio di vigilanza. Il dei reati non poteva, dunque, essere individuato nella finalità di occultamento delle perdite in formazione sul veicolo.
L’operazione «COGNOMErini» trovava invece origine nella decisione di RAGIONE_SOCIALE di adottare la strategia del carry trade.
Essa era un’operazione di long term structured repo su titoli di stato italiani assai diffusa tra le banche, anche italiane, che si erano tutte determinate per la contabilizzazione a saldi aperti.
In particolare, la Corte di appello, aderendo alle conclusioni del consulente tecnico delle difese degli imputati appartenenti a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, prof. COGNOME, ha osservato che i flussi di cassa generati dall’operazione «COGNOMErini» sono incompatibili con la sua classificazione come un credit default swap sul debito della Repubblica Italiana.
Infatti, nel caso di un credit default swap si generano flussi di cassa unidirezionali, in quanto, in assenza di credít event, l’unico flusso monetario scambiato tra le parti è quello del pagamento periodico – predeterminato all’inizio del contratto e costante nel tempo – versato da chi acquista la protezione (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) a chi la vende (RAGIONE_SOCIALE). Nella operazione «COGNOMErini» si sono generati flussi di cassa bidirezionali, in linea con quanto comunemente accade per i long term structured repo con approvvigionamento diretto dei titoli; in conseguenza del pattuito investimento in titoli di Stato a lunga scadenza, finanziato integralmente mediante la sottoscrizione, tra le medesime controparti, di un repo avente come sottostante gli stessi titoli e di durata pari alla scadenza di questi ultimi, per tutta la durata del repo l’acquirente dei titoli (RAGIONE_SOCIALE) riceve
titolo di pagamento periodico il valore della cedola dei titoli in questione, a tasso fisso, e paga alla controparte (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) un tasso di finanziamento diverso, stabilito dal contratto di repo, tipicamente rappresentato da un tasso di interesse indicizzato, aumentato di uno spread.
Le reali ragioni che nel 2013 avevano spinto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a riclassificare «COGNOMErini» come derivato andavano ravvisate nell’esigenza di RAGIONE_SOCIALE di aggirare le possibili ripercussioni sul bilancio derivanti dalle problematiche interpretative sollevate dalla Fed, che stava monitorando l’attività di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in tutti i campi. Il mutamento di opinione di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, avvenuto nel 2013, non dimostrava affatto che i principi contabili, già nel 2008, imponessero necessariamente la contabilizzazione a saldi chiusi delle operazioni come «COGNOMErini».
La Corte territoriale conclude affermando che «COGNOMErini» era un’operazione fortemente speculativa, aleatoria e rischiosa che aveva coinvolto una delle maggiori banche di investimento internazionali e una primaria Banca italiana, che nel contratto di riporto era annidato un derivato e che, in quel contesto storico, non vi era alcuna certezza sulla contabilizzazione di quel tipo di operazione, non essendo affatto obbligatorio lo scorporo del derivato dal contratto ospite.
L’operazione «COGNOMErini» era sorretta da un legittimo business purpose sostanziale, rappresentato dalla volontà di diversificare il rischio azionario sotteso all’investimento nei titoli Intesa Sanpaolo, sottostanti il veicolo «COGNOMErini», al fine di contenere la volatilità di conto economico, realizzando un investimento in BTP, al contempo strumentale al perseguimento di un effetto di sostegno del margine di interesse.
4.1.2. Quanto all’operazione «NOME», la Corte di appello ha escluso che, nel momento in cui essa è stata attuata, le omonime notes avessero determinato perdite rilevanti o potessero determinare simili perdite; la loro sostituzione risiedeva, piuttosto, in esigenze di natura reputazionale. L’operazione non era, quindi, dettata dall’esigenza di coprire contabilmente una perdita.
Inoltre, sussistevano rilevanti differenze tra l’operazione «NOME» ed un contratto di credit default swap, tanto dal punto di vista strutturale, che dal punto di vista dei profili di rischio. La sovrapponibilità dei flussi ricavabili dalle operazioni non consente, da sola, di ritenere obbligatoria la contabilizzazione dell’operazione a saldi chiusi. Dalla mera sovrapponibilità dei flussi economicofinanziari di un long term structured repo con quelli di un credit default swap non discende, in via diretta ed automatica, che i diversi contratti attraverso i quali è stata strutturata una complessa operazione di long term structured repo debbano essere rappresentati in modo unitario nel bilancio, quale derivato creditizio.
Per la Corte territoriale, il Tribunale non è stato in grado di spiegare il tratto
distintivo tra l’operazione «NOME» e i comuni repo to maturiry negoziati sul mercato internazionale e adottati da altre banche italiane (in specie, Unicredit e Banco Popolare, che avevano contabilizzato a saldi aperti), salvo riferirsi al carattere off market dei valori a cui l’operazione era stata negoziata, circostanza ritenuta da tutti gli operatori (istituzionali e non), irrilevante ai fin rappresentazione unitaria dei long term repo.
Considerato, dunque, il quadro di generale confusione dell’epoca, nel quale nemmeno i principali organismi nazionale e sovrannazionali di contabilità erano stati in grado di individuare un trattamento contabile condiviso, e considerato che l’unica direttiva fornita dagli stessi organismi per guidare la scelta contabile era stata quella della individuazione dell’obiettivo di business perseguito con l’operazione che, nel caso specifico, andava individuato nel miglioramento del profilo di rischio delle notes «RAGIONE_SOCIALE», contestualmente fornendo un contributo al margine di interesse della banca senese tramite investimenti in titoli di Stato fino a scadenza, doveva concludersi per l’infondatezza delle accuse inerenti alla falsa contabilizzazione dell’operazione «RAGIONE_SOCIALE».
Le finalità economiche perseguite dal management del RAGIONE_SOCIALE nella realizzazione delle operazioni «NOME» e «COGNOMErini» erano duplici: da un lato, l’esigenza di compensare finanziariamente la minusvalenza in formazione sul collared equity swap sul titolo Intesa San NOME sottoscritto con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel 2002 (operazione «COGNOMErini») e remunerare COGNOME per la sostituzione delle notes «NOME» attraverso le condizioni del repo e della repo facility (operazione «NOME»); dall’altro, l’esigenza di diversificare il profilo di risch degli investimenti pregressi con i veicoli «COGNOMErini» ed «NOME», aderendo a forme di investimento in titoli di stato, più congeniali alla strategia di lun termine fatta propria dalla Banca senese (e non solo da questa), adottata nel delineato contesto di grave crisi dei mercati finanziari, che imponeva di limitare la volatilità a livello di conto economico.
L’acquisto dei BTP era stato effettivo sia nell’ operazione «NOME», ove era avvenuto allo scoperto e regolato tramite compensazione, sia nell’operazione «COGNOMErini», ove era avvenuto direttamente da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il tramite di intermediari.
La sostanza delle due operazioni era quella di long term sctructured repo e, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, vi era corrispondenza tra la sostanza economica delle operazioni e la loro forma.
In ogni caso, per la Corte di appello, dall’istruttoria emergevano la complessità delle operazioni di long term structured repo, l’assenza, nel sistema dei principi contabili internazionali, di una disciplina specifica relativa al trattamento di quest tipo di operazioni, l’assenza di indicazioni univoche da parte delle autorità contabili
COGNOME
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internazionali interpellate sul punto, gli ampi margini di discrezionalità riconosciuti agli amministratori circa la scelta della metodologia di contabilizzazione più corretta dei long term structured repo e il consolidarsi, in un contesto storico di crescente diffusione sul mercato nazionale e internazionale delle operazioni di long term structured repo, di una prassi di mercato solidamente orientata nel senso della loro contabilizzazione a saldi aperti, cosicché alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza COGNOME, non può affermarsi la sussistenza dei reati oggetto di contestazione.
Che le parti intendessero strutturare un credit default swap tramite il quale RAGIONE_SOCIALE avrebbe venduto protezione creditizia a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, mosse da una condivisa finalità contabile illecita, non era emerso da alcuna evidenza istruttoria, né documentale, né dichiarativa.
La contabilizzazione a saldi aperti attuata da RAGIONE_SOCIALE con riguardo alle operazioni «NOME» e «COGNOMErini» non ha violato alcun criterio di valutazione normativamente fissato, ma, all’opposto, si è uniformata ai criteri tecnici generalmente accettati ed applicati dagli operatori del mercato dell’epoca, nonché validati dalle autorità in materia di vigilanza e contabili nazionali e sovrannazionali, cosicché non può ritenersi integrata la fattispecie di cui all’art. 2622 cod. civ., per l’assenza di una falsità valutativa penalmente rilevante.
Quanto alla contabilizzazione al fair value, per la Corte di appello la impossibilità di fissare un prezzo di mercato imponeva di utilizzare il prezzo di transazione ossia il corrispettivo scambiato dalle controparti.
In presenza di un principio contabile speciale – il paragrafo 29 dello IAS 39 che prescrive di riconoscere la passività finanziaria per il corrispettivo ricevuto e, comunque, di direttiva applicative secondo cui «il fair value di uno strumento finanziario al momento della rilevazione iniziale è normalmente il prezzo di transazione» (AG 64) e secondo cui, nondimeno, la valutazione del valore equo deve essere vincolato ai «prezzi di qualsiasi operazione corrente di mercato nello stesso strumento (ossia senza variazione o ristrutturazione dello strumento) o basati su qualsiasi dato osservabile di mercato disponibile» (AG 76), elementi pacificamente assenti nel caso di specie, non può attribuirsi rilevanza penale ex art. 2622 cod. civ. alla mancata rilevazione a bilancio del fair value delle passività finanziarie generate dalle operazioni «NOME» e «COGNOMErini».
4.2. Relativamente ai reati di aggiotaggio informativo, commessi dal 2009 al 2012 e contestati al capo B), la Corte territoriale ha osservato che si trattava di una pluralità di reati, per ciascuno dei quali avrebbero dovuto essere individuate le coordinate spazio-temporali delle condotte contestate agli imputati onde accertare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dei singoli reati, mentre Tribunale aveva fatto discendere la partecipazione degli imputati ai reati di
aggiotaggio dalla loro partecipazione alle operazioni «RAGIONE_SOCIALE», «COGNOMErini» ed «NOME».
In realtà, i comunicati stampa, sebbene avessero come presupposti i bilanci di RAGIONE_SOCIALE, contenevano informazioni differenti rispetto ai bilanci stessi e costituivano il risultato di un iter approvativo autonomo e distinto. Peraltro, da un certo momento in poi, gli intranei di RAGIONE_SOCIALE non ricoprivano più alcun ruolo all’interno della Banca e non potevano essere considerati, neppure astrattamente, quali autori delle condotte contestate. Il medesimo argomento viene esteso dalla Corte territoriale agli imputati intranei di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed a quelli di COGNOME.
In ogni caso, la insussistenza delle falsità contestate ai capi A4) e A5) ha portato la Corte territoriale a ritenere, per derivazione, la insussistenza dell corrispondenti falsità contestate al capo B) in relazione alle operazioni «COGNOMErini» ed «NOME».
Quanto all’operazione «RAGIONE_SOCIALE», la Corte territoriale ha ritenuto, che, come anche evidenziato da Banca d’Italia e da RAGIONE_SOCIALE, i canoni pagati fino al 16 aprile 2009, in quanto collegati ad uno strumento che, sino al 19 maggio 2009 data di risoluzione della seconda Indemnity -, presentava le caratteristiche di una passività finanziaria e non di uno strumento rappresentativo di capitale, avrebbero dovuto essere contabilizzati a conto economico dell’ esercizio 2008 e non portati a riduzione del patrimonio netto del bilancio 2009 e, conseguentemente il conto economico e il patrimonio netto del bilancio 2008 avrebbero dovuto essere inferiori di circa 94,3 milioni di euro.
Tuttavia, poiché nel comunicato stampa del 29 aprile 2009 sono stati forniti dati numerici aggregati per l’operazione «RAGIONE_SOCIALE» e l’operazione «COGNOMErini», senza possibilità di distinguere gli uni dagli altri, e in relazione all’operazio «COGNOMErini» le falsità contestate non sussisterebbero, la Corte territoriale ha ritenuto che i dati, sia pure falsati, relativi all’operazione «RAGIONE_SOCIALE» fosser dotati di minore rilevanza e non risulterebbe provata la loro price-sensitivity, ossia la loro idoneità a cagionare una sensibile alterazione della quotazione dell’azione RAGIONE_SOCIALE, che invece il Tribunale aveva affermato in modo apodittico, senza motivare la sua affermazione e senza fondarla su una relazione di consulenza tecnica.
La Corte territoriale, in conclusione, non ha ritenuto provata la pricesensitivity in relazione alla falsità dei dati forniti in relazione alle operazio «RAGIONE_SOCIALE», «COGNOMErini» ed «NOME».
Il giudizio di prognosi postuma era stato fondato dal Tribunale su presunzioni e il Tribunale non aveva tenuto conto della congiuntura di mercato, nella quale le condotte da valutare erano state compiute. Il primo giudice non aveva individuato alcuna legge di copertura alla quale ricollegare, con elevata probabilità, determinati effetti a determinate cause e, inoltre, non aveva considerato il
contesto storico in cui si inseriva, in particolare, il comunicato relativo al bilanci 2008, caratterizzato dalla crisi dei mercati finanziari che aveva determinato forti perdite per le banche nazionali ed internazionali. Inoltre, il Tribunale avrebbe dovuto effettuare un giudizio di prognosi postuma con riguardo a ciascuno dei comunicati contestati, considerando che erano differenti sia i dati specifici indicati come difformi dal vero sia i contesti di mercato. Invece, nessun giudizio di prognosi postuma era rinvenibile con riguardo ai comunicati relativi ai bilanci 2009, 2010 e 2011 e a quelli relativi alle situazioni patrimoniali del 2012 e, pertanto, non vi era alcuna motivazione sul perché le notizie ritenute false, diffuse in tali esercizi, avrebbero influenzato in modo significativo il corso del titolo. Il Tribunale si era erroneamente limitato a considerare quale unico elemento di prova del pericolo la reazione del mercato a gennaio 2013, poiché in quel momento, a fronte di un’asserita comunicazione vera, il titolo RAGIONE_SOCIALE aveva subito un deprezzamento.
4.3. Relativamente al capo D) (aggiotaggio informativo commesso il 29 agosto 2008), la Corte territoriale ha evidenziato che non sono mai stati individuati i soggetti che materialmente avevano effettuato i calcoli relativi alla determinazione, nella relazione semestrale di RAGIONE_SOCIALE al 30 giugno 2008, del coefficiente di solvibilità, né è stato accertato quale fosse stato il procedimento eseguito, elementi tutti necessari per poter valutare, in via preliminare, le scelte, di natura eminentemente tecnica, compiute e, quindi, poter accertare la sussistenza del reato e le singole responsabilità soggettive.
Neppure, per la Corte territoriale, sussistono elementi probatori certi dai quali potersi evincere che l’esposizione numerica della percentuale del 9,1 % sia stata il risultato di una dolosa preordinazione diretta a far apparire che RAGIONE_SOCIALE avesse un coefficiente di solvibilità diverso da quello effettivo.
Erano emersi dall’istruttoria sia il contesto temporale nel quale la relazione semestrale era stata pubblicata, sia il fatto che avessero contribuito all’esame delle questioni tecniche, la cui risoluzione influiva sui risultati finali da esporre nell relazione, anche soggetti esterni a RAGIONE_SOCIALE con il ruolo di consulenti.
La pubblicazione della relazione semestrale era avvenuta il 29 agosto 2008, mentre solo con la nota di Banca d’Italia del 23 settembre 2008 erano state specificate, in modo definitivo, le ragioni per le quali le azioni sottoscritte da JPM non potevano essere computate nel core capital di RAGIONE_SOCIALE, ma tra gli strumenti innovativi di capitale, computabili fino ad un massimo del 20% nel patrimonio di base.
Nel periodo temporale nel quale era stata predisposta e approvata la relazione semestrale, sussisteva un’ampia discrezionalità tecnica nella effettuazione dei calcoli, che presupponevano l’individuazione della natura delle azioni. La Corte territoriale ha indicato numerosi documenti a dimostrazione della circostanza che
la questione concernente la computabilità dell’aumento di capitale riservato a JPM nel core capita! di RAGIONE_SOCIALE costituiva ancora oggetto di valutazioni e di scambi di opinioni, anche con legali e consulenti esterni alla banca.
La questione veniva definitivamente risolta da Banca d’Italia con la nota del 23 settembre 2008, ossia in una data successiva a quella in cui era stata non solo predisposta, ma anche pubblicata la relazione semestrale oggetto dell’imputazione; prima della nota del 23 settembre 2008 la Banca d’Italia, pur avendo espresso delle riserve, non era ancora pervenuta ad una risposta definitiva.
Per la Corte territoriale, quindi, le prove non consentono di affermare la falsità della percentuale del 9,1% riportata nella relazione semestrale, atteso che detta falsità deve anch’essa essere valutata alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza COGNOME e sino al settembre del 2008 non vi erano indicazioni chiare sulle questioni tecniche connesse alla computabilità dell’aumento di capitale nel core capital.
Inoltre, sostiene la Corte di appello, neppure è provata la price-sensitivity della notizia che si pretende essere falsa, per le ragioni già esposte in relazione al capo B).
4.4. In ordine agli illeciti amministrativi contestati ai capi L), M), N), O), P) Q), la Corte territoriale ha pronunciato assoluzione nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE AG, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE AG RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, per insussistenza dei reati presupposti di false comunicazioni sociali e di aggiotaggio informativo.
Avverso la menzionata sentenza della Corte di appello di Milano, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano articolando quattro motivi di ricorso.
2.1 Con particolare riferimento ai reati di cui ai capi A4) e A5), il Pubblico ministero lamenta violazione di legge con riferimento all’art. 2622 cod. civ. e al d.lgs. 28 febbraio 2005 n. 38, sull’esercizio delle opzioni previste dall’art. 5 de regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia di principi contabili internazionali.
La normativa individua le società chiamate ad osservare i principi contabili internazionali (IAS/IFRS), descrivendone l’ambito di applicazione «alle banche, le società finanziarie capoRAGIONE_SOCIALE dei gruppi bancari, le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’Unione europea».
Il d.lgs. 28 febbraio 2005 n. 38, invero, ha dato rango di legge al principio che sovraintende la redazione del bilancio in base ai principi IAS/IFRS e permea
,Tv di sé l’intero assetto contabile: il principio della prevalenza della sostanza so?ra la forma, per il quale è previsto che «le transazioni e gli altri eventi che il bilancio pretende di rappresentare siano contabilizzati e presentati sulla base della loro sostanza e realtà economica e non meramente sulla base della loro forma legale».
Ad avviso del ricorrente la violazione del principio di legge circa la necessaria prevalenza della sostanza sopra la forma rappresenta la chiave di lettura dell’intero processo, come ampiamente documentato nella sentenza di primo grado, per cui appare manifesto l’errore di diritto da parte della corte di appello nel rinnegare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma con riferimento alle contestate operazioni «COGNOMErini» e «NOME», trattandosi di un principio generale, che, seppur basilare e internazionalmente condiviso in materia, veniva confutato dalla sentenza impugnata, che dichiarava di non ritenerlo un principio contabile.
Tale principio, pertanto, a differenza di quanto ritenuto dalla corte territoriale, non è ambiguo, generico, astratto, evanescente, residuale, costituendo, piuttosto, le fondamenta dei principi IAS/IFRS ed è proprio questo principio che gli imputati hanno violato, documentando operazioni in derivati, con l’apparenza di operazioni che rappresentavano tutt’altro.
Rileva, inoltre, il ricorrente che l’omessa classificazione dello strumento finanziario come derivato sia un evidente errore da parte della corte territoriale, alla luce delle risultanze probatorie con cui il giudice di appello ha omesso di confrontarsi.
Da tali risultanze, infatti, che vengono elencate in ricorso, emerge la natura economica sostanziale delle operazioni stipulate, che rientrano nella fattispecie di RAGIONE_SOCIALE), avente ad oggetto la vendita, da parte di RAGIONE_SOCIALE a favore delle sue controparti banche d’affari straniere, protezione su rischio di credito sovrano Italia riguardante BTP2031 e BTP2034; protezione venduta a fronte di un premio inesistente (o comunque molto più basso di quello che si sarebbe dovuto ricevere in base alle normali condizioni di mercato, tenuto conto di quegli importi nominale e di quelle scadenze).
Appare quindi evidente che si tratti di un derivato creditizio, sinteticamente ottenuto attraverso la sommatoria di più transazioni contrattuali, all’apparenza autonome e separate, ma nella sostanza intrinsecamente e funzionalmente collegate nella loro reale unica ratio economica, così da doversi necessariamente trattare, da un punto di vista contabile, in modo unitario.
Il ricorrente lamenta anche violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 111, Cost; 192 e 220, c.p.p., posto che la corte territoriale, con una motivazione in sostanza apparente, ha fondato la sua decisione sugli esiti della sola consulenza tecnica redatta dal profAVV_NOTAIO COGNOME, nell’interesse dei funzionari di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE imputati, senza confrontarsi realmente, come sarebbe
stato suo specifico onere, con gli altri mezzi di prova e, in particolare, con gli esiti delle altre consulenze tecniche redatte dai consulenti del pubblico ministero e delle parti civili, ben diversi da quelli cui è pervenuto il prof. COGNOME, dunque senza indicare le ragioni della preferenza monopolisticamente accordata alle conclusioni del prof. COGNOME.
Tanto premesso, il Pubblico ministero rileva, tuttavia, che, nelle more del giudizio, i reati di cui ai capi A4) e A5) sono ormai estinti per prescrizione, ma ciò, a suo avviso, non rileva ai fini della richiesta di annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con riferimento ai capi L); M) ed N), aventi a oggetto gli illeciti amministrativi contestati agli enti privati, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE AG e RAGIONE_SOCIALE PLC, ai sensi dell’art. 8, co. 1, n. 2, digs. n. 231 del 2001, in quanto l’estinzione del reato in capo ai singoli imputati persone fisiche in ragione dell’operato decorso del tempo non comporta alcuna diretta conseguenza sull’illecito amministrativo contestato in capo all’ente, basato sul reato presupposto.
2.2. Con riferimento ai reati di cui al capo B), il Pubblico ministero ricorrente lamenta violazione di legge, con riferimento all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998, 192, c.p.p., e 111, Cost., e vizi di motivazione, partendo dal presupposto che, a differenza di quanto affermato dalla corte territoriale, va ribadita la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998, come si evince da evidenti elementi probatori e, in particolare, dal contenuto della relazione della RAGIONE_SOCIALE del 9 ottobre 2015.
In particolare, ad avviso del Pubblico ministero ricorrente, la Corte territoriale è incorsc n in un vero e proprio errore di diritto, nel non considerare, da un lato, che proprio l’occultamento delle perdite nei bilanci (di cui al capo A dell’imputazione precedentemente esaminato) è stata la causa diretta tra il falso in bilancio e l’aggiotaggio; dall’altro che, essendo RAGIONE_SOCIALE una società quotata, le informazioni contenute nei documenti contabili sono per definizione diffuse, sulla base della normativa di settore, dovendo essere tali documenti messi a disposizione del pubblico, ai sensi degli artt. 113-ter e 154-ter del T.U.F., e delle disposizioni attuative del Regolamento Emittenti, tra cui la pubblicazione mediante sito Internet, oltre l’inclusione dei dati contabili nei comunicati stampa relativi all’approvazione dei bilanci d’esercizio e delle situazioni patrimoniali intermedie, attraverso il NIS, gestito da RAGIONE_SOCIALE Italiana.
Con rifermento, in particolare, alle operazioni «NOME» e «COGNOMErini», le risultanze probatorie hanno evidenziato come RAGIONE_SOCIALE abbia fornito al mercato una rappresentazione falsa delle passività relative ai repo, non avendo effettuato la rilevazione iniziale al fair value delle due operazioni, che per l’operazione «COGNOMErini» era pari a ben 429 milioni di euro; ha, d’altra parte, occultato al
mercato che le singole parti delle due operazioni, nel loro insieme, fossero assimilabili a un CDS, dandone una rappresentazione falsa «a saldi aperti».
La Corte territoriale, inoltre, sul punto ha omesso di confrontarsi con la portata delle prove emergenti in atti, come, ad esempio, con le testimonianze dirette di una serie di funzionari bancari, dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; con le argomentazioni svolte dai consulenti tecnici del pubblico ministero, professori COGNOME e COGNOME, e con il contenuto della relazione RAGIONE_SOCIALE del 28 giugno 2013.
Ancora il Pubblico ministero ricorrente deduce violazione di legge in punto di concreta idoneità delle indicate falsità a provocare l’alterazione sensibile dell’azione MPS, esclusa dalla Corte territoriale con motivazione fallace, in quanto il giudice di secondo grado ha omesso di considerare il contenuto della relazione RAGIONE_SOCIALE del 9 ottobre 2015 e, in particolare, delle dieci tabelle a essa allegate, da cui emerge che per effetto della non corretta contabilizzazione dei repo e della contabilizzazione «a saldi aperti> delle due operazioni nei bilanci di RAGIONE_SOCIALE al 31 dicembre 2008, al 31 dicembre 2009, al 31 dicembre 2010 e al 31 dicembre 2011, le informazioni false sulla dimensione del patrimonio netto hanno inciso in maniera rilevante sul dato contabile del patrimonio netto consolidato e sulla capitalizzazione di mercato, mentre le informazioni false sulla dimensione del risultato di esercizio hanno inciso in maniera rilevante sul risultato d’esercizio consolidato; inoltre, osserva il ricorrente, sempre dalla menzionata relazione RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, dal contenuto della Tabella 10, si ricava che al 31 dicembre 2008 la corretta rilevazione dei fair value dei repo e la contabilizzazione «a saldi chiusi» dell’operazione COGNOMErini avrebbero comportato la riduzione del total capital ratio di RAGIONE_SOCIALE rispettivamente al 7,9°/o e al 7,88%, al di sotto della soglia regolamentare dell’8%, per cui un investitore che si fosse proposto di compravendere azioni RAGIONE_SOCIALE avrebbe rinvenuto nel bilancio consolidato indicazioni false. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Infine, premesso che il reato di cui al capo B) dell’imputazione costituisce il presupposto degli illeciti amministrativi contestati nei capi O), P) e Q) agli enti privati, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE AG e RAGIONE_SOCIALE, osserva il Pubblico ministero ricorrente, che, una volta accolta la richiesta di annullamento con rinvio, il giudice del rinvio dovrà occuparsi della sussistenza del reato sub B), anche nella prospettiva della responsabilità delle banche ex lege 231 del 2001.
2.3. Quanto ai reati di cui al capo D), il Pubblico ministero ricorrente lamenta violazione di legge, con riguardo all’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998, in relazione alle regole derivanti dalla circolare n. 262 emessa dalla Banca d’Italia in data 22 dicembre 2005 ed agli artt. 192 cod. proc. pen. e 111 Cost.
COGNOME
/,
In particolare, ad avviso del ricorrente, la corte territoriale non ha rispettato le regole internazionali, recepite in Regolamenti e Direttive della Banca d’Italia, volte a garantire la sussistenza continuativa di adeguati livelli di patrimonializzazione, sufficienti a fronteggiare i rischi connessi allo svolgimento dell’attività bancaria, in quanto la cd. «Operazione Fresh» è stata caratterizzata da una serie di artifizi volti a ribaltare sulla banca senese tutti i rischi economici derivanti dalla medesima operazione finanziaria.
L’errore compiuto dalla Corte territoriale consiste, con riferimento al computo del RAGIONE_SOCIALE di Vigilanza, nel non aver rilevato la violazione sistematica dei principi contenuti nelle indicate fonti normative, attraverso cui RAGIONE_SOCIALE aveva integralmente computato le azioni sottoscritte da JPM, azioni che non potevano essere trattate come azioni ordinarie, atteso che, a seguito di obblighi di natura contrattuale, erano state svuotate della loro caratteristica principale (assorbimento delle perdite e rischio d’impresa), all’interno del RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ripercuotendosi necessariamente sulle dimensioni reali dello stesso istituto senese.
Tale computo, infatti, aveva permesso di stimare il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in euro 6,3 miliardi circa in luogo dei 5,2 miliardi circa e il RAGIONE_SOCIALE Supplementare in euro 5,7 miliardi in luogo dei 5,2 miliardi, trasformando l’indice di solvibilità dal 7,8% al 9,1%.
A tale risultato la Corte di appello è pervenuta, sulla base di una valutazione meramente apparente degli elementi probatori, senza confrontarsi realmente con ciascuno di essi, quali, con riferimento alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, il contenuto delle relazioni della Banca d’Italia del 28 novembre 2012 e del 27 febbraio 2013, nonché della relazione della RAGIONE_SOCIALE del 15 febbraio 2013, mentre, con riferimento alla responsabilità degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che rivestivano posizioni apicali all’interno di RAGIONE_SOCIALE, il complesso delle acquisizioni documentali e delle deposizioni dei testi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, dalle quali è possibile dedurre una diretta e consapevole partecipazione dei suddetti imputati all’indicata operazione nei termini descritti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso anche la parte civile RAGIONE_SOCIALE, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando otto motivi.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 185 T.U.F. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo di imputazione B). In particolare, lamenta la mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova nella valutazione del materiale istruttorio concernente la falsità delle notizie di cui al capo B) dell’imputazione. Sostiene la ricorrente che la Corte di appello si è limitata a valorizzare i singoli elementi probatori, valutandoli in maniera parcellizzata ed incorrendo in una pluralità di travisamenti e omissioni, e non ha svolto un esame globale dei diversi elementi di prova disponibili che avrebbe consentito di accertare la falsità delle notizie comunicate.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la carenza ed illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che le notizie diffuse con il comunicato oggetto di contestazione al capo B) fossero dotate di price sensitivity, ossia della idoneità a provocare una sensibile alterazione del prezzo della azione RAGIONE_SOCIALE.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, in relazione al reato di cui al capo B), la violazione degli artt. 110 e 185 TUF laddove la Corte territoriale ha escluso il contributo concorsuale degli imputati alla consumazione del delitto di manipolazione del mercato.
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermata insussistenza del dolo in capo agli imputati in relazione al delitto contestato al capo B).
Con il quinto motivo la ricorrente si duole, in relazione al reato di manipolazione del mercato di cui al capo D), collegato all’operazione «FRESH», della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della falsità dell’informazione e del dolo nella diffusione dei dati relativi al patrimonio di vigilanza della banca senese mediante pubblicazione della relazione semestrale al 30 giugno 2008.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia carenza di motivazione in ordine alla price sensitivity della falsa notizia di cui al reato ex art. 185 TUF contestato agli imputati al capo D).
Con il settimo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2638, primo e secondo comma, cod. civ, nonché la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’elemento oggettivo del reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza contestato al capo C).
Con l’ottavo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 2638, primo e secondo comma, cod. civ, nonché della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza contestato al capo H).
Con atto pervenuto in data 5 ottobre 2023 la RAGIONE_SOCIALE ha revocato la sua costituzione di parte civile.
Alcuni difensori delle parti civili non si sono limitati a rassegnare le propri conclusioni, ma hanno fatto pervenire memorie difensive a sostegno del ricorso del Procuratore generale.
7.1. In particolare, l’AVV_NOTAIO, difensore delle parti civil NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, ha fatto pervenire una memoria con la quale afferma che il criterio della prevalenza della sostanza sulla forma, in quanto funzionale ad una rappresentazione fedele del fenomeno economico sottostante, è alla base di tutti i principi contabili internazionalmente riconosciuti e non un criterio residuale da applicare in mancanza di altro specifico criterio, come, invece, affermato dalla Corte di appello. Anche nel bilancio RAGIONE_SOCIALE del 2009 si affermava che lo stesso era stato redatto nel rispetto del suddetto principio e la sottoscrizione del documento contabile da parte degli imputati avrebbe il valore di una confessione.
Illogica sarebbe la preferenza accordata dalla Corte d’Appello alla relazione del consulente tecnico COGNOME e senza motivazione risulta l’omessa valutazione della relazione del consulente delle parti civili COGNOME. Contraddittoriamente la Corte territoriale ha censurato la decisione del Tribunale di non disporre una perizia e poi anch’essa ha omesso di nominare un perito indipendente.
Le ragioni addotte a sostegno di tale preferenza da parte della Corte di appello (ossia l’autorevolezza del prof. COGNOME, esperto nella materia dei derivati, e delle fonti utilizzate, la metodologia, l’incertezza manifestata dai consulenti tecnici del Pubblico ministero, l’ipostatizzazione del movente) sarebbero anch’esse illogiche.
La Corte di appello non ha spiegato perché il prof. COGNOME sarebbe dotato di maggiore competenza rispetto agli altri consulenti, né lo stesso risulta aver utilizzato una metodologia diversa rispetto agli altri, atteso che anch’egli, nel corso del processo, ha depositato relazioni integrative. Quanto all’incertezza manifestata dai consulenti tecnici del Pubblico ministero essa, dal punto di vista dei giudici di appello, aveva investito un solo e marginale elemento e comunque essa era stata risolta mediante il deposito di una relazione integrativa. Circa la ipostatizzazione del movente da parte dei consulenti del Pubblico ministero, essa non chiariva perché il prof. COGNOME dovesse prevalere anche sui consulenti tecnici delle parti civili, che non avevano mostrato incertezze ed ai quali la Corte territoriale neppure aveva contestato l’ipostatizzazione del movente.
Con riguardo, poi, alla non sovrapponibilità dei flussi di cassa dell’operazione «COGNOMErini» con quella di un credit default swap, la Corte territoriale ha adottato
argomenti divergenti quanto alle due operazioni «COGNOMErini» ed «NOME» e tuttavia, contraddittoriamente, è pervenuta alla medesima conclusione di escludere che si trattasse di un credit default swap.
Inoltre, la preferenza accordata al prof. COGNOME si pone in contrasto con le plurime e concordanti risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio.
La Corte d’Appello è arrivata a motivare la sua decisione affermando che era impossibile sottoscrivere un CDS di durata venticinquennale (a pag. 1174) a causa dell’inesistenza sul mercato di CDS di tale durata, mentre i consulenti tecnici del Pubblico ministero e delle parti civili avevano solo affermato che era più difficile reperire quotazioni affidabili sui CDS di durata superiore a cinque anni, che è la durata più usuale per tale categoria di contratti derivati.
Peraltro, neppure esiste un mercato di pronti contro termine di durata venticinquennale, come quella delle due operazioni «COGNOMErini» ed «NOME», e utilizzando lo stesso criterio neppure poteva affermarsi che le due operazioni integrassero contratti repo, come ritenuto dalla Corte territoriale.
La Corte d’Appello avrebbe dimostrato nei confronti del consulente tecnico delle parti civili un vero e proprio insanabile pregiudizio, operando un raffronto tra le sole conclusioni del prof. COGNOME e quelle dei consulenti del Pubblico ministero, dando prevalenza alle prima in considerazione della mancata corrispondenza dei flussi di cassa dell’operazione «COGNOMErini» a quella di un credit default swap ed omettendo di rispondere alle argomentazioni del consulente delle parti civili, ing. COGNOME, che aveva sostenuto l’operazione era l’insieme di due derivati (un credit default swap ed un interest rate swap) unitariamente negoziati ed occultati all’interno dell’involucro utilizzato da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e MPS per rappresentare l’operazione come pronti contro termine. La Corte di appello non ha dato risposta ai rilievi del consulente delle parti civili, limitandosi ad ignorarli.
Il difensore lamenta anche una serie di errori e travisamenti operati dalla Corte di appello e conclude richiedendo la condanna degli imputati e dei responsabili civili al risarcimento del danno, di cui viene precisato l’ammontare per ciascuna delle parti civili assistite dal medesimo difensore.
7.2. Anche l’AVV_NOTAIO, l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, per le parti civili dagli stessi rispettivamente difese, hanno fatto pervenire memorie difensive a sostegno dell’accoglimento del ricorso del Procuratore generale.
Gli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME (elenca le parti civili da lui rappresentate), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (revoca parziale), in qualità di difensori di fiducia
COGNOME
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e procuratori speciali delle parti civili da ciascuno di essi rappresentate, hanno fatto pervenir conclusioni con cui chiedono l’accoglimento del ricorso del procuratore generale, con l’adozione delle conseguenziali statuizioni civilistiche.
I difensori delle società chiamate a rispondere per i reati contestati ai diversi imputati hanno fatto pervenire memorie difensive per opporsi all’accoglimento del ricorso del Procuratore generale.
9.1. Gli AVV_NOTAIO.ti COGNOME e COGNOME, difensori di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, dopo avere esposto analiticamente il contenuto della sentenza oggetto di ricorsi, si sono soffermati sulle ragioni, che, a loro avviso, militano per una generale inammissibilità del ricorso del Pubblico ministero.
In particolare, evidenziano i difensori come una ragione di inammissibilità discenda innanzitutto dalla palese violazione dell’art. 581, comma 1, lett. a) c.p.p. (in combinato disposto con l’art. 591, comma 1, lett. c) cod proc. pen.), secondo il quale l’impugnazione contro un provvedimento giudiziale deve tener conto dei contenuti effettivi di quest’ultimo, e quindi riportarne fedelmente ed adeguatamente il contenuto, evitando qualsiasi tentativo di mistificazione. Le affermazioni poste dal Procuratore generale a base dei motivi di impugnazione risultano infatti del tutto disancorate dalla effettiva motivazione della sentenza di appello, il cui contenuto viene riportato in modo del tutto incompleto ed estremamente frammentario, con il risultato di stravolgerne così completamente il significato e di ridurne drasticamente la portata, non prendendo specifica posizione sul contenuto argomentativo della sentenza impugnata.
I motivi a base del ricorso della Procura Generale sono poi inammissibili ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. per carenza di interesse all’impugnazione in ragione della omessa impugnazione di parti essenziali della sentenza il cui passaggio in giudicato si rivela in sé del tutto sufficiente a sorreggere le conclusioni assolutorie alle quali la sentenza è pervenuta.
Con il ricorso, infatti, vengono fatte oggetto di censura alcune soltanto delle rationes decidendi sulle quali si fonda la sentenza impugnata: il che, conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, rende evidentemente inammissibile il ricorso, in quanto l’eventuale accoglimento dei motivi di censura ivi svolti non potrebbe comunque condurre all’annullamento della sentenza.
In particolare, non sono stati oggetto di impugnazione da parte del Procuratore generale i seguenti elementi essenziali della sentenza a base della scelta assolutoria: la parte della sentenza relativa alla inesistenza di un accordo criminoso tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; (b) la parte della sentenza relativa alla effettiva natura sostanziale ed alla liceità ab origine
dell’operazione COGNOMErini; (c) la parte della sentenza relativa alla inesistenza di un falso penalmente rilevante della rappresentazione contabile dell’Operazione; (d) la parte della sentenza relativa al mancato assolvimento da parte della Pubblica Accusa dell’onere probatorio a proprio carico esistente con riferimento alla idoneità causale della condotta degli imputati appartenenti a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a concorrere nel compimento del contestato delitto di aggiotaggio informativo in questa sede contestato, e alla idoneità delle notizie diffuse da RAGIONE_SOCIALE ad alterare sensibilmente il valore delle azioni di RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso è poi viziato per difetto del requisito di autosufficienza che impone alla parte ricorrente di suffragare la correttezza delle censure ai capi contestati della decisione impugnata attraverso una specifica e dettagliata illustrazione degli atti e documenti a base della impugnazione e del contenuto degli stessi da ritenersi rilevante.
La Procura generale ha poi contestato la coerenza ed adeguatezza della motivazione adottata a supporto delle conclusioni raggiunte, chiedendo a questa Corte di rivalutare nel loro complesso le risultanze probatorie acquisite al giudizio, senza specificare, tuttavia, quale sarebbe l’esatto contenuto dei documenti che la corte territoriale avrebbe trascurato di considerare ai fini della propria decisione (e senza spiegare il motivo per il quale la rilettura degli stessi sarebbe suscettibile di travolgere l’impianto motivazionale della Corte).
Il ricorso si rivela, altresì, inammissibile anche in ragione della propria mancanza di decisività, in ragione del fatto, cioè, che la Procura non ha impugnato numerosi tra gli argomenti – distinti ed autonomi – che la sentenza ha posto a base dell’assoluzione degli imputati: si tratta di ragioni – oggi passate in giudicato – che la corte territoriale pone a base della sentenza, del tutto decisive in quanto suscettibili in sé, e da sole, di condurre al proscioglimento degli imputati di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e rispetto ai quali l’eventuale accoglimento dei motivi di ricorso presentati dalla Procura generale non avrebbe alcun affetto.
Con la conseguenza che il ricorso risulta inammissibile per mancanza d’interesse in ragione del principio del tutto pacifico per cui “nel caso in cui la decisione di un punto della sentenza del giudice del merito sia giustificata in base ad una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali sia giuridicamente e logicamente sufficiente a sorreggere, da sola, la pronuncia, l’impugnativa portata ad una sola di tali ragioni rende la stessa inammissibile per difetto di interesse, posto che da una pronuncia favorevole sulla stessa non potrebbe derivare all’impugnante quella modificazione della sua situazione processuale, che costituisce il contenuto dell’interesse che, per espresso dettato normativo, deve sottostare ad ogni impugnazione”.
Nel caso di specie, nessuno dei motivi di ricorso presentati dalla Procura
COGNOME
generale è suscettibile di travolgere tutte le rationes decidendi dalla sentenza, con la conseguenza che, quand’anche tali motivi fossero ritenuti – in tutto o in parte fondati, il ricorso non potrebbe comunque portare all’annullamento della sentenza, in quanto la decisione assolutoria risulterebbe comunque adeguatamente sorretta da altri distinti ed autonomi elementi che non sono stati oggetto di impugnazione.
Ciò comporta l’assenza di un effettivo interesse della Procura generale all’impugnazione e, conseguentemente, l’inammissibilità (sia dei singoli motivi posti a base del ricorso, sia del ricorso nella sua interezza) a mente dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. in ragione dell’intervenuto passaggio in giudicato di ragioni della sentenza sufficienti a garantire la conferma dell’assoluzione degli imputati appartenenti a Deutche RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dalla stessa disposta.
Come detto in precedenza, nel caso di specie la decisione di condanna degli imputati RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (e di RAGIONE_SOCIALE) per i reati di false comunicazioni sociali e di aggiotaggio informativo costituiva infatti il precipitato di una serie passaggi logico giuridici strettamente concatenati e che ponevano al centro la tesi accusatoria dell’esistenza del concorso degli individui appartenenti a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel reato presupposto consistente nella falsità dell’informazione riportata nei bilanci approvati dalla banca senese asseritamente finalizzato alla consapevole e volontaria diffusione di notizie false contenute nei comunicati di RAGIONE_SOCIALE.
Per quanto la f,entenza sia pervenuta all’assoluzione di tutti gli imputati sulla base di motivazioni che hanno travolto la totalità degli argomenti accusatori posti a base della imputazione, ed utilizzati dal Tribunale, è evidente che nessuna delle censure presentate nel ricorso con riferimento ai capi della sentenza che hanno portato alla dichiarazione di assoluzione degli imputati appartenenti a RAGIONE_SOCIALE bank sarebbe idonea e sufficiente a fare collassare l’impianto che la Corte d’Appello di Milano ha posto a base della sentenza, ed a fare cadere la pronuncia di assoluzione degli imputati.
La mancata impugnazione, ed il conseguente passaggio in giudicato di numerose parti della sentenza che affrontano e risolvono questioni chiave e decisive ai fini della eventuale responsabilità penale degli imputati appartenenti a Deusche RAGIONE_SOCIALE, comporta quindi necessariamente (ed automaticamente) la definitività della assoluzione pronunciata dalla Sentenza con riferimento a tutti i capi di imputazione e per tutti i reati loro ascritti dalla Pubblica Accusa.
Nel resto i difensori si soffermano sui singoli motivi di ricorso evidenziandone, con riferimento alle singole imputazioni, l’inammissibilità perché versati in fatto, manifestamente infondati e generici.
9.2. L’AVV_NOTAIO nella memoria del 20.9.2023 affronta specificamente il tema della responsabilità degli enti privati da lui assistiti per gli illeciti amministr contestati nei capi L), M), Q) e R), di cui difettano i presupposti.
Nel chiedere il rigetto del ricorso, il difensore evidenzia come l’eventuale annullamento della sentenza della Corte territoriale circa i reati presupposti degli illeciti amministrativi contestati ai capi L, M, P e Q sarebbe privo di effetti, s perché non è ipotizzabile alcun concorso esterno tra enti, allorquando essi non siano legati da alcun vincolo di direzione e/o controllo, sia perché le condotte dei funzionari di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ritenute penalmente rilevanti dal Tribunale, si manifestarono, come scritto nel capo di imputazione, tra il 2008 ed il 2009, dunque in epoca molto antecedente rispetto alla consumazione del supposto illecito amministrativo (contestato dall’aprile 2011).
Inoltre, la responsabilità amministrativa non costituisce una forma di responsabilità senza colpa, oggettiva, non derivando automaticamente dall’accertamento di un reato commesso da un soggetto qualificato; l’illecito dell’ente è caratterizzato da una colpevolezza autonoma rispetto a quella delle persone fisiche che operano al suo interno e che incide sulla reazione penale, occorrendo anche una colpa di organizzazione, che consiste nel rimprovero all’ente per la mancanza o per l’inadeguatezza del suo apparato interno volto a ridurre il rischio-reato ed è diversamente connotata a seconda che il delitto presupposto sia stato commesso da un soggetto in posizione apicale o da un soggetto sottoposto all’altrui vigilanza e direzione.
Poiché la condotta delle persone fisiche di RAGIONE_SOCIALE si è concretizzata tra il 2008 e 2009, solo rispetto a questi due anni avrebbe dovuto essere valutata l’eventuale sussistenza di una responsabilità amministrativa e, dunque, solo rispetto ad essi doveva essere accertata la carenza organizzativa, sui cui si fonda l’accertamento della colpa di organizzazione, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale.
9.3. Gli avvocati COGNOME e COGNOME, difensori di fiducia di RAGIONE_SOCIALE, deducono che, sebbene la Corte di appello abbia assolto RAGIONE_SOCIALE dagli illeciti amministrativi di cui alla legge n. 231 del 2001 ad essa contestati per insussistenza dei reati presupposti, i giudici di secondo grado avevano indicato distinte ed autonome rationes decidendi che giustificavano la medesima pronuncia, come la insussistenza del concorso degli imputati intranei a RAGIONE_SOCIALE nei reati che erano stati contestati agli imputati intranei a RAGIONE_SOCIALE, sicché, anche laddove la formula indicata nel dispositivo della sentenza fosse stata diversa dalla declaratoria di insussistenza del fatto, la Corte d’Appello avrebbe in ogni caso assolto RAGIONE_SOCIALE e i suoi esponenti NOME COGNOME e NOME COGNOME da tutti i capi d’imputazione agli stessi ascritti “per non ave commesso il fatto” o “perché il fatto non costituisce reato”, in mancanza dell’elemento soggettivo del reato stesso. Parimenti, rispetto alla sola RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello avrebbe dichiarato altresì non doversi procedere rispetto alle
contestazioni ai sensi della responsabilità amministrativa dell’ente ex d.lgs. 231/2001 sub lett. N) e Q), in relazione ai delitti presupposto ex artt. 2622 c.c. 185 TUE, consumati il 27.4.2010, per intervenuta prescrizione.
Tutte queste formule assolutorie, nel caso concreto, sono rimaste “assorbite” da quella dichiarativa dell’insussistenza del fatto: venuto meno il fatto tipico reato, ha perso rilevanza indicare nel dispositivo che, se anche il fatto sussistesse, non costituirebbe reato o fosse da ritenersi prescritto.
Orbene una disamina attenta dei motivi di ricorso evidenzia, infatti, come risultino del tutto assenti i profili attinenti tanto al profilo soggettivo di NOME dei suoi esponenti, quanto al tema della prescrizione dell’illecito dell’ente sopra richiamato, con conseguente inammissibilità del ricorso perché generico.
I difensori censurano, inoltre, i motivi di ricorso del Procuratore Generale rispetto allo specifico tema della responsabilità amministrativa degli enti e all’autonomia di quest’ultima rispetto alla prescrizione dei reati presupposto poiché gli stessi, essendo esplicitamente riferiti ai soli reati presupposto di fa comunicazioni sociali di cui ai capi A4) e A5), hanno invece determinato il passaggio in giudicato della pronuncia assolutoria “per insussistenza del reato presupposto” rispetto al capo d’imputazione sub lett. N), in punto di responsabilità ex d.lgs. 231/2001 di COGNOME per i bilanci di RAGIONE_SOCIALE al 31 dicembre 2009 (capo A2) e al 31 dicembre 2010 (capo A3).
Ancora i difensori lamentano un’assoluta genericità dei motivi di ricorso e la manifesta infondatezza degli stessi, rilevando, in generale e al netto delle specifiche osservazioni svolte con riferimento alle singole questioni poste con i suddetti motivi, come questi ultimi appaiono in larga parte generici, aspecifici, errati sotto molteplici profili e soprattutto basati su una lettura del tutto parzia pregiudiziale di tutto il compendio probatorio acquisito agli atti. Nei pochi passaggi in cui affrontano in modo vagamente puntuale i temi oggetto del processo, gli stessi non evidenziano alcuna reale violazione di legge o carenza motivazionale, risolvendosi al più in una richiesta, non ammissibile in sede di legittimità, d sostituire alla valutazione già effettuata dal AVV_NOTAIO del merito una nuova e opposta valutazione sui fatti secondo la prospettiva d’accusa, infondata e ampiamente superata dalla Corte territoriale.
9.4. L’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE, quale responsabile civile, ha fatto pervenire una memoria difensiva con la quale chiede la conferma della sentenza impugnata.
In relazione ai reati di manipolazione del mercato di cui al capo B), per i quali hanno proposto ricorso sia il Procuratore generale, sia la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE deduce che correttamente la Corte di merito ha ritenuto il principio della prevalenza della sostanza sulla forma un criterio residuale che non può prevalere su uno specifico
criterio contabile internazionale e che comunque proprio in applicazione del principio della sostanza sulla forma la Corte di appello ha ritenuto che le operazioni COGNOMErini ed NOME non potevano essere considerate dei contratti derivati.
Con riguardo al capo D), RAGIONE_SOCIALE sostiene la correttezza della decisione qui impugnata, evidenziando che il Procuratore generale, con il suo ricorso, muove rilievi estremamente generici alle ragioni poste dalla Corte territoriale fondamento della decisione.
Anche i difensori degli imputati hanno depositato memorie difensive per opporsi all’accoglimento dei ricorsi del Procuratore generale e della RAGIONE_SOCIALE.
10.1. L’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia del COGNOME, evidenzia l’inammissibilità dei motivi di ricorso articolati dal Pubblico ministero, che risolvono nella devoluzione di una nuova complessiva valutazione del compendio istruttorio.
Il ricorso della Procura generale presenta un evidente difetto d’impostazione, perché richiama i dati probatori senza tuttavia contestare un vero e proprio travisamento della prova; piuttosto, esso propone inammissibilmente una rivalutazione del compendio istruttorio, lamentando il c.d. “travisamento del fatto” e sollecitando un generale controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, pacificamente non deducibile nel giudizio di legittimità stante «l preclusione» per Codesta Suprema Corte «di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito».
Nella memoria il difensore si sofferma sulle singole imputazioni oggetto del ricorso del Pubblico ministero, sottolineando come le pretese violazioni di legge si risolvano in vizi motivazionali, a loro volta articolati come censure volte a prospettare una diversa ricostruzione delle risultanze probatorie, che il ricorso propone riferendosi non già all’intrinseca tenuta logico-motivazionale della sentenza di secondo grado, ma direttamente (e perciò in modo del tutto inammissibile) al materiale probatorio acquisito in primo grado e alla sua interpretazione in fatto.
Il ricorso, inoltre, COGNOME denuncia, peraltro genericamente, l’asserita indebita preferenza accordata dalla Corte d’Appello di Milano alla consulenza redatta dal prof. COGNOME, a preteso discapito di tutte le altre, ancora una volta proponendo una nuova valutazione della relativa credibilità e autorevolezza delle singole consulenze tecniche e, dunque, la ridefinizione dei concreti criteri di preferenza tra le une e le altre. La Corte d’Appello, infatti, aveva motivato in modo estremamente preciso l’adesione alla ricostruzione fornita dal consulente tecnico Prof. COGNOME, specificamente argomentando con riguardo a: autorevolezza professionale e delle fonti utilizzate, metodologia, incertezza dei consulenti tecnici
del Pubblico ministero, dunque ampiamente motivando le ragioni per cui le conclusioni del suddetto consulente sono state condivise a preferenza di quelle degli altri consulenti. Con riferimento alle imputazioni di manipolazione del mercato di cui al capo B) occorre rilevare come la Corte d’Appello, prima ancora di argomentare circa l’insussistenza del delitto di manipolazione del mercato, avesse preliminarmente censurato la scelta della Pubblica Accusa di individuare i concorrenti nel reato considerando «non il luogo e il dato temporale di realizzazione della condotta asseritamente illecita, bensì avendo riguardo al coinvolgimento, a diverso titolo, degli imputati nelle differenti operazioni finanziarie», così dando per presupposto il dato (indimostrato) che la condivisione di un’operazione implicasse la partecipazione al (ben diverso) reato di cui all’art. 185 T.U.F. e nemmeno individuando in termini oggettivi e soggettivi le rispettive condotte concorsuali.
Tale argomentazione non costituisce oggetto di censura da parte del ricorso della Procura generale, che dunque non contesta – a prescindere dalla possibilità o meno di ritenere integrato il delitto di cui all’art. 185 TUF -, l’impossibilit individuare in termini oggettivi e soggettivi la condotta di partecipazione di ciascun imputato. Tanto basterebbe, allora, per la declaratoria d’inammissibilità del motivo di ricorso, o comunque per il suo rigetto, posto che le successive considerazioni circa la configurabilità o meno del delitto di manipolazione del mercato comunque non consentirebbero di riferirlo ex art. 110 c.p. ad alcuno degli odierni imputati.
Nel resto il ricorso si caratterizza ancora una volta per proporre una nuova valutazione delle risultanze istruttorie, seguita da un corposo elenco di elementi probatori che, come già con riferimento ai capi A4) e A5), sono allegati senza alcuna illustrazione in ordine al rispettivo rilievo, e soprattutto alla loro pret illogica valutazione o pretermissione nella sentenza impugnata.
La Corte d’Appello, inoltre, aveva escluso la sussistenza del delitto di cui all’art. 185 T.U.F. per ragioni del tutto eterogenee rispetto a quelle ora censurate dal ricorso. Infatti, confutando l’impostazione accusatoria nella parte in cui essa pretendeva di desumere quasi “automaticamente” dalle pretese falsità contabili le singole ipotesi di manipolazione del mercato, senza soffermarsi sul contenuto e sull’idoneità manipolatoria di ciascuno dei singoli comunicati di cui alle imputazioni, la Corte d’Appello aveva escluso la sussistenza del delitto di manipolazione del mercato sulla base di un ragionamento speculare, non specificamente censurato dal ricorso, nemmeno in punto di diritto: poiché i comunicati stampa avevano ad oggetto dati contenuti nei bilanci individuali e consolidati di RAGIONE_SOCIALE (e poiché questi, come già visto, con riferimento alle operazioni COGNOMErini e NOME erano privi della sostanza di fatti storici, ma risultavano enunciati valutativi), dalla valutazio dell’impossibilità di scrutinare gli stessi bilanci in termini di verità o fa
discendeva l’assoluzione degli imputati dai delitti contestati al capo B), per l’evidente venir meno di uno dei suoi elementi costitutivi (ovverosia, la falsità delle notizie diffuse).
Con riguardo, poi, ai profili di falsità dell’operazione FRESH e alla loro rilevanza rispetto al delitto in contestazione al capo B), il ricorso si limita a richiamare conclusioni raggiunte sul punto dal Tribunale e argomenta la rilevanza di tale falsità sul presupposto che questa debba essere «valutata unitamente all’ulteriore falsa informazione» relativa alla contabilizzazione dell’operazione COGNOMErini.
A ben vedere, dunque, il ricorso non contesta l’iter logico seguito dalla Corte territoriale, la quale aveva chiarito come, a causa della sovrapposizione tra il reato di false comunicazioni sociali e quello di manipolazione del mercato realizzata nell’imputazione, non fosse possibile comprendere in che modo, secondo la prospettiva accusatoria, la contabilizzazione dell’operazione FRESH si fosse tradotta nella comunicazione di una falsa notizia.
Per la prima volta il ricorso si sofferma anche sulle singole posizioni soggettive e, dunque, sulla riferibilità del reato di cui al capo D) ai singoli imputati, rinvian sul punto in modo del tutto generico direttamente alla sentenza di primo grado Ciò premesso, il ricorso si sofferma poi brevemente sulla posizione soggettiva del
COGNOME, con l’intento di dimostrarne la responsabilità per il fatto in contestazione.
A tal fine, il ricorso non si confronta con l’ordito motivazionale della sentenza impugnata (alla quale si riferisce con estrema genericità), ma si collega direttamente a una serie di circostanze di fatto, le quali vengono elencate in rapida sequenza.
Il ricorso fornisce una ricostruzione della condotta dell’imputato che risulta comunque del tutto inidonea a costituire un rilevante contributo concorsuale ex art. 110 cod. pen. Sul punto, riproponendo la ricostruzione della sentenza di primo grado, si deduce infatti che il Presidente di Banca MPS avesse una «buona conoscenza» dell’operazione, «idonea alla conoscenza dei risvolti contabili», ma non si rivolgono specifiche censure alla sentenza impugnata – men che meno costituenti vizi della relativa motivazione – relative alla paternità o condivisione delle pretese «finalità per cui l’operazione era stata congegnata».
10.2. L’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia del COGNOME, evidenzia l’inammissibilità dei motivi di ricorso articolati dal Pubblico ministero, anche sotto il profilo dell manifesta infondatezza.
Inammissibile, innanzitutto, in quanto la sentenza di secondo grado, in riferimento a due specifiche e ben determinate parti della motivazione e quindi della decisione, aventi autonoma “forza” assolutoria, non è stata gravata dalla Procura generale e pertanto è passata in giudicato, relativamente alla ritenuta carenza di prove che consentono di individuare i soggetti che possano rispondere
del reato di manipolazione di mercato e, in ordine alla operazione Fresh (capo B e capo D), alla carenza di prove sull’individuazione degli specifici documenti comunicati con cui si sono diffuse notizie – dati (ritenuti dall’accusa) falsi, laddov nel ricorso del – P.G. l’argomento viene affrontato solo riguardo alle operazioni COGNOMErini ed NOME nell’ambito del terzo motivo di ricorso.
Nel resto il ricorso del Pubblico ministero appare versato in fatto, generico e manifestamente infondato, posto che: 1) la Corte d’Appello non disconosce in assoluto il principio contabile della “prevalenza della sostanza sulla forma”, così come sostiene erroneamente il ricorrente; bensì considera tale principio residuale e applicabile in mancanza di altri principi contabili più specifici, principi specif che ritiene applicabili alla fattispecie, senza tacere l’assoluta genericità dell doglianza in punto di omessa valutazione da parte della corte di appello di testimonianze e documenti, in quanto il ricorrente enuncia i nomi dei testimoni e i documenti, ma non dichiara quali parti delle testimonianze e quali parti dei documenti sarebbero rilevanti e si sarebbero dovuti considerare da parte del giudice di appello e omette completamente di illustrare quale sarebbe la illogicità della motivazione scaturente dalla omessa valutazione dei mezzi di prova trascurati; 2) la corte territoriale motiva in modo rigoroso, puntuale e coerente le ragioni per le quali ritiene di condividere le conclusioni di COGNOME, illustrando, doverosamente ed ampiamente, le ragioni per le quali non condivide le tesi dei consulenti del PM di cui mette in risalto incertezze e contraddizioni; richiama anche altre consulenze delle difese a conforto delle proprie tesi; 3) con riferimento alle altre imputazioni e alla posizione del COGNOME, il difensore rileva la genericità assoluta dei motivi di ricorso, che non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
10.3. L’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di COGNOME, COGNOME evidenzia l’inammissibilità dei motivi di ricorso articolati dal Pubblico ministero, derivanti: dalla intrinseca aspecificità dei motivi dedotti, ossia nella mancanza di un concreto e puntuale confronto con le principali argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata, la cui motivazione è riportata solo in rade e, in alcuni passaggi, completamente omessa; 2) dalla circostanza che le questioni dedotte appaiono di puro merito; 3) dall’ulteriore circostanza che non può essere dedotta la violazione del principio dell’obbligo di motivazione rafforzata, applicabile solo nel caso di riforma in appello di sentenza di assoluzione e non nel caso di riforma in secondo grado della sentenza di condanna pronunciata in primo grado; 4) dalla natura promiscua e perplessa dei motivi di impugnazione con cui si denunciano cumulativamente violazioni di legge e vizi di motivazione; 5) dalla manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione.
Il difensore si sofferma, inoltre, sul motivo inerente il principio di prevalenza
della sostanza sulla forma; sulla pretesa, omessa classificazione dello strumento finanziario come derivato; sul motivo concernente la valutazione della consulenza tecnica del prof. COGNOME; sui motivi relativi al requisito della price sensitivity nel reato di aggiotaggio; sui motivi di ricorso dedotti a pagina 37, relativi al capo D di imputazione, operazione “Fresh”, rilevando come tali motivi siano tali da sollecitare un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio e, comunque, manifestamente infondati.
10.4. Gli avvocati COGNOME e COGNOME, difensori di fiducia di NOME COGNOME evidenziano come la sentenza assolutoria pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano nei confronti del dott. NOME debba considerarsi passata in giudicato a causa della mancanza sostanziale di ricorso per cassazione in merito alle statuizioni della medesima che riguardano la responsabilità dello stesso, in quanto il ricorso, seppur formalmente presentato nei confronti di tutti gli imputati, è del tutto privo dei requisiti formali e sostanziali che lo rendono rilevante in relazione ai capi ed ai punti della sentenza che riguardano la responsabilità personale dell’imputato, di cui non viene menzionata nessuna condotta dallo stesso tenuta, apparendo, pertanto, del tutto aspecifico.
I difensori poi si soffermano sulla correttezza del comportamento del proprio assistito e delle operazioni finanziarie di cui si discute, con particolare riferimento all’operazione NOME, evidenziando come il ricorso del Pubblico ministero non si confronti con l’ampio apparato motivazionale della sentenza della Corte di appello.
10.5. Gli avvocati COGNOME e COGNOME, difensori di fiducia del COGNOME, individuano una specifica causa di inammissibilità del ricorso nella circostanza che il Pubblico ministero, pur proponendo indistintamente ricorso avverso il provvedimento assolutorio emesso nei confronti di tutti gli imputati, ha circoscritto le proprie censure alla sola statuizione della sentenza concernente l’insussistenza dei fatti; prova ne è che, in nessuno dei due ricorsi, è possibile scorgere il benché minimo riferimento critico a quelle argomentazioni del gravato decisum attraverso cui veniva esclusa la responsabilità penale, a titolo di concorso, dei soggetti c.d. “estranei”, con conseguente preclusione del tema scaturente dalla formazione del giudicato progressivo, alla luce del quale la definitività di una sentenza può aversi anche soltanto su alcuni dei punti oggetto del giudizio, sui quali per mancanza di specifica impugnazione il processo si è esaurito.
In altri termine il ricorrente, pur contestando la statuizione assolutoria “perché il fatto non sussiste”, nulla osserva in ordine alla responsabilità ex art. 110 c.p. dei soggetti concorrenti, ancorché la stessa sia stata esclusa dalla sentenza di secondo grado, omissione che si riflette direttamente proprio in termini di mancato interesse ad impugnare, palesando una modalità di esercizio del potere di impulso
del tutto inidonea a produrre un qualsivoglia vantaggio processuale, senza tacere che l’interesse del Pubblico ministero a ricorrere, con riferimento ai reati sub A4) e A5) è venuto meno a causa della sopravvenuta estinzione per prescrizione di tali reati.
I difensori, inoltre, rilevano l’inammissibilità della produzione documentale, di cui agli allegati nn. 8, 9, 16, 17, 18 e 29, posto che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, “nel giudizio di legittimità non possono essere prodotti documenti che costituiscano una prova nuova e che comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito”.
Infine, i difensori si soffermano sulla inammissibilità o, comunque, infondatezza del ricorso nella parte in cui vengono dedotte asserite violazioni di legge e/o vizi motivazionali della sentenza di secondo grado avuto riguardo alla configurabilità del reato di cui al capo b) dell’imputazione, attraverso un’articolat disamina dei risultati dell’istruttoria dibattimentale e dei principali passag motivazionali della sentenza impugnata.
10.6. L’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, ha depositato due memorie difensive, una per opporsi all’accoglimento del ricorso del Procuratore generale e l’altra per resistere al ricorso della parte civile RAGIONE_SOCIALE.
Quanto alla prima memoria, anch’egli deduce che la Corte di appello non solo ha escluso la sussistenza dei fatti di reato, ma con motivazione autonoma ed autosufficiente ha comunque escluso il concorso del COGNOME negli stessi reati, cosicché, in relazione alla posizione di quest’ultimo, il ricorso è inammissibile, avendo attaccato la motivazione della sentenza qui impugnata esclusivamente nella parte in cui si nega la sussistenza dei reati e non anche nella parte in cui si nega il concorso del COGNOME. In ogni caso, anche laddove il Procuratore generale si duole della negazione della sussistenza dei reati, i motivi di ricorso risultano generici, omettendo di muovere una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso e che spesso si risolvono in una «mera replica» dei vizi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, oppure confusi o contraddittorio, ancora, volti ad invocare una rivalutazione delle prove o addirittura del fatto.
10.7. Gli AVV_NOTAIOti COGNOME e COGNOME – difensori di fiducia di COGNOME COGNOME e COGNOME – difensori di fiducia di COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME – difensori di fiducia di COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME – difensori di fiducia di COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME – difensori di fiducia di COGNOME-, COGNOME e COGNOME – difensori di fiducia di COGNOME – chiedono che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato, in quanto i relativi motivi di impugnazione non contengono una puntuale indicazione dei casi tipici, disciplinati dall’art. 606,
49 COGNOME
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comma 1, cod. proc. pen., ai quali gli stessi intendano ricondursi. Ciò, unitamente alla confusione e mancanza di precisione nell’articolazione dei medesimi motivi, ne determina l’inammissibilità per genericità, ai sensi degli artt. 606, 591, comma 1, lett. c), e 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., e, comunque, l’infondatezza.
A ciò si aggiunga che i predetti motivi di ricorso, pur formalmente declinati come asserite violazioni di legge e/o pretesi vizi di motivazione, di fatto, sottopongono a Codesta Suprema Corte (asserite) violazioni di disposizioni costituzionali o di atti amministrativi, nonché censure di merito – peraltro, fondate anche su documenti neppure agli atti del processo – con conseguente inammissibilità del ricorso anche in forza dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto lo stesso risulta proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge e manifestamente infondati.
La Procura Generale, inoltre, ha operato una sintesi arbitraria, non fedele e parziale della motivazione della sentenza della Corte d’Appello e, contro la sintesi così elaborata, ha elevato le proprie doglianze; pertanto, queste ultime risultano inconferenti rispetto ai reali contenuti del provvedimento impugnato e, dunque, inammissibili ex artt. 581, comma 1, lett. a) e d) e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e, comunque, infondate, in quanto prive di reale significato.
Ancora l’impugnazione proposta dalla Procura generale è carente di interesse e/o aspecifica in quanto l’accoglimento della medesima non porterebbe alcun risultato pratico favorevole alla ricorrente, quantomeno con riferimento alle posizioni degli asseriti concorrenti in precedenza indicati, per i quali è stata esclusa ogni responsabilità a titolo di concorso, di talché il ricorso è inammissibile anche ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a) e c), 609, 581 e 624 cod. proc. pen.
I difensori sottolineano anche l’inammissibilità dei motivi di ricorso inerenti alla asserita violazione di legge, avente ad oggetto il c.d. principio di prevalenza della sostanza sulla forma; al dedotto vizio consistente nell’omessa valutazione di prove relative alla classificazione «dello strumento finanziario» quale derivato; alla violazione di legge e ai vizi di motivazione eccepiki con riferimento alla valutazione della prova tecnica.
Con particolare riferimento al reato di cui al capo B) gli imputati rilevano come i motivi di ricorso articolati avverso il capo della sentenza relativo all’assoluzione degli imputati dalla contestazione di aggiotaggio informativo siano confusi, generici e costantemente sovrapposti l’uno all’altro, oltre che volti a ottenere, da questa Suprema Corte, un sindacato di merito sui fatti oggetto del processo, peraltro da condursi sul solo materiale istruttorio a carico, integrato, al bisogno, da documenti mai prodotti in questo processo. I predetti motivi sono, pertanto, inammissibili ai sensi degli artt. 591, comma 1. lett. c) e 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., nonché dell’art. 606, commi 1 e 3, cod. proc. pen.
Peraltro, i medesimi motivi sono altresì integralmente infondati, in quanto il costrutto argomentativo della Corte d’Appello è chiaro, logico e completo nel motivare l’insussistenza del fatto contestato (Le. l’aggiotaggio informativo) in ragione dell’assenza degli elementi costitutivi del delitto ex art. 185 TUF e segnatamente: (i) assenza del requisito della comunicazione di notizie false; (ii) assenza del requisito della concreta idoneità ad incidere in misura sensibile sul corso del titolo MPS (presenza della sola prova tecnica a discarico ed integrale assenza di prova tecnica a carico).
10.8. L’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia dell’imputato NOME COGNOME, con la sua memoria ha sostenuto che il ricorso del Procuratore generale è inammissibile sia perché affetto da genericità, non confrontandosi con le effettive ragioni della decisione impugnata, sia perché esso poggia su motivi di impugnazione non consentiti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., in quanto solleva censure di merito ed invoca una rivalutazione del materiale istruttorio, sia perché proposto per motivi manifestamente infondati.
10.9. Anche l’AVV_NOTAIO, nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME, con la sua memoria difensiva, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso del Procuratore generale, segnalandone la genericità e la manifesta infondatezza dei rilievi con esso formulati, spesso trascendenti la mera legittimità ed attinenti al merito o comunque fondati su una diversa ricostruzione fattuale alla quale dovrebbe pervenirsi sulla base di una differente valutazione del materiale istruttorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
11. Il ricorso del procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Milano va dichiarato inammissibile, sotto diversi profili.
11.1.1. Con particolare riferimento ai reati di cui ai capi A4) e A5) dell’imputazione, si osserva, in via preliminare, che lo stesso Pubblico ministero ricorrente ha evidenziato che essi, già al momento della proposizione del ricorso, erano estinti per decorso del relativo termine massimo di prescrizione (cfr. p. 18 del ricorso).
Anzi, come rilevato dalla Corte territoriale, il suddetto termine era perento già nelle more del giudizio di appello (cfr. p. 934).
Tale circostanza rende inammissibile, sul punto, il ricorso del pubblico ministero, ai sensi del disposto dell’art. 591, co. 1, lett. a), c.p.p., per difetto di interesse, in punto di affermazione della responsabilità penale degli imputati, laddove, invece, in relazione alle persone giuridiche chiamate a rispondere degli illeciti amministrativi di cui ai capi L); M) ed N), derivanti dai reati di cui ai
A4) e A5), l’estinzione per prescrizione dei suddetti reati non rileva ai fi dell’accertamento della relativa responsabilità, stante il chiaro disposto dell’art. co 1, lett. b), d.lgs. 8 giugno 2001, n. 2., essendo altre le ragioni, come si vedrà nel prosieguo della trattazione, per le quali il ricorso del pubblico ministero risul inammissibile anche in ordine a tale ultimo profilo.
Con particolare riferimento, dunque, al rapporto tra reato estinto per prescrizione e interesse del pubblico ministero all’impugnazione, si osserva che, in via astratta tale interesse non può escludersi, ogni qualvolta vi sia la concreta possibilità per la pubblica accusa di ottenere un risultato favorevole, nonostante l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato per cui si procede, come, ad esempio, nel caso in cui il pubblico ministero impugni la sentenza di appello che, riformando quella di condanna di primo grado, abbia assolto l’imputato dal reato di lottizzazione abusiva per insussistenza del fatto, il cui relativo termine d prescrizione sia perento al momento della decisione impugnata, e revocato la confisca, al fine di ottenere la conferma di quest’ultima, già disposta in primo grado e, in tesi, illegittimamente omessa dal giudice di appello, comunque tenuto ad adottare la stessa anche in presenza di prescrizione, ai sensi dell’art. 578-bis, c.p.p. ( cfr. Sez. 3, n. 21910 del 7/4/2022, Rv. 283325, nonché, nello stesso senso, Sez. 5, n. 30939 del 24/6/2010, Rv. 247971).
Come affermato, infatti, dall’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, nel caso in cui il pubblico ministero proponga ricorso per cassazione onde ottenere l’esatta applicazione della legge, sussiste l’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., solo se, con l’impugnazione, può raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole, condizione che non si realizza quando la vicenda oggetto della pronuncia si sia ormai esaurita, a nulla rilevando l’affermazione in astratto di un principio di diritto da applicare nel futuro.
In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal pubblico ministero per violazione di legge avverso la sentenza di assoluzione da reati già prescritti alla data del deposito dell’atto di impugnazione (cfr. Sez. 2 n. 37876 del 12/09/2023, Rv. 285026).
Sulla stessa linea si colloca altro recente arresto di questa Corte, in cui si è evidenziato come sia inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione con cui il pubblico ministero deduca carenze nell’accertamento dei fatti in ordine a pronuncia assolutoria adottata dal giudice di secondo grado con la formula “perché il fatto non sussiste”, nel caso in cui sia intervenuta, nelle more del giudizio di legittimità, la causa estintiva della prescrizione del reato, atteso ch il mezzo di impugnazione deve perseguire un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 40373 del
27/09/2023, Rv. 285254).
Né appare ipotizzabile nel caso in esame un eventuale spazio di operatività della previsione dell’art. 578, cod. proc. pen., posto che, con riferimento ai reati di cui di discute, non vi sono parti civili che abbiano impugnato la sentenza di appello, in quanto l’unica parte civile ad avere proposto ricorso contro la sentenza di secondo grado è la RAGIONE_SOCIALE, ma solo con riferimento ai reati di cui ai capi B); D) e H) dell’imputazione (cfr., sul punt la già richiamata Sez. 2, n. 40373 del 27/09/2023, Rv. 285254).
I precedenti giurisprudenziali ora citati, giova evidenziare, si ricollegano a un orientamento della giurisprudenza di legittimità risalente nel tempo, ma costantemente riaffermato, tanto da potersi definire prevalente, secondo cui non esiste un interesse in senso assoluto delle parti alla correttezza giuridica delle decisioni che le riguardano; invero l’interesse richiesto dall’art 568, comma 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità dell’impugnazione, deve essere collegato agli effetti primari e diretti dell’atto da impugnare e sussiste solo se gravame è idoneo a eliminare una decisione pregiudizievole, determinando per l’impugnante una situazione pratica più vantaggiosa di quella esistente, che, peraltro, nel caso che ci occupa, il Pubblico ministero ricorrente ha del tutto omesso di indicare, per cui, se in linea di principio può ammettersi che il pubblico ministero sia titolare di un interesse a impugnare al fine di ottenere l’esatta applicazione della legge, occorre sempre che tale interesse presenti i caratteri della attualità e della concretezza, nei sensi in precedenza indicati (cfr., ex plurimis Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Rv. 203093; Sez. 6, n. 49879 del 06/12/2013, Rv. 258060; Sez. 1, n. 3083 del 23/09/2014, Rv. 262181; Sez. 6, n. 33573 del 20/05/2015, Rv. 264996; Sez. 5, n. 35785 del 04/05/2018, Rv. 273630; Sez. 5, n. 2747 del 06/10/2021, Rv. 282542). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
“La verifica dell’esistenza di un interesse concreto e attuale passa”, in particolare, come è stato efficacemente evidenziato, “attraverso lo scrutinio concatenato della pronuncia che si assume lesiva della norma; degli specifici petita che avevano contraddistinto la posizione della parte; del mezzo di impugnazione attivato come congruente alla rimozione degli effetti che si assumono pregiudizievoli e dei risultati favorevoli a quei petita che dal successo del gravame possono scaturire (cfr. Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, Rv. 244110).
Tale verifica nel caso in esame conduce a un esito negativo per le ragioni della pubblica accusa.
Come è noto, infatti, il principio dell’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, sancito dall’art. 129, co. 2, cod. proc. pen., opera anche con riferimento alle cause estintive del reato, quale è, per l’appunto, la prescrizione (cfr., ex plurimis, Sez. 3, 01/12/2010, n. 1550, Rv. 249428; Sez. U., 27/02/2002,
n. 17179, Rv. 221403; Sez. 2, n. 6338 del 18/12/2014, Rv. 262761; Sez. 2, n. 1259 del 26/10/2022, Rv. 284300), posto che, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 co proc. pen., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere, in ogni grado, l’esigenza della definizione immediata del processo (cfr. Cass., sez. IV, 05/11/2009, n. 43958, F.)
L’evidente inutilità processuale dell’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano della sentenza impugnata, richiesto dal pubblico ministero, non potendo il giudizio utilmente proseguire stante la prescrizione dei reati, e la mancanza di parti civili ricorrenti, rendono palese l’incongruenza del mezzo di impugnazione attivato dal pubblico ministero rispetto agli effetti pregiudizievoli per la pubblica accusa, che si vogliono rimuovere, rappresentati dall’assoluzione dai reati di cui si discute degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME. NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, e ai risultati favorevoli ai petita avuti di mira, consistenti nella conferma della sentenza di condanna di primo grado.
11.1.2. Alla specifica ragione di inammissibilità del ricorso del Pubblico ministero, esaminata nel paragrafo precedente, si aggiungono ulteriori profili di inammissibilità, che contraddistinguono l’impugnazione nel suo complesso, dunque anche con riferimento ai reati di cui ai capi A4) e A5).
Al riguardo occorre preliminarmente rilevare come la giurisprudenza di legittimità abbia da tempo maturato un consolidato e condivisibile orientamento sulla nozione che deve attribuirsi ai vizi di manifesta illogicità ovvero d contraddittorietà della motivazione.
Si è, in particolare, affermato che siffatti vizi ricorrono, rispettivamente, ne caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono ovvero quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o ci sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza ovvero allorché in sentenza si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Rv. 281105; Sez. 2, n. 12329 del 04/03/2010, Rv. 247229; Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Rv. 215132).
Ciò posto, non solo il ricorso del Pubblico ministero, per come articolato, non risulta tale da evidenziare aporie di tale natura nel percorso motivazionale seguito dal giudice di appello, ma si presenta anche strutturato secondo uno schema non conforme ai rigorosi limiti entro i quali deve svolgersi il giudizio di legittimità.
Al riguardo non può non rilevarsi come le osservazioni articolate dai difensori degli imputati, in precedenza sintetizzate, siano in larga parte condivisibili.
Il Pubblico ministero ricorrente, invero, non tiene nel dovuto conto che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettur degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6, 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
In questa sede di legittimità, dunque, è precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che, con riferimento a tutti i reati per i quali è intervenu in appello pronuncia di assoluzione, si risolve in una mera e del tutto generica, anche perché parziale, lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini dell decisione, persistendo il divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito deg elementi di prova (cfr. ex plurimis, Sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di meri e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o d violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica.
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità in un condivisibile arresto, il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenz di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del
provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tal atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (cfr. Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, Rv. 274816).
Tali necessari passaggi argomentativi non si rinvengono nel ricorso di cui si discute, con il quale, in definitiva, il pubblico ministero si limita a proporre, com già detto, una versione dei fatti alternativa, senza indicare puntualmente l’atto o gli atti processuali, non considerati o malamente interpretati, in grado, non di fondare una diversa interpretazione dei fatti, astrattamente plausibile, ma di inficiare radicalmente il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito.
Sul punto, dunque, non può non rilevarsi la genericità dei motivi di impugnazione, essendosi, in ultima analisi, il pubblico ministero limitato ad allegare al ricorso una serie di atti (a suo dire non considerati dalla corte d appello), senza indicare specificamente (in disparte i rilievi difensivi volti contestare l’avvenuta rituale produzione nel processo di tali atti), da un lato, in che momento della sequenza processuale gli atti in questione sarebbero stati prodotti; dall’altro quale incidenza decisiva, ciascuno di essi, sarebbe stato in grado di determinare ai fini degli articolati motivi di ricorso.
D’altro canto, va rilevato che, ai sensi dell’art. 581, lett. d), cod. proc. pen., nella versione introdotta dall’art. 1, comma 55, della legge 23 giugno 2017, n. 103, norma applicabile al caso concreto in considerazione della data di presentazione del ricorso, posteriore all’entrata in vigore della menzionata I. n. 103 del 2017, l’impugnazione si propone, a pena di inammissibilità, con atto che contiene l’enunciazione specifica dei motivi e l’indicazione delle ragioni di diritto degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta (cfr., Sez. 4, n. 7982 del 11/02/2021, Rv. 280599).
Inammissibilità, peraltro, ribadita anche dalla previsione di cui all’art. 591, co. 1, lett. c), cod. proc. pen., secondo cui l’impugnazione è inammissibile quando non sono state osservate le disposizioni prescritte, tra gli altri, dall’art. 581, c proc. pen.
Trattandosi di regole che per la loro portata generale sono pacificamente applicabili anche al particolare tipo di impugnazione rappresentato dal ricorso per cassazione, non appare revocabile in dubbio che il ricorso proposto dal Pubblico
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ministero debba essere dichiarato inammissibile, poiché fondato su motivi, che, non confrontandosi puntualmente con il percorso argomentativo seguito dalla corte di appello, devono considerarsi non specifici, ma meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con costante orientamento, la cui fondatezza resta ferma alla luce dell’intervento riformatore che fa proprio della specificità dei motiv uno dei necessari elementi costitutivi della forma dell’impugnazione, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, che rende l’impugnazione stessa inammissibile (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, rv. 255568; Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, rv. 277710).
11.1.3. Tornando al motivo di ricorso riguardante i reati di cui ai capi A4) e A5), di cui si è già detto, appare evidente da parte del Pubblico ministero ricorrente la violazione dei principi in precedenza indicati ove si tenga presente, tra l’altr che la Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultimo, non ha affermato che il principio della prevalenza della sostanza sulla forma non sia un principio di natura contabile, ma solo che si tratta di principio residuale, applicabil in mancanza di altri principi contabili più specifici.
La Corte di appello, infatti, dopo avere chiarito che, ai sensi dei principi affermati dalla nota sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266803 (ricorrente COGNOME), il reato di false comunicazioni sociali, previsto dall’art. 2621 cod. civ., nel testo modificato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, è configurabile in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l’agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni, ha impostato correttamente il suo percorso argomentativo nella prospettiva di verificare se, all’epoca dei fatti per cui si procede, in ordine all’esposizione contabile delle valutazioni, esistessero criteri normativamente fissati o criteri tecnici generalmente accettati, dai quali gl imputati si fossero distaccati consapevolmente, con le indicate conseguenze sulla correttezza delle comunicazioni rese, in modo da integrare il reato di false comunicazioni sociali.
L’assunto accusatorio, osserva la corte di appello, ha “individuato il criterio di
riferimento in quello della “prevalenza della sostanza sulla forma”, adottato dalle norme civilistiche e dai principi contabili internazionali “IAS/IFRS”, concludendo per la falsità della contabilizzazione, in quanto “ad un’analisi della sostanza delle operazioni poste in essere da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, esse sarebbero non già dei LTRS, bensì dei CDS, che non potevano essere oggetto di una esposizione disaggregata”.
Tanto premesso, il giudice di appello ha proceduto ad una puntuale, esaustiva e coerente disamina dei principi contabili internazionali rilevanti nel caso in esame, giungendo alla conclusione, secondo cui, se è pur vero che, nel contesto “IAS/IFRIC il principio della prevalenza della sostanza sulla forma viene a più riprese richiamato, la pervasività del principio non ne modifica i caratteri di generalità, astrattezza e programnnaticità”, ragione per la quale il suddetto principio “può venire in ausilio laddove la contabilizzazione di una determinata operazione non sia disciplinata da principi contabili internazionali specificamente applicabili ovvero manchino principi contabili disciplinanti casi simili ovvero, ancora, non siano reperibili, nella letteratura contabile, nelle pronunce di organismi competenti o nelle prassi consolidate di settore, disposizioni conferenti”.
Dunque, rileva la Corte territoriale con logico argomentare, è proprio “il carattere di evanescenza e residualità” a impedire nel caso in esame “di ricondurre il principio della prevalenza della sostanza sulla forma nell’alveo dei criteri d valutazione normativamente fissati o dei criteri tecnici generalmente accettati, che deve presidiare, secondo le direttive offerte dalla sentenza COGNOME, la sussunzione della valutazione bilancistica nella fattispecie di falso in bilancio”, non potendo “costituire un criterio di valutazione certo ed obiettivo, tale da condurre incontrovertibilmente a individuare nelle operazioni NOME e COGNOMErini, come ha fatto il primo giudice, dei CDS da contabilizzarsi in nessun altro modo se non a saldi chiusi”.
Secondo la corte di appello non è possibile condividere la tesi sostenuta dal giudice di primo grado circa la natura di credit default swap delle operazioni NOME e COGNOMErini e circa la conseguente obbligatorietà della contabilizzazione a saldi aperti, con rilevazione della passività finanziaria generata al fair value al giorno 1″, stante la dimostrata “assenza, nel panorama dei principi contabili internazionali dell’epoca – e negli attuali – di una disciplina specifica per operazioni del tipo long term structured repo, caratterizzate dall’esistenza di più transazioni formalmente e giuridicamente autonome le une dalla altre”, in relazione alle quali, nel caso in esame, difettavano le condizioni di operatività dell’unica disposizione contabile astrattamente applicabile, rappresentata dal principio contabile speciale previsto dal paragrafo 29 dello IAS 39 (cfr., in fr particolare, pp. 1207-1281 della sentenza di secondo grado).
A tale conclusione la Corte territoriale giungeva sulla base di un’articolatissima ricostruzione di natura tecnica delle operazioni NOME e COGNOMErini, condotta sulla base di una valutazione affatto manifestamente illogica o contraddittoria, ma, anzi, contrassegnata da un elevato grado di intrinseca coerenza logica, delle risultanze processuali, in cui assume un valore decisivo il contenuto delle consulenze tecniche svolte nell’interesse delle parti, a partire dalla consulenza del prof. COGNOME e la nuova produzione documentale intervenuta in appello, evidenziando come non sia fondata la “tranciante conclusione secondo cui le due operazioni oggetto dei capi di imputazione sub capi A4) e A5) sarebbero dei CDS da contabilizzarsi, inevitabilmente, a saldi chiusi e non già, invece, degl investimenti a lungo termine finanziati attraverso operazioni di repo (term structured repo), in relazione ai quali i regolatori dell’epoca hanno validato la generalizzata prassi di rilevazione a bilancio considerando separatamente le singole componenti strutturali”.
Sul punto, rileva la corte territoriale come il giudice di primo grado abbia “immotivatamente” disatteso “le consulenze delle difese, convergenti tra loro e provenienti da autorevoli consulenti, in alcuni punti in termini categorici, i compresa quella del profAVV_NOTAIO COGNOME, richiamata dalle difese di tutti gli imputati”.
Al riguardo va sottolineata l’evidente inammissibilità del rilievo del ricorrente, volto a contestare la preferenza accordata dalla Corte di appello alle valutazioni e alle conclusioni consacrate nella consulenza tecnica a firma del prof. COGNOME.
Come affermato, infatti, dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità nella materia di cui si discute, in tema di prova scientifica, la Cassazion non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice dell acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità d informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta e, in particolare, di una consulenza tecnica, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, Rv. 262722; Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, Rv. 276151; Sez. 5, n. 1801 del 16/11/2021, Rv. 282545; Sez. 4, n. 10394 del 07/02/2023, Rv. 284240).
Orbene la Corte territoriale ha dimostrato di essere perfettamente consapevole dell’onere motivazionale, che gravava su di essa, richiamando un condivisibile arresto della giurisprudenza di legittimità, reso in materia cautelare
reale, in cui viene affermato il principio, riconducibile all’alveo interpretativo precedenza indicato con efficacia che trascende il tema cautelare portato all’attenzione della Corte, secondo cui in tema di impugnazione di misure cautelari reali, il tribunale del riesame è tenuto a valutare il contenuto della consulenza tecnica prodotta dalla parte, e, sia pure sommariamente, la pertinenza o meno della stessa rispetto all’oggetto dell’indagine e, ove sussista un contrasto con altri elaborati tecnici su punti decisivi del tema cautelare, è tenuto a dar conto sinteticamente delle ragioni della prevalenza dei rilievi difensivi su quelli posti fondamento del provvedimento cautelare o viceversa, onde non incorrere nel vizio di violazione di legge per assoluta mancanza di motivazione, essendo insufficiente il generico richiamo alla consulenza tecnica dell’una o dell’altra parte (cfr. Sez. 3, n. 30296 del 25/05/2021, Rv. 281721).
Partendo da tale presupposto, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi in precedenza indicati, specificamente argomentando in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto di dover accordare preferenza alle conclusioni cui è giunto il prof. COGNOME, individuate nell’autorevolezza professionale di quest’ultimo, e delle fonti scientifiche utilizzate per lo svolgimento dell’incarico affidatog nell’incertezza dei consulenti tecnici del Pubblico ministero, emersa nel corso del dibattimento di primo grado; nella metodologia utilizzata dal prof. COGNOME nel criticare dettagliatamente il lavoro svolto dai consulenti tecnici del Pubblico ministero, NOME COGNOME e NOME COGNOME, confrontandosi con il contenuto della loro consulenza e delle successive integrazioni, il cui principale errore, evidenzia il giudice di appello, è consistito nella “ipostatizzazione del movente”, dando per scontata l’esistenza di un pactum sceleris, che, nonostante fosse tutto da dimostrare, “è stato utilizzato per indirizzare alcune conclusioni tecniche verso un determinato risultato, che, altrimenti, sotto il profilo scientifico, sarebbe sta irraggiungibile” (cfr. pp. 1051 e ss. della sentenza di appello).
In conclusione, non può non rilevarsi la natura estremamente frammentaria, parziale e incompleta dei rilievi articolati dal Pubblico ministero ricorrente.
La sentenza della Corte di appello, invero, risulta del tutto conforme al consolidato principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, alla luce del quale il giudice d’appello, in caso di riforma, in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte, indicando in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, specie se di carattere tecnico-scientifico, idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado (cfr. ex plurimis, Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Rv. 272430; Sez. 4, n.
24439 del 16/06/2021, Rv. 281404; Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, Rv. 282612).
A tanto ha provveduto la Corte territoriale attraverso un diffuso, articolato e ampio percorso motivazionale (cfr. pp. 934-1281 della sentenza impugnata), con cui, come già detto, il Pubblico ministero, a tacere degli altri motivi inammissibilità già esposti, non si confronta realmente.
11.2. Identiche considerazioni vanno svolte con riferimento ai motivi di ricorso articolati in relazione al reato di aggiotaggio informativo continuato, di cui al capo B) dell’imputazione.
Al riguardo appare sufficiente svolgere alcune brevi considerazioni.
Innanzitutto, una volta esclusa la contestata falsità dei fatti di cui ai capi A4 e A5) dell’imputazione, per le ragioni diffusamente esposte nelle pagine precedenti, non appare revocabile in dubbio la correttezza della conclusione alla quale è giunta la Corte di appello, osservando come, di conseguenza, non possano ritenersi false le notizie relative a tali fatti esposte nei comunicati oggetto contestazione.
In tal modo viene meno l’elemento caratterizzante il reato di aggiotaggio informativo, circostanza che imponeva l’assoluzione di tutti gli imputati dal suddetto reato per insussistenza del fatto (cfr. p. 1289 della sentenza di appello).
Incontestato, infatti, è che il delitto di aggiotaggio informativo ha natura d reato di pericolo concreto e, pertanto, si consuma nel luogo in cui si verifica la diffusione delle notizie false che siano concretamente idonee a porre in pericolo, in quanto oggettivamente percepibili dagli operatori del mercato, il corretto andamento dei titoli cui si riferiscono, reato contraddistinto dal dolo generico, consistente nella mera coscienza e volontà di diffondere notizie manipolative (cfr., Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, Rv. 253757; Sez. 5, n. 43638 del 06/09/2023, Rv. 285306), sicché, se le notizie diffuse false non sono, tale delitto non è configurabile.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, si tratta di un reato che si consuma nel momento in cui la notizia foriera di scompenso valutativo del titolo viene comunicata o diffusa e cioè nel momento in cui la stessa esce dalla sfera dell’autore della condotta (cfr. Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, Rv. 253755); condotta che mantiene una sua autonomia strutturale rispetto all’attività oggetto della notizia, potendo, quest’ultima, a sua volta, integrare un’autonoma fattispecie criminosa, come del resto aveva ritenuto il giudice di primo grado, accogliendo la relativa impostazione accusatoria.
Si è, infatti, evidenziato, in un condivisibile arresto di questa Sezione, che la diffusione attraverso un comunicato stampa del deliberato del consiglio di amministrazione di una società quotata in RAGIONE_SOCIALE in ordine ai dati di bilancio che si proporranno all’approvazione della successiva assemblea dei soci integra,
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sussistendo i requisiti della falsità del dato e della idoneità dello stesso ad alterare sensibilmente i corsi dei titoli, il delitto di aggiotaggio informativo, a prescinde dal fatto che gli stessi non siano già stati adottati dalla successiva assemblea (In motivazione, la Corte ha altresì evidenziato che la eventuale successiva approvazione del bilancio può integrare la fattispecie di false comunicazioni sociali, in concorso con quella di aggiotaggio: cfr. Sez. 5, n. 15 del 21/11/2019, Rv. 278389).
Non può, pertanto, non rilevarsi l’assoluta correttezza dell’argomentazione seguita dalla corte territoriale, che, ben consapevole di tali principi, ha evidenziato come nel caso in esame il giudice di primo grado, invece di individuare “le specifiche coordinate spazio-temporali delle condotte contestate a ciascuno degli imputati, per verificare l’integrazione di tutti gli elementi costitutivi del reato relazione a ciascuna delle comunicazioni comprese nel periodo preso in considerazione nel capo B) dell’imputazione (dal 29.4.2009 al 14.11.2012), ha individuato i concorrenti nel reato “considerando non il luogo e il dato temporale di realizzazione della condotta asseritamente illecita, bensì avendo riguardo al coinvolgimento, a diverso titolo, degli imputati nelle differenti operazioni finanziarie”.
Il giudice di appello, inoltre, ancora una volta con argomentare immune da vizi logico-giuridici, ha sottolineato come il tribunale, “avendo ritenuto che dall falsità delle appostazioni nei bilanci discendesse automaticamente anche la falsità dei plurimi comunicati stampa mediante i quali erano stati diffusi al mercato i dati di bilancio, non si è soffermato ad analizzarne il contenuto specifico e non ne ha individuato gli autori materiali”, che sono rimasti ignoti, trascurando anche di verificare se, conformemente all’ipotesi accusatoria, che, giova ricordarlo, abbraccia tutti gli imputati per l’intero periodo temporale in contestazione, sia possibile addebitare a questi ultimi l’aggiotaggio anche per un periodo successivo alla comunicazione della prima notizia ritenuta falsa, indipendentemente dall’evolversi della loro posizione all’interno dei diversi istituti di credito coin nelle singole operazioni, quasi si trattasse di concorrenti in un reato permanente, anziché in un reato istantaneo (cfr. pp. 1281-1286 della sentenza di primo grado).
Ciò posto, come rilevato da diversi difensori nelle loro memorie, questi profili, che costituiscono autonome rationes decidendi della sentenza impugnata, da sole sufficienti a sorreggere la decisione, non hanno formato oggetto di specifiche doglianze da parte del pubblico ministero ricorrente, che ha concentrato le sue doglianze su aspetti attinenti all’elemento oggettivo del reato, determinando un’ulteriore e autonoma causa di inammissibilità del ricorso, in conformità al condivisibile principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, all luce del quale è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione
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che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (cfr. Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Rv. 272448; Sez. 3, Ordinanza n. 30021 del 14/07/2011, Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14.7.2011, non massimata).
Deve, pertanto, ritenersi inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnativa contro un provvedimento sorretto da distinte ed autonome ragioni giustificative, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a sorreggere la decisione ancorché con diversa formula quando le censure si riferiscono ad una sola di tali ragioni, in quanto da una pronuncia favorevole su di esse non potrebbe derivare all’impugnante quella modificazione della sua situazione processuale in cui si sostanzia l’interesse che, per espresso dettato normativo, deve sottostare ad ogni impugnazione (cfr. Sez. 3, n. 27119 del 05/03/2015, Rv. 264267).
Superfluo, a questo punto, appare soffermarsi più di tanto sull’operazione RAGIONE_SOCIALE, in considerazione dell’assorbente ragione di inammissibilità del ricorso del Pubblico ministero in precedenza indicata.
Va, comunque, ribadito che la corte territoriale, con motivazione affatto manifestamente illogica o contraddittoria, ha escluso, come si è detto, la sussistenza degli elementi costituitivi del reato di aggiotaggio (cfr. pp. 1289-1368 della sentenza di appello), apparendo i rilievi articolati al riguardo dal pubblico ministero del tutto versati in fatto e generici.
11.3. Per quanto riguarda le posizioni delle persone giuridiche chiamate a rispondere degli illeciti amministrativi di cui ai capi L); M) ed N), derivanti dai re di cui ai capi A4) e A5), la cui estinzione per prescrizione non rileva ai fin dell’accertamento della relativa responsabilità, stante il chiaro disposto dell’art. 8 co 1, lett. b), d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nonché degli illeciti amministrativ contestati nei capi O); P) e Q), derivanti dal reato di cui al capo B), il ricorso d Pubblico ministero nulla argomenta, salvo evidenziare come, venuta meno la pronuncia di assoluzione degli imputati dai reati loro ascritti per insussistenza del fatto, una volta accolti da questa Corte i motivi di ricorso agli affetti penali, giudice del rinvio competerà procedere all’accertamento della sussistenza dei reati di cui si discute quale presupposto della responsabilità delle banche ex lege 231″, sì da ottenere la condanna di tali enti (cfr. pp. 19-20; 36 del ricorso del Pubblico ministero).
Anche sotto questo profilo risulta evidente l’inammissibilità del motivo di ricorso, invero appena accennato, per manifesta infondatezza e sopravvenuta carenza di interesse.
L’intervenuta assoluzione di tutti gli imputati dai reati sub capi A4); A5) e B) con la formula perché il fatto non sussiste, che rimane ferma, in considerazione della ritenuta inammissibilità sul punto del ricorso del Pubblico ministero, rende
impossibile configurare la responsabilità amministrativa degli enti in precedenza indicati, subordinata dall’art. 5, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, all’esistenza di u reato commesso nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio, con la conseguenza che, in assenza del reato, difetta anche la responsabilità amministrativa dell’ente.
In questo senso si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità con orientamento costante, rilevando come in tema di responsabilità da reato degli enti, all’assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto per la rilevata insussistenza di quest’ultimo, consegua automaticamente l’esclusione della responsabilità dell’ente per la sua commissione (cfr. Sez. 5, n. 20060 del 04/04/2013, Rv. 255414; Sez. 6, n. 49056 del 25/07/2017, Rv. 271563).
11.4. Anche il quarto motivo del ricorso del ricorso del Procuratore generale non si sottrae alla sanzione dell’inammissibilità.
Deve in primo luogo osservarsi che le circolari della Pubblica amministrazione sono atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attivit degli organi inferiori e, quindi, hanno natura non normativa, ma di atti amministrativi, sicché la loro violazione non è denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 660, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
Anche qualora contengano direttive rivolte agli uffici gerarchicamente subordinati, esse esprimono esclusivamente un parere non vincolante, oltre che per gli uffici a cui sono dirette, per il contribuente, per la stessa autorità che le emanate e per il giudice; pertanto, la cd. interpretazione dei principi contabili contenuta nelle circolari della Banca di Italia non costituisce fonte di diritto, né soggetta al controllo di legittimità esercitato dalla Corte di cassazione (vedi in proposito Sez. 3, n. 2757 del 06/12/2017, dep. 2018, COGNOME‘Antuono, Rv. 272029).
Neppure può essere dedotta quale violazione della legge penale l’inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen.
In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limi all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) d lla medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U., n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027).
Peraltro, il ricorrente afferma esplicitamente che l’error in iudicando contenuto nel provvedimento impugnato sarebbe consistito nel ritenere gli elementi probatori non idonei ad affermare la falsità percentuale del 9,1% del total capital ratio indicata nella relazione semestrale di RAGIONE_SOCIALE al 30 giugno 2008, dato superiore a
quello minimo del 8% indicato nella circolare della Banca d’Italia n. 263 del 27 dicembre 2006, che regolavano le modalità di calcolo del patrimonio di vigilanza e le soglie minime dello stesso, in relazione sia al bilancio individuale della banca, sia ai bilancio consolidato.
La censura sollevata, sebbene formalmente volta a denunciare un vizio di legittimità, si rivela in realtà una censura di merito, posto che il vizio della sentenz d’appello consisterebbe nel «ritenere gli elementi probatori non idonei ad affermare la falsità» del comunicato, e dunque in un errore nella valutazione delle prove acquisite (vedi p. 38 del ricorso).
Nel ricorso si afferma pure che la decisone della Corte territoriale sarebbe stata determinata, in relazione al capo D), da un travisamento probatorio omissivo, ossia la omessa valutazione delle relazioni della Banca d’Italia del 28 novembre 2012 e del 27 febbraio 2013.
Deve allora osservarsi che il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085).
Nel caso di specie, risulta in primo luogo che, in realtà, la Corte territoriale non ha affatto omesso di prendere in esame la relazione della Banca d’Italia del 28 novembre 2012, che infatti viene espressamente menzionata alla pag. 1420 della motivazione della sentenza di appello, ove si evidenzia che il Pubblico ministero, riportandosi ai calcoli contenuti in detta relazione, ha segnalato che i calcoli non correttamente eseguiti da RAGIONE_SOCIALE hanno influito sulle dimensioni, al 30 giugno 2008, sia del patrimonio di base (passato da 6,3 miliardi circa a 5,2 miliardi circa), che del patrimonio supplementare (passato da 5,7 mld circa a 5,2 mld circa) e, di riflesso, sul total capital ratio, altrimenti detto coefficiente di solvibilità, che invece di essere del 9,1%, come indicato nella relazione semestrale al 30 giugno 2008, era del 7,8%.
In secondo luogo, il ricorrente omette di confrontarsi con le ragioni poste dalla
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Corte territoriale a fondamento della sua decisione e di indicare le ragioni per le quali il contenuto della suddetta relazione dovrebbe comprometterne la tenuta logica.
La Corte territoriale, nel motivare la sua decisione, ha affermato che i dati indicati dalla Banca d’Italia nella sua relazione del 28 novembre 2012 sono stati recepiti prima dal Pubblico ministero e poi dal Tribunale senza che, né in sede dì indagini, né in dibattimento fossero stati individuati i soggetti che materialmente avevano effettuato i calcoli relativi alla determinazione, nella relazione semestrale, del coefficiente di solvibilità, né quale fosse stato il procedimento eseguito, mentre tali elementi erano necessari per poter valutare, in via preliminare, le scelte di natura tecnica compiute e, quindi, poter accertare la sussistenza del reato e le singole responsabilità soggettive. Inoltre, per la Corte territoriale, neppure sussiste la prova che l’indicazione della percentuale del 9,1 % sia stata il risultato di una dolosa preordinazione diretta a far apparire RAGIONE_SOCIALE dotata di un coefficiente di solvibilità superiore a quello effettivo, soprattutto laddove si consideri che all redazione della relazione semestrale ed all’effettuazione dei complessi calcoli in essa indicati avevano contribuito anche consulenti esterni alla banca.
La Corte di appello ha anche segnalato che la pubblicazione della relazione semestrale era stata preceduta da fitte interlocuzioni intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e Banca d’Italia e che risulta provato che la Banca d’Italia aveva richiamato, sin dalla primavera del 2008, RAGIONE_SOCIALE sulla necessità che i contratti da stipulare con JPM assicurassero il pieno trasferimento a terzi del rischio di impresa e la flessibilit dei pagamenti, al fine di poter computare le azioni sottoscritte da JPM nel core capital della banca senese, e che tuttavia la complessità delle questioni tecniche da affrontare aveva determinato la prosecuzione delle interlocuzioni tra l’autorità di vigilanza e RAGIONE_SOCIALE e solo con la nota della Banca d’Italia del 23 settembre 2008 erano state specificate, in modo definitivo, le ragioni per le quali le azion sottoscritte da RAGIONE_SOCIALE non potevano essere computate nel core capital di RAGIONE_SOCIALE, ma tra gli strumenti innovativi di capitale, computabili fino ad un massimo del 20% nel patrimonio di base.
La Corte di merito ha, quindi, concluso che nel periodo temporale nel quale era stata predisposta e approvata la relazione semestrale, sussisteva un’ampia discrezionalità tecnica nell’effettuazione dei calcoli suindicati, che presupponevano l’individuazione della natura delle azioni, tematica sulla quale, nel corso del dibattimento, erano state esposte opinioni differenti dai consulenti delle parti.
La computabilità totale o parziale dello strumento finanziario nel core capital della Banca discendeva dal contenuto delle clausole dei contratti con JPM e con gli altri soggetti che partecipavano all’aumento di capitale; per la redazione dei contratti, RAGIONE_SOCIALE si era avvalsa dell’ausilio di consulenti sia interni alla banca, sia
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esterni, appartenenti a studi legali specializzati.
I giudici di appello segnalano che, sulla base del contenuto della corrispondenza intercorsa tra RAGIONE_SOCIALE, Banca d’Italia e i consulenti esterni alla banca, alla data del 24 giugno 2008, la questione concernente la computabilità dell’aumento di capitale riservato a JPM nel core capital di RAGIONE_SOCIALE costituiva ancora oggetto di valutazioni e di scambi di opinioni e non erano state raggiunte conclusioni univoche.
Solo con la nota del 23 settembre 2008, quindi in una data successiva a quella in cui era stata non solo predisposta, ma anche pubblicata la relazione semestrale oggetto dell’imputazione, la Banca d’Italia si era pronunciata in modo definitivo ed univoco sulla questione e conseguentemente non poteva ritenersi pienamente dimostrata la falsità della percentuale del 9,1% riportata nella relazione semestrale, dovendo la questione essere valutata alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza delle Sezioni Unite «COGNOME», non potendosi altrimenti distinguere la comunicazione di dati erronei, penalmente irrilevanti, da quella attinente a dati falsi.
Così riassunto l’iter logico giuridico che ha condotto la Corte di merito alla sua pronuncia assolutoria in relazione al capo D), deve rilevarsi che il motivo di ricorso si limita a richiamare le conclusioni delle due relazioni della Banca di Italia non spiega le ragioni per le quali il loro contenuto andrebbe a compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
Appare, invece, che con il motivo di ricorso il Procuratore generale si sia limitato ad esprimere il proprio dissenso sulla ricostruzione dei fatti e sull valutazione delle emergenze processuali svolta dalla Corte di merito, contrapponendo alle loro conclusioni quelle contenute nelle due relazioni della Banca di Italia ed attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Co di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 2000, Moro, Rv. 215745).
In particolare, il motivo non si confronta con le effettive ragioni della decisione impugnata, cosicché esso risulta necessariamente generico.
L’inammissibilità del motivo di ricorso nella parte relativa alla sussistenza del
reato contestato al capo B) preclude l’esame delle censure, contenute nello stesso motivo, attinenti alla valutazione delle responsabilità in capo ai singoli imputati.
Anche il ricorso della parte civile RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente ha validamente dichiarato di voler revocare la sua costituzione quale parte civile.
In astratto, la revoca della costituzione di parte civile determina la sopravvenuta estinzione del rapporto processuale civile instaurato nel processo penale ed impedisce al giudice penale di mantenere ferme le statuizioni civili relative ad un rapporto processuale ormai estinto. Più in particolare, la Corte di cassazione, investita di un ricorso proposto dall’imputato e relativo alla responsabilità penale, è tenuta, a seguito della sopravvenuta revoca della costituzione di parte civile, ad annullare senza rinvio, anche di ufficio, la sentenza in ordine alle statuizioni civili in essa contenute (Sez. 4, n. 31320 del 15/4/2004, COGNOME, Rv. 228839; Sez. 6, n. 12447 del 15/5/1990, COGNOME, Rv. 185345; Sez. 2, 43311 del 8/10/2015, COGNOME, Rv. 265250; Sez. 2, n. 25673 del 19/5/2009, COGNOME Forgiot, Rv 244169).
Nel caso di specie, tuttavia, la RAGIONE_SOCIALE non si è limitata a costituirsi parte civile, esercitando in sede penale l’azione civile per far valere il suo diritto risarcimento del danno ai sensi dell’art. 185 cod. pen., ma ha pure proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che ha prosciolto gli imputati da ogni addebito, riformando la sentenza di primo grado che, invece, aveva pronunciato condanna nei loro confronti.
Sorge quindi la questione relativa alla individuazione degli effetti che la sopravvenuta revoca della costituzione della parte civile produce sull’impugnazione da questa proposta, anche ai fini di cui all’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
Se si considera che la revoca della costituzione di parte civile determina l’estinzione del rapporto processuale civile instaurato nel processo penale ed impedisce al giudice penale di mantenere ferme le statuizioni civili relative ad un rapporto processuale ormai estinto e quindi di decidere sull’impugnazione della parte civile, deve concludersi che la revoca della costituzione rende inammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile producendo su di essa effetti assimilabili, nella sostanza, a quelli di una rinuncia all’impugnazione.
Del resto, nel caso di specie non possono sussistere dubbi sulla effettiva volontà della parte civile di rinunciare a perseguire le finalità cui era destinato suo ricorso per cassazione.
Ne consegue che a seguito della revoca della costituzione della parte civile
impugnante il COGNOME giudice dell’impugnazione deve dichiarare quest’ultima inammissibile.
Tuttavia, questo Collegio ritiene che alla sopravvenuta inammissibilità del ricorso della parte civile non consegua, nel caso di specie, la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della sanzione di cui all’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
Deve, infatti, osservarsi che la revoca della costituzione della parte civile non è pienamente assimilabile ad una rinuncia alla impugnazione.
La dichiarazione di rinunciare all’impugnazione proveniente dalla parte civile determina, in assenza di altre impugnazioni o in caso di rigetto delle concorrenti impugnazioni delle altre parti processuali, il passaggio in giudicato delle statuizioni civili oggetto di impugnazione, in quanto il danneggiato non perde la qualità di parte, ma si limita a manifestare la propria acquiescenza alla sentenza in precedenza impugnata.
La revoca della costituzione di parte civile, invece, travolge l’intero rapporto processuale civile instaurato nel processo penale. Il danneggiato perde la qualità di parte processuali e le statuizioni civili emesse in conseguenza della domanda risarcitoria da lui proposta nel processo devono essere annullate senza rinvio.
La perdita della qualità di parte processuale in capo al danneggiato comporta che, ai sensi dell’art. 82 comma 3, cod. proc. pen., a seguito della revoca della costituzione di parte civile, il giudice penale neppure possa conoscere delle spese e dei danni che l’intervento della parte civile ha cagionato all’imputato ed al responsabile civile, potendo la relativa azione essere eventualmente proposta davanti al giudice civile. Inoltre, la revoca della costituzione non preclude i successivo esercizio dell’azione per le restituzioni ed il risarcimento del danno in sede civile, come previsto dall’art. 82, comma 4, cod. proc. pen.
La non completa assimilabilità della revoca della costituzione della parte civile impugnante ad una rinuncia all’impugnazione comporta, ad avviso del Collegio, che non possa essere pronunciata condanna al pagamento delle spese processuali e al pagamento in favore della Cassa delle ammende della sanzione di cui all’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., come avviene nelle ipotesi di inammissibilità disciplinate dall’art. 591 cod. proc. pen., atteso che siffatta pronuncia presuppone comunque il possesso della qualità di parte processuale in capo al condannato.
È ben vero che sussiste un precedente in cui, a seguito della revoca della costituzione di parte civile, questa Corte di cassazione non solo ha dichiarato la inammissibilità del ricorso proposto dal danneggiato avverso la decisione di secondo grado, ma ha pure condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della sanzione in favore della Cassa delle ammende (Sez. 4, n. 9037 del 20/01/2009, COGNOME, non massimata); tuttavia, la
fattispecie relativa a siffatta pronuncia si presenta differente rispetto a quella in esame in questa sede, poiché con la sentenza sopra citata la parte civile era l’unico soggetto che aveva impugnato la sentenza assolutoria pronunciata dalla Corte di appello, cosicché la revoca della costituzione della parte civile determinava l’estinzione non solo del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, ma dell’intero processo, mentre nel caso qui in esame il processo è proseguito tra le altre parti.
P.Q.M.
Dichiara revocata la costituzione di parte civile di RAGIONE_SOCIALE e dichiara inammissibile il ricorso dalla stessa proposto.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale.
Così deciso 1’11/10/2023.
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CORTE DI CASSAZIONE
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