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Ricorso inammissibile: Cassazione e reati finanziari

In un complesso caso di reati finanziari, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile del Pubblico Ministero contro la sentenza di assoluzione di dirigenti di un importante istituto bancario e di altre società finanziarie. Le accuse riguardavano falso in bilancio e aggiotaggio informativo legati a complesse operazioni di finanza strutturata. La Suprema Corte ha basato la sua decisione sulla genericità dei motivi di ricorso, che non contestavano specificamente le autonome ragioni della sentenza d’appello, e sulla sopravvenuta prescrizione dei reati, che eliminava l’interesse concreto a proseguire il giudizio. Anche il ricorso della parte civile, l’autorità di vigilanza del mercato, è stato dichiarato inammissibile per revoca della sua costituzione.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: la Cassazione chiude il caso sui reati finanziari

Con la sentenza n. 4813 del 2024, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su una complessa vicenda di presunti reati finanziari, dichiarando il ricorso inammissibile presentato dal Pubblico Ministero. La decisione, basata su rigorosi principi procedurali, sottolinea i limiti dell’impugnazione in sede di legittimità e offre importanti spunti di riflessione sulla prova dei reati di falso in bilancio e aggiotaggio informativo. Questo provvedimento chiarisce come la mancanza di specificità nei motivi di ricorso e la carenza di interesse ad agire possano precludere l’esame nel merito, anche in casi di grande rilevanza mediatica.

I fatti del processo: complesse operazioni finanziarie al vaglio dei giudici

Il procedimento penale vedeva coinvolti i vertici di un primario istituto di credito italiano e dirigenti di importanti banche d’affari internazionali. Le accuse principali erano quelle di false comunicazioni sociali (art. 2622 c.c.) e aggiotaggio informativo (art. 185 T.U.F.).

Al centro della controversia vi erano alcune operazioni di finanza strutturata, denominate convenzionalmente “Santorini” e “Alexandria”, attraverso le quali, secondo l’accusa, la banca avrebbe occultato perdite significative, fornendo una rappresentazione non veritiera della propria situazione patrimoniale. La tesi accusatoria sosteneva che tali operazioni, pur presentate come normali contratti di repo, celassero in realtà dei credit default swap, la cui contabilizzazione avrebbe dovuto seguire criteri differenti (a fair value e a saldi chiusi), facendo emergere un passivo maggiore.

Il Tribunale di primo grado aveva condannato gli imputati, ritenendo provata la falsità delle comunicazioni sociali e la conseguente manipolazione del mercato. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato completamente la decisione, assolvendo tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”. I giudici di secondo grado avevano concluso che, data la complessità e la novità delle operazioni all’epoca dei fatti, non esistevano criteri contabili normativamente fissati o prassi tecniche consolidate che imponessero la contabilizzazione richiesta dall’accusa. Pertanto, la scelta operata dagli amministratori non poteva considerarsi penalmente rilevante.

La decisione della Corte di Cassazione sul ricorso inammissibile

Contro la sentenza di assoluzione, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello proponeva ricorso per cassazione. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, senza entrare nel merito della vicenda. Questa decisione si fonda su una pluralità di ragioni, prevalentemente di natura processuale, che hanno impedito ai giudici di legittimità di esaminare le censure mosse dall’accusa.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile anche il ricorso della parte civile, l’autorità di vigilanza del mercato finanziario, a causa della revoca della sua costituzione in giudizio prima della decisione, un atto che estingue il rapporto processuale civile e fa venir meno l’interesse all’impugnazione.

Le motivazioni: perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile

La Corte di Cassazione ha articolato la sua decisione su diversi pilastri logico-giuridici, che evidenziano i rigorosi paletti del giudizio di legittimità.

La genericità del ricorso: l’incapacità di superare le “rationes decidendi”

Il motivo principale di inammissibilità risiede nella genericità del ricorso. La Corte d’Appello aveva fondato la sua assoluzione su argomentazioni tecniche dettagliate e autonome (rationes decidendi), spiegando in modo approfondito perché le scelte contabili degli imputati non integrassero un reato. Secondo la Cassazione, il ricorso del Pubblico Ministero non ha criticato puntualmente queste specifiche argomentazioni, ma si è limitato a riproporre la tesi accusatoria e a sollecitare una nuova valutazione del materiale probatorio, attività preclusa in sede di legittimità. Un ricorso, per essere ammissibile, deve confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata e demolirne la coerenza logico-giuridica, non ignorarla.

La prescrizione e la carenza di interesse

Un altro punto cruciale è stata la constatazione che i reati di falso in bilancio (capi A4 e A5), presupposto per le altre accuse, erano già estinti per prescrizione al momento della proposizione del ricorso. In base a un principio consolidato, l’impugnazione è ammissibile solo se può portare a un risultato pratico favorevole per chi la propone. In questo caso, anche se la Cassazione avesse annullato l’assoluzione, il giudice del rinvio non avrebbe potuto fare altro che dichiarare l’estinzione del reato. Di conseguenza, il Pubblico Ministero mancava di un interesse concreto e attuale all’impugnazione, rendendo il suo ricorso inutile e, quindi, inammissibile.

Falso in bilancio e il principio della “sostanza sulla forma”

Sebbene non abbia potuto esaminare il merito, la Corte ha implicitamente confermato la correttezza dell’approccio della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva correttamente applicato i principi della sentenza “Passarelli” delle Sezioni Unite, secondo cui una valutazione di bilancio è penalmente falsa solo se l’agente si discosta consapevolmente da criteri normativi o tecnici generalmente accettati. La Corte d’Appello aveva motivato ampiamente l’assenza di tali criteri certi all’epoca dei fatti per operazioni così complesse. Il ricorso del PM, insistendo sulla prevalenza della sostanza sulla forma come unico criterio, non è riuscito a scalfire questa solida costruzione argomentativa.

Aggiotaggio informativo: una conseguenza logica

L’inammissibilità del ricorso sul falso in bilancio ha travolto anche le censure relative all’aggiotaggio. Il reato di aggiotaggio informativo presuppone la diffusione di una notizia falsa. Se, come stabilito dalla Corte d’Appello con motivazione non efficacemente contestata, le comunicazioni contenute nei bilanci non erano penalmente false, viene a mancare il presupposto stesso del reato di manipolazione del mercato. Anche su questo punto, il ricorso del PM è stato ritenuto incapace di superare le autonome rationes decidendi della sentenza di assoluzione.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La decisione della Corte di Cassazione, pur essendo di natura processuale, offre conclusioni di grande importanza pratica. In primo luogo, ribadisce la necessità di redigere ricorsi per cassazione estremamente specifici, che si confrontino analiticamente con ogni singola argomentazione della sentenza impugnata. In secondo luogo, conferma l’elevato standard probatorio richiesto per i reati di falso in bilancio valutativo: l’accusa deve dimostrare una deviazione consapevole da standard tecnici o normativi chiari e consolidati, non essendo sufficiente proporre una diversa interpretazione contabile. Infine, la sentenza cristallizza la dipendenza logica del reato di aggiotaggio informativo dalla sussistenza di una comunicazione penalmente falsa, confermando che il crollo del primo capo d’accusa determina inevitabilmente la caduta del secondo.

Quando un ricorso del Pubblico Ministero in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso del Pubblico Ministero in Cassazione viene dichiarato inammissibile quando è generico e non contesta in modo specifico le autonome ragioni giuridiche (rationes decidendi) della sentenza impugnata, limitandosi a sollecitare una nuova valutazione dei fatti. È inoltre inammissibile per carenza di interesse quando un suo eventuale accoglimento non porterebbe alcun risultato pratico, ad esempio perché il reato è già estinto per prescrizione.

Perché gli imputati sono stati assolti dall’accusa di falso in bilancio per operazioni finanziarie complesse?
La Corte d’Appello li ha assolti perché, al momento dei fatti, non esistevano criteri normativi o prassi tecniche consolidate che imponessero una diversa contabilizzazione per le complesse operazioni di finanza strutturata oggetto del processo. Di conseguenza, la scelta contabile operata dagli amministratori, sebbene discutibile, non poteva essere considerata una falsità penalmente rilevante, in quanto non violava standard certi e predeterminati.

In che modo l’assoluzione per il falso in bilancio ha influito sull’accusa di aggiotaggio informativo?
L’accusa di aggiotaggio informativo si basava sulla diffusione al mercato di informazioni false contenute nei bilanci. Poiché la Corte d’Appello ha stabilito, con una motivazione ritenuta incensurabile dalla Cassazione, che le comunicazioni sociali non erano penalmente false, è venuto a mancare l’elemento costitutivo fondamentale del reato di aggiotaggio, ovvero la falsità della notizia. L’assoluzione per questo reato è stata quindi una conseguenza logica e necessaria dell’assoluzione per il falso in bilancio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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