Ricorso inammissibile: la Cassazione conferma la condanna basata su precedenti e condotta
Quando un ricorso per cassazione viene presentato, non è sufficiente lamentare genericamente una decisione sfavorevole. È necessario che i motivi siano specifici e fondati su vizi di legittimità. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ha recentemente ribadito questo principio, dichiarando un ricorso inammissibile perché basato su doglianze generiche e assertive, confermando la solidità della motivazione della corte d’appello basata sui precedenti penali dell’imputato e sulla sua condotta complessiva.
Il caso: dalla condanna al ricorso in Cassazione
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per i reati di spaccio di sostanze stupefacenti (nello specifico, 0,5 grammi di eroina) e di resistenza a pubblico ufficiale. La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità penale, respingendo le richieste della difesa volte a escludere l’aggravante della recidiva e a concedere le circostanze attenuanti generiche.
Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo un vizio di omessa motivazione da parte dei giudici di secondo grado. Secondo la difesa, la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni del proprio convincimento.
La valutazione del ricorso inammissibile da parte della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso e li ha giudicati del tutto infondati, definendoli come ‘mere doglianze’ formulate in modo ‘generico e assertivo’. Gli Ermellini hanno evidenziato come il tentativo di contestare la valutazione dei fatti non sia consentito in sede di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è riesaminare le prove, ma verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, completa e non contraddittoria.
Nel caso specifico, la lettura del provvedimento della Corte d’Appello ha rivelato una motivazione ‘completa e logicamente ineccepibile’, priva dei vizi denunciati. Di conseguenza, il ricorso inammissibile non ha superato il primo vaglio di ammissibilità, impedendo un esame nel merito della questione.
Le motivazioni della decisione
La Suprema Corte ha analizzato nel dettaglio le ragioni fornite dalla Corte d’Appello, ritenendole pienamente adeguate a giustificare le decisioni prese.
Il ruolo dei precedenti penali
La Corte d’Appello aveva correttamente negato le attenuanti generiche e confermato la recidiva sulla base dei ‘molteplici precedenti penali (ben otto) tutti specifici’. Questo dato oggettivo ha permesso ai giudici di concludere che il reato in esame si inseriva perfettamente nel ‘percorso criminale dell’imputato’, costituendone una ‘ulteriore e ingravescente espressione’. La presenza di una storia criminale così marcata e specifica è stata considerata un elemento decisivo per valutare negativamente la personalità dell’imputato.
La violazione delle misure cautelari
Un altro elemento fondamentale è stata la condotta dell’imputato. Il reato era stato commesso a Roma, nonostante egli fosse sottoposto a una misura cautelare che gli imponeva il divieto di dimora in quel Comune. Inoltre, l’imputato aveva violato la stessa misura anche successivamente, tanto da rendere necessaria l’applicazione di una misura più grave come la custodia in carcere. Questa sistematica inosservanza delle prescrizioni dell’autorità giudiziaria è stata interpretata come un ulteriore indice di pericolosità sociale e di mancanza di ravvedimento, giustificando pienamente il rigetto delle richieste della difesa.
Le conclusioni: quando un ricorso è destinato al fallimento?
L’ordinanza in esame offre un chiaro insegnamento: un ricorso in Cassazione non può limitarsi a una critica generica della sentenza impugnata. Deve individuare vizi specifici di legittimità (come una motivazione manifestamente illogica, contraddittoria o inesistente). Quando, come in questo caso, la decisione di merito è fondata su elementi concreti e valutati in modo logico – quali i numerosi precedenti specifici e la violazione di misure cautelari – il ricorso che si limita a contestare tali valutazioni senza evidenziare un vero errore di diritto è destinato a essere dichiarato inammissibile. La condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende sigilla l’esito del procedimento.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi proposti erano costituiti da mere doglianze, formulate in modo generico e assertivo, e si concentravano sulla denuncia di un vizio di motivazione che, alla lettura del provvedimento, è risultato insussistente. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta completa e logicamente ineccepibile.
Quali elementi ha considerato la Corte per confermare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche?
La Corte ha basato la sua decisione su due elementi principali: i molteplici e specifici precedenti penali dell’imputato (otto, di cui uno recente) e la sua condotta, caratterizzata dalla commissione del reato mentre era sottoposto alla misura del divieto di dimora nel Comune di Roma e dalla successiva violazione della stessa misura.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per il ricorrente?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la sentenza di condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45532 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45532 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE nato il 05/01/1982
avverso la sentenza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di Susso Sanko; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
OSSERVA
Rilevato che il motivo dedotto nel ricorso avverso la condanna per i reati di cui agli artt. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (in relazione alla cessione di 0,5 gr. di eroina) e 337 cod. pen., per condotte di resistenza nei confronti di due operanti della Polizia di Stato, non è consentito dalla legge in sede di legittimità, perché costituito da mere doglianze, peraltro formulate in modo generico e assertivo, in punto di fatto ed incentrati sulla denuncia del vizio di omessa motivazione che la lettura del provvedimento impugnato rivela essere completa e logicamente ineccepibile e dalla quale si evince l’insussistenza dei dedotti vizi di motivazione;
Ritenuto che, infatti, la Corte di appello ha respinto la doglianza relativa all’invocata esclusione della recidiva e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a favore dell’imputato, evidenziando, quanto al primo profilo, che l’aggravante soggettiva contestata in relazione al capo ic è chiaramente sussistente “visti i molteplici precedenti penali (ben otto) tutti specifici, sicchè il fatto oggi giudicato si inserisce perfettamente nel percorso criminale dell’imputato, costituendone ulteriore e ingravescente espressione”. Il rigetto delle attenuanti generiche si è fondato sui molteplici e specifici precedenti penali, anche recenti, tra cui uno risalente a soli sette mesi prima nonché sulla circostanza che il reato oggetto del giudizio è stato commesso in Roma, mentre l’imputato era sottoposto a misura del divieto di dimora in detto Comune, e che Susso ha altresì violato la medesima misura coercitiva applicata nel procedimento in esame, ragione per la quale gli è stata imposta la custodia in carcere. Motivazione, per entrambi i profili, del tutto adeguata e quindi insindacabile in sede di legittimità;
Ritenuto che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25/11/2024