Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Rigetta i Motivi Ripetitivi
Presentare un ricorso in Cassazione è l’ultima fase del processo penale, un momento cruciale che richiede precisione tecnica e argomentazioni solide. Tuttavia, non tutti i ricorsi superano il vaglio preliminare della Corte. Con l’ordinanza n. 9518/2024, la Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di quando un ricorso inammissibile viene dichiarato tale, specialmente quando si limita a riproporre le stesse doglianze già esaminate e respinte in appello. Analizziamo questa decisione per comprendere i principi procedurali e sostanziali che ne sono alla base.
Il Caso in Analisi
Il caso origina dal ricorso presentato da un’imputata contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la sua condanna. Le censure mosse alla sentenza di secondo grado si concentravano su due punti principali:
1. L’errata valutazione dell’elemento soggettivo del reato contestato (presumibilmente ricettazione, data la discussione sulla provenienza illecita del bene).
2. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
L’imputata, in sostanza, sosteneva che i giudici di merito avessero sbagliato nel ritenerla consapevole della provenienza illecita del bene in suo possesso e, in ogni caso, che il fatto fosse talmente lieve da non meritare una condanna.
La Decisione della Corte: Focus sul Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere le speranze della ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione è netta e istruttiva: i motivi presentati non erano altro che una “pedissequa reiterazione” di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte territoriale.
Questo passaggio è fondamentale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. La sua funzione è quella di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Riproporre le stesse identiche argomentazioni, senza muovere una critica specifica e argomentata contro le ragioni esposte dai giudici d’appello, svuota il ricorso della sua tipica funzione. I motivi, in tal caso, sono considerati non specifici ma soltanto apparenti.
La Prova dell’Elemento Soggettivo nella Ricettazione
Entrando nel merito delle questioni, la Corte ha ribadito un principio giurisprudenziale consolidato. I giudici d’appello avevano correttamente motivato la sussistenza dell’elemento soggettivo (il dolo) richiamando l’orientamento secondo cui la mancata giustificazione del possesso di un bene di provenienza delittuosa costituisce prova della conoscenza di tale illecita provenienza. Questo principio, si legge nell’ordinanza, si applica a qualsiasi oggetto di ricettazione, a prescindere dalla sua commerciabilità.
L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto
Anche sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., la Cassazione ha ritenuto adeguata la motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva escluso la particolare tenuità del fatto basandosi su due elementi: il valore non irrisorio del bene e la sua avvenuta restituzione al legittimo proprietario. Questi fattori, valutati complessivamente, sono stati ritenuti sufficienti per considerare l’offesa non particolarmente tenue.
Le Motivazioni della Cassazione
La motivazione della Suprema Corte si fonda su un rigoroso rispetto dei limiti del proprio giudizio. Il punto centrale non è tanto riesaminare se l’imputata fosse colpevole o meno, ma verificare se il ricorso avesse i requisiti per essere esaminato. La Corte ha stabilito che i motivi erano “indeducibili” perché non si confrontavano criticamente con la decisione di secondo grado, ma si limitavano a riproporla. Questo comportamento processuale trasforma il ricorso in un atto meramente apparente, privo della specificità richiesta dalla legge. Di conseguenza, la Corte non solo ha respinto il ricorso, ma ha anche condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, evidenziando i profili di colpa nell’aver intrapreso un’impugnazione palesemente infondata.
Conclusioni
L’ordinanza in esame è un monito importante per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione. Non è sufficiente essere in disaccordo con una sentenza d’appello; è necessario articolare critiche precise, nuove e pertinenti che mettano in luce vizi di legittimità o palesi illogicità nella motivazione. Un ricorso inammissibile non è solo una sconfitta processuale, ma comporta anche conseguenze economiche significative. La decisione sottolinea l’importanza di un approccio tecnico e rigoroso alla redazione degli atti di impugnazione, evitando di trasformare l’ultimo grado di giudizio in una sterile ripetizione di argomenti già vagliati e respinti.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è dichiarato inammissibile se i motivi sono una mera e pedissequa ripetizione di quelli già presentati e respinti in appello, senza offrire una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata.
Come si prova la consapevolezza di possedere un bene di provenienza illecita (ricettazione)?
La decisione ribadisce il principio giurisprudenziale secondo cui la mancata giustificazione del possesso di un bene di origine delittuosa costituisce prova sufficiente della conoscenza di tale provenienza illecita da parte di chi lo possiede.
Quando può essere esclusa la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Nel caso specifico, la non punibilità è stata esclusa perché la Corte d’Appello ha ritenuto, con motivazione adeguata, che il valore del bene non fosse irrisorio e ha considerato anche la circostanza della sua restituzione al legittimo proprietario come elemento per valutare la gravità complessiva del fatto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9518 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9518 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME natm FELTRE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME,
Ritenuto che i motivi che contestano la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo e alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., sono indeducibili perché fondati su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
considerato che, in particolare a pag. 2 della sentenza impugnata, il giudice di merito ha adeguatamente argomentato circa la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie delittuosa contestata all’imputata, ove richiama una consolidata giurisprudenza di legittimità in base alla quale la mancata giustificazione del possesso di un bene di provenienza delittuosa costituisce prova della conoscenza della stessa illegittima provenienza (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 41423 del 27/10/2020, Ienne, Rv. 248718), la quale si applica a qualsiasi oggetto di ricettazione, senza essere rilevante la commerciabilità o meno dello stesso;
considerato, inoltre, che la corte di appello, ha adeguatamente motivato a pag. 2 circa la mancata applicazione dell’istituto di cui all’art.131-bis cod. pen., in virtù sia del valore non irrisorio del bene oggetto del fatto delittuoso, che della restituzione al legittimo proprietario dello stesso;
Rilevato che la richiesta deve essere dichiarata inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, tenuto conto dei profili di colpa emersi.
P.Q.M.,
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024.