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Ricorso inammissibile: Cassazione e motivi ripetitivi

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile perché i motivi proposti erano una semplice ripetizione di quelli già respinti in appello. La Corte ha confermato che la mancata giustificazione del possesso di un bene di provenienza illecita costituisce prova della conoscenza di tale origine, escludendo anche la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Rigetta i Motivi Ripetitivi

Presentare un ricorso in Cassazione è l’ultima fase del processo penale, un momento cruciale che richiede precisione tecnica e argomentazioni solide. Tuttavia, non tutti i ricorsi superano il vaglio preliminare della Corte. Con l’ordinanza n. 9518/2024, la Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di quando un ricorso inammissibile viene dichiarato tale, specialmente quando si limita a riproporre le stesse doglianze già esaminate e respinte in appello. Analizziamo questa decisione per comprendere i principi procedurali e sostanziali che ne sono alla base.

Il Caso in Analisi

Il caso origina dal ricorso presentato da un’imputata contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la sua condanna. Le censure mosse alla sentenza di secondo grado si concentravano su due punti principali:

1. L’errata valutazione dell’elemento soggettivo del reato contestato (presumibilmente ricettazione, data la discussione sulla provenienza illecita del bene).
2. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

L’imputata, in sostanza, sosteneva che i giudici di merito avessero sbagliato nel ritenerla consapevole della provenienza illecita del bene in suo possesso e, in ogni caso, che il fatto fosse talmente lieve da non meritare una condanna.

La Decisione della Corte: Focus sul Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere le speranze della ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione è netta e istruttiva: i motivi presentati non erano altro che una “pedissequa reiterazione” di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte territoriale.

Questo passaggio è fondamentale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. La sua funzione è quella di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Riproporre le stesse identiche argomentazioni, senza muovere una critica specifica e argomentata contro le ragioni esposte dai giudici d’appello, svuota il ricorso della sua tipica funzione. I motivi, in tal caso, sono considerati non specifici ma soltanto apparenti.

La Prova dell’Elemento Soggettivo nella Ricettazione

Entrando nel merito delle questioni, la Corte ha ribadito un principio giurisprudenziale consolidato. I giudici d’appello avevano correttamente motivato la sussistenza dell’elemento soggettivo (il dolo) richiamando l’orientamento secondo cui la mancata giustificazione del possesso di un bene di provenienza delittuosa costituisce prova della conoscenza di tale illecita provenienza. Questo principio, si legge nell’ordinanza, si applica a qualsiasi oggetto di ricettazione, a prescindere dalla sua commerciabilità.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

Anche sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., la Cassazione ha ritenuto adeguata la motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva escluso la particolare tenuità del fatto basandosi su due elementi: il valore non irrisorio del bene e la sua avvenuta restituzione al legittimo proprietario. Questi fattori, valutati complessivamente, sono stati ritenuti sufficienti per considerare l’offesa non particolarmente tenue.

Le Motivazioni della Cassazione

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un rigoroso rispetto dei limiti del proprio giudizio. Il punto centrale non è tanto riesaminare se l’imputata fosse colpevole o meno, ma verificare se il ricorso avesse i requisiti per essere esaminato. La Corte ha stabilito che i motivi erano “indeducibili” perché non si confrontavano criticamente con la decisione di secondo grado, ma si limitavano a riproporla. Questo comportamento processuale trasforma il ricorso in un atto meramente apparente, privo della specificità richiesta dalla legge. Di conseguenza, la Corte non solo ha respinto il ricorso, ma ha anche condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, evidenziando i profili di colpa nell’aver intrapreso un’impugnazione palesemente infondata.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è un monito importante per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione. Non è sufficiente essere in disaccordo con una sentenza d’appello; è necessario articolare critiche precise, nuove e pertinenti che mettano in luce vizi di legittimità o palesi illogicità nella motivazione. Un ricorso inammissibile non è solo una sconfitta processuale, ma comporta anche conseguenze economiche significative. La decisione sottolinea l’importanza di un approccio tecnico e rigoroso alla redazione degli atti di impugnazione, evitando di trasformare l’ultimo grado di giudizio in una sterile ripetizione di argomenti già vagliati e respinti.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è dichiarato inammissibile se i motivi sono una mera e pedissequa ripetizione di quelli già presentati e respinti in appello, senza offrire una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata.

Come si prova la consapevolezza di possedere un bene di provenienza illecita (ricettazione)?
La decisione ribadisce il principio giurisprudenziale secondo cui la mancata giustificazione del possesso di un bene di origine delittuosa costituisce prova sufficiente della conoscenza di tale provenienza illecita da parte di chi lo possiede.

Quando può essere esclusa la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Nel caso specifico, la non punibilità è stata esclusa perché la Corte d’Appello ha ritenuto, con motivazione adeguata, che il valore del bene non fosse irrisorio e ha considerato anche la circostanza della sua restituzione al legittimo proprietario come elemento per valutare la gravità complessiva del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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