Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35637 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35637 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a CIVITAVECCHIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con il primo ed il secondo motivo violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato sub a) in relazione alla mancata esibizione del corpo di reato onde costatare lo stato dello stupefacente sequestrato e le sue caratteristiche e con un terzo motivo vizio motivazionale in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 2 I. 895/19 in quanto l’arma era nella proprietà dei COGNOME fin ddgli anni della guerra essendo stata ritrovata dal padre dell’odierno ricorrente da qualche parte dei terreni insieme ad una bomba.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricor e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugNOME.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare, in ordine alla fattispecie della detenzione a fini di spaccio dello stupefacente, hanno osservato che le buste contenenti hashish e marijuana erano ben occultate in un interstizio ricavato tra la rete di recinzione metallica della stalla per conigli e una gabbia ove erano custoditi conigli. Tutti e cinque gli involucri erano confezionati in modo accurato, chiusi con del nastro adesivo.
Le modalità di occultamento e confezionamento degli stupefacenti -viene logicamente evidenziato in sentenza-contrastano chiaramente con l’assunto difensivo del loro abbandono e della loro futura destinazione a essere gettati nell’immondizia. Del resto, l’hashish e la marijuana rinvenuti erano tutt’altro che inidonei alla commercializzazione, poiché contenevano THC con una percentuale corrispondente a quella degli stupefacenti venduti al dettaglio nelle piazze di spaccio.
Quanto alla procedura di campionatura, si osserva che correttamente nel provvedimento impugNOME che questa è imposta dall’art. 87, comma 2, d.P.R. 309/90 e che nel caso di specie appare eseguita in modo conforme alla legge, secondo quanto riportato nel verbale di prelevamento in atti.
La Corte territoriale ha motivatamente rigettato, poi la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, non essendovi circostanze da chiarire mediante l’assunzione di nuove prove o la riassunzione di quella già acquisite nel dibattimento di primo grado. In ordine alla dedotta assenza di prova della destinazione allo spaccio delle sostanze rinvenute, ha evidenziato, poi, che, oltre al rilevante quantitativo- del tutto incompatibile con un uso personale – e alle modalità del loro occultamento e confezionamento, va posto in rilievo il contestuale sequestro di una busta contenente delle schede Sim nuove e mai utilizzate, intestate a cittadini bengalesi, rinvenimento che corrobora l’ipotesi accusatoria circa la destinazione degli stupefacenti alla cessione a terzi tramite una rete di pusher destinatari di utenze sicure.
Quanto alla marijuana, è stato argomentatamente confutato l’assunto difensivo dell’acquisto inconsapevole di semi di canapa contenenti principio THC appare palesemente smentito daila circostanza che le buste di marijuana si presentavano in differente stato e risultavano tutte contenere una percentuale di THC in linea con quella reperibile normalmente sul mercato.
Del tutto infondata è stata poi motivatamente ritenuta l’ipotesi che lo stupefacente rinvenuto sia il derivato dei semi di canapa ricevuti via posta il 1.8.2018, considerato che i tempi di crescita delle piante sono del tutto incompatibili con quello a disposizione COGNOME (inferiore ai due mesi, secondo quanto da lui stesso dichiarato).
In ultimo, è stata essere disattesa l’osservazione difensiva sull’assenza di reale occultamento dello stupefacente, considerato che le buste erano ben occultate in un interstizio nei pressi della rete di recinzione della conigliera, come rifer dal maresciallo COGNOME e indicato nel verbale di perquisizione e sequestro.
2.2. Con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto, la Corte territoriale ha poi motivato in punto di responsabilità per l’arma da guerra, sul corretto rilievo che il fatte che questa fosse stata rinvenuta dal padre dell’im putato anni or sono non modifica l’illiceità della condotta del COGNOMECOGNOME
L’arma e le munizioni – come si legge in sentenza- si trovavano su un bancone da lavoro, avvolte in plastica di colore giallo, chiuse ermeticamente, con un confezionamento accurato e chiaramente finalizzato al non deterioramento dell’arma e al suo occultamento; l’imputato, del resto, ne era pienamente a conoscenza, come da lui stesso affermato. Si evidenzia anche che la distanza tra i luoghi di
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rinvenimento dell’arma e della droga è stata indicata dal Maresciallo COGNOME in quattro/cinque metri e non vi è alcuna ragione per disattendere quanto affermato dall’operante. E che, in ogni raso, anche qualora fosse accertato che tra i due luoghi vi era una maggiore distanza, la circostanza non avrebbe alcun rilievo ai fini del giudizio di colpevolezza dell’imputato, considerato che COGNOME ha dichiarato che l’arma e le munizioni erano nella sua disponibilità; dovendosi aggiungere che il confezionamento accurato esclude l’ipotesi di una loro destinazione allo smaltimento.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia i ricorrenti chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
Né può porsi in questa sede – a! di là della possibile applicazione o meno al caso in esame della c.d. riforma Orlando che, per tutti i reati commessi dopo la sua entrata in vigore (3 agosto 2017) e fino al 31 dicembre 2019 (data successivamente alla quale l’intera disciplina è stata innovata dalla legge 27 settembre 2021, n. 134) ha introdotto un termine di sospensione di diciotto mesi decorrente dalla data del deposito della motivazione della sentenza di primo grado – la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, più vote ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle mende.
Così deciso il 17/09/2024