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Ricorso inammissibile: Cassazione e limiti del vizio

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile avverso una condanna per truffa. L’ordinanza chiarisce che il vizio di motivazione non consente un riesame dei fatti e che il diniego delle attenuanti generiche può basarsi sui precedenti penali, confermando la decisione della Corte d’Appello.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione non Riesamina i Fatti

L’ordinanza n. 46092/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti del giudizio di legittimità. Quando un ricorso viene dichiarato ricorso inammissibile, significa che i motivi presentati non superano il vaglio preliminare della Corte, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio il ruolo della Cassazione e i requisiti di un ricorso efficace.

L’Analisi del Caso: Dalla Truffa al Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da una condanna per il reato di truffa, confermata dalla Corte d’Appello di Torino. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due principali vizi della sentenza impugnata:

1. Un presunto vizio di motivazione riguardo all’affermazione della sua responsabilità penale.
2. Un secondo vizio di motivazione relativo alla mancata esclusione della recidiva e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

L’imputato, in sostanza, ha tentato di ottenere dalla Suprema Corte una nuova valutazione del materiale probatorio, proponendo una diversa ricostruzione dei fatti e un giudizio differente sull’attendibilità delle prove.

Il Ricorso Inammissibile e il Vizio di Motivazione

La Corte di Cassazione ha immediatamente chiarito la natura del suo ruolo. Non è un giudice del “fatto”, ma un giudice della “legittimità”. Questo significa che non può sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello), a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia palesemente illogica, contraddittoria o del tutto assente.

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che il primo motivo di ricorso era un tentativo mascherato di ottenere un riesame del merito. L’appellante non ha individuato specifici travisamenti delle prove, ma si è limitato a criticare la valutazione operata dalla Corte territoriale. Poiché la motivazione della sentenza d’appello è stata ritenuta congrua e non illogica, la Cassazione ha respinto la censura, dichiarandola inammissibile.

La Valutazione delle Attenuanti e della Recidiva

Anche il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Suprema Corte ha ribadito i principi consolidati in materia di circostanze attenuanti generiche e recidiva. La valutazione del giudice non deve basarsi esclusivamente sulla gravità del reato commesso, ma deve considerare, ai sensi dell’art. 133 c.p., il quadro complessivo della condotta dell’imputato.

È stato sottolineato che i precedenti penali possono legittimamente essere valorizzati per negare le attenuanti, in quanto indicatori di una “perdurante inclinazione al delitto”. Il diniego, inoltre, può essere giustificato anche solo con l’assenza di elementi positivi meritevoli di considerazione, senza che il giudice debba analiticamente esaminare ogni possibile circostanza a favore.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Le motivazioni della Corte sono state nette e in linea con il suo orientamento costante. Il primo motivo è stato rigettato perché la Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito né saggiare la tenuta logica della decisione confrontandola con altri modelli di ragionamento. Il suo compito è verificare la coerenza interna della motivazione, che in questo caso è stata ritenuta esente da vizi.

Per il secondo motivo, la Corte ha confermato che la decisione del giudice d’appello era corretta. Il diniego delle attenuanti generiche era stato legittimamente giustificato sulla base dei precedenti penali dell’imputato, considerati come un fattore negativo indicativo di una tendenza a delinquere. Questo approccio è pienamente conforme alla giurisprudenza di legittimità.

Conclusioni

La decisione finale è stata la dichiarazione di ricorso inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione deve basarsi su vizi di legittimità reali e specifici, non su un disaccordo con la valutazione dei fatti compiuta nei gradi precedenti. Qualsiasi tentativo di ottenere una terza valutazione nel merito è destinato all’inammissibilità.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per il vizio di motivazione?
La Corte ha ritenuto che il ricorrente non stesse lamentando un vero vizio logico nella motivazione della sentenza, ma stesse tentando di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove e una ricostruzione dei fatti, attività che è preclusa al giudice di legittimità.

Come valuta il giudice la concessione delle circostanze attenuanti generiche?
Il giudice valuta le attenuanti generiche esaminando, in base all’art. 133 c.p., non solo la gravità dei fatti, ma anche il rapporto tra il reato e le precedenti condanne, per verificare se la condotta passata indichi una persistente inclinazione al delitto. L’assenza di elementi positivi e la presenza di precedenti penali possono giustificare il diniego.

Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una condanna al pagamento di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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