Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9732 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9732 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a BELPASSO il 05/09/1961
COGNOME nato a GIARRE il 05/04/1988
avverso la sentenza del 05/07/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letti i due ricorsi proposti l’uno nell’interesse di NOME COGNOME e l’altro nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che risulta non consentito, per un duplice ordine di ragioni, il primo motivo del ricorso presentato dal difensore del primo ricorrente, con cui si contesta l’affermazione di responsabilità per il concorso nel reato di truffa aggravata, in quanto fondata su una erronea valutazione del materiale probatorio asseritamente insufficiente e incerto, specie perchè mancante del decisivo esame della persona offesa;
ritenuto che anche il secondo motivo del medesimo ricorso in esame, con cui si contesta l’omessa esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n.5, cod. pen., la mancata disapplicazione della recidiva, nonché, infine, l’assenza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non è consentito in questa sede, perché reiterativo di doglianze già sottoposte all’attenzione dei giudici di secondo grado, e da questi congruamente esaminate;
che, invero, la suddetta doglianza, da un lato, è priva di specificità, perchè riproduttiva di profili di censura già prospettati in appello e adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte territoriale con congrue e logiche argomentazioni (si vedano le pagg. 4 e 5 della impugnata sentenza, là dove è sottolineata l’inidoneità degli assunti difensivi a scalfire il significativo quadro probatorio, composto dalla documentazione bancaria e telefonica in atti, dal contenuto delle deposizioni testimoniali, oltre che dalle dichiarazioni della persona offesa acquisite ex art. 512 cod. proc. pen.); e dall’altro lato, esponendo mere doglianze in punto di fatto, risulta tesa a prospettare un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, nonché un diverso giudizio di rilevanza delle fonti di prova, stante invece la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260); Corte di Cassazione – copia non ufficiale che, infatti – come emerge da pag. 5 dell’impugnata sentenza – la Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi consolidati nell giurisprudenza di legittimità, ha congruamente indicato le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali deve confermarsi la corretta statuizione del giudice di primo grado in ordine alla ritenuta a sussistenza nel caso di specie dei presupposti
per l’applicazione tanto dell’aggravante della minorata difesa quanto della recidiva semplice, dovendosi, peraltro, rilevare la genericità dei motivi di appello sul punto;
che, inoltre, con particolare riferimento alla doglianza relativa all’omessa motivazione sulla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, deve evidenziarsi come essa risulti anche manifestamente infondata, a fronte di una mancata specifica richiesta nei motivi di appello (come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato a pag. 3 della sentenza impugnata);
osservato che il primo motivo del ricorso presentato dal difensore della COGNOME con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito erroneamente fondato la propria decisione di penale responsabilità, ai sensi degli artt. 110-640 cod. pen., sulla querela sporta dalla persona offesa acquisita ex art. 512 cod. proc. pen., a seguito della dichiarazione di irreperibilità della stessa, senza procedere ad adeguate ricerche, non è formulato in termini consentiti in questa sede, oltre che manifestamente infondato, in quanto (come emerge dalle pag.5 e 6 della impugnata sentenza) la Corte territoriale, oltre ad aver adeguatamente dato conto di come la l’ordinanza di acquisizione della suddetta querela da parte del primo giudice sia stata correttamente emessa solo a seguito di «più che esaustivi, sufficienti e ben apprezzabili tentativi di rintracciamento», ha poi anche congruamente indicato le altre logiche ragioni di fatto e di diritto per cui debba ritenersi pienamente integrato dall’odierna ricorrente il concorso nel reato ascrittole, conformemente ai principi affermati da questa Corte (cfr. Sez. 7, ord. n. 24562 del 18/4/2023, Montebello), essendo la predetta risultata, dagli accertamenti svolti sulla documentazione bancaria in atti, l’intestataria del conto corrente su cui confluì la somma pagata dalla persona offesa, poi trasferita sul conto dell’altro coimputato;
considerato che, infine, anche l’ultimo motivo del ricorso avanzato nell’interesse dell’odierna ricorrente, con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per non avere i giudici di merito, nel giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche e l’aggravante della minorata difesa, ritenuto le prime prevalenti sulla seconda, è reiterativo di una censura già avanzata dinanzi ai giudici di appello e da questi disattesa con congrue e non illogiche argomentazioni, dovendosi sul punto ribadire che il giudizio di bilanciamento circostanze di segno opposto, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità, qualora – come nel caso di specie – non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 17/12/2024.