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Ricorso inammissibile: Cassazione e limiti del giudizio

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati, condannati in appello per favoreggiamento con l’aggravante mafiosa. La Corte ha stabilito che un ricorso inammissibile si configura quando i motivi sono generici, si limitano a riproporre le stesse censure dell’appello o chiedono una nuova valutazione delle prove, compito che non spetta al giudice di legittimità. Di conseguenza, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione Spiega i Limiti del Giudizio

Quando ci si rivolge alla Corte di Cassazione, è fondamentale comprendere la natura e i limiti del suo giudizio. Un’ordinanza recente ha ribadito un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso inammissibile è quello che non si confronta con la decisione impugnata ma chiede un’impossibile rivalutazione dei fatti. Analizziamo questa decisione per capire perché la specificità e la pertinenza dei motivi sono essenziali.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dalla condanna di due individui da parte della Corte d’Appello per il reato di favoreggiamento personale, aggravato dal cosiddetto ‘metodo mafioso’ ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p. Gli imputati, ritenendo ingiusta la sentenza di secondo grado, hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni relative sia alla loro responsabilità penale, inclusi gli aspetti di concorso nel reato, sia alla sussistenza dell’aggravante e all’entità della pena inflitta.

Analisi del ricorso inammissibile da parte della Corte

La Suprema Corte ha esaminato i ricorsi di entrambi gli imputati, giungendo alla medesima conclusione per tutti i motivi proposti: l’inammissibilità. La decisione si fonda su una distinzione cruciale: il ruolo della Corte di Cassazione non è quello di un terzo grado di giudizio nel merito, ma di un giudice di legittimità. Ciò significa che la sua funzione è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata, non riesaminare le prove e i fatti.

I motivi generici e ripropositivi

Per il primo ricorrente, i primi tre motivi sono stati considerati un tentativo di ottenere una ‘valutazione alternativa delle fonti di prova’, già adeguatamente vagliate dalla Corte d’Appello con argomenti corretti e privi di vizi logici. Il quarto motivo, relativo all’aggravante, è stato giudicato ‘meramente ripropositivo’ delle censure già svolte in appello, senza un reale confronto con le argomentazioni dei giudici di secondo grado. Anche per il secondo ricorrente, i motivi sulla responsabilità e sull’aggravante sono stati ritenuti privi di specificità e riproduttivi di censure già disattese.

La questione della dosimetria della pena

Interessante è anche il rigetto del motivo relativo all’eccessività della sanzione. La Corte ha osservato che il ricorso non si confrontava con la ‘puntuale esposizione dei criteri adottati dai giudici di appello’, i quali avevano fornito una motivazione dettagliata sulla commisurazione della pena, escludendo persino la rilevanza della recidiva. Un ricorso inammissibile si manifesta anche in questo ambito quando non attacca specificamente il ragionamento del giudice ma si limita a una generica lamentela.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si basa sul principio consolidato secondo cui il ricorso per cassazione deve essere specifico e pertinente. Non è sufficiente esprimere un dissenso generico rispetto alla decisione impugnata. È necessario individuare con precisione gli errori di diritto o i vizi logici manifesti nella motivazione del provvedimento. Chiedere alla Cassazione di riconsiderare il peso di una testimonianza o di interpretare diversamente un fatto equivale a snaturare la sua funzione.

La Corte ha rilevato che le argomentazioni della Corte d’Appello erano ‘lineari e conformi alla giurisprudenza di legittimità’, ‘prive di fratture logiche’ e basate su ‘corretti e non illogici argomenti’. Di fronte a una motivazione così solida, i ricorsi si sono rivelati meri tentativi di ottenere un nuovo giudizio di merito, configurandosi così come un classico caso di ricorso inammissibile.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: l’accesso alla Corte di Cassazione è riservato a censure precise e qualificate. Un ricorso, per essere ammissibile, deve dialogare criticamente con la sentenza che intende impugnare, evidenziandone le specifiche lacune giuridiche o logiche. Riproporre le stesse argomentazioni dell’appello o chiedere una diversa lettura dei fatti porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione riafferma la necessità di un approccio tecnico e rigoroso nella redazione degli atti destinati al giudizio di legittimità.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è dichiarato inammissibile quando i motivi sono generici, si limitano a chiedere una valutazione alternativa delle prove, o ripropongono le stesse censure già presentate in appello senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata.

Cosa significa che un motivo di ricorso è “meramente ripropositivo”?
Significa che il ricorrente si limita a ripetere le stesse argomentazioni già presentate e respinte dal giudice del grado precedente (in questo caso, la Corte d’Appello), senza spiegare perché la motivazione di quel giudice sarebbe errata in diritto o manifestamente illogica.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, come in questo caso, di una somma di denaro (tremila euro per ciascuno) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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