Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 46835 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 46835 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Pinerolo il 08/10/1948 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia;
avverso la sentenza del 17/03/2023 della Corte di appello di Genova, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli art 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso, richiamandosi alla memoria scritta già depositata;
udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 4/11/2021 dal Tribunale di Imperia, confermava il giudizio responsabilità nei confronti di COGNOME per i delitti di usura aggravata ed estorsione in danno di COGNOME NOME costituito parte civile, le relative statuizioni risarcitorie nei confronti di quest’ultimo ed in punto di confisca riduceva la pena inflitta ad anni cinque mesi sei di reclusione ed euro 8.500,00 di multa.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione perché illogica e contradditoria in ordine alla dichiarazione di responsabilità per il delitto di usur contestato al capo A) di imputazione.
La Corte territoriale ha individuato l’origine del rapporto usurario in contestazione nella circostanza che l’imputato aveva affidato a COGNOME, persona offesa, una somma di 30.000,00 euro, utilizzata da quest’ultimo per far fronte ai propri debiti, così travisando parzialmente la testimonianza dibattimentale dello stesso COGNOME il quale – in conformità alle dichiarazioni spontanee rese da COGNOME– aveva prospettato come tale somma non rappresentava un prestito, ma l’affidamento di denaro a fini di investimento per ricavarne degli utili.
Lo stesso giudice di secondo grado ha dato conto, senza tuttavia superarlo, dell’evidente contrasto tra quanto dichiarato dai testi COGNOME e COGNOME (indicati come riscontro al portato dichiarativo della persona offesa, ritenuta pertanto attendibile) e gli accertamenti bancari e postali compendiati nella annotazione di polizia giudiziaria (acquisita in dibattimento con il consenso delle parti).
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione perché manifestamente illogica in ordine alla dichiarazione di responsabilità per il delitto di estorsione contestato al capo B) di imputazione.
La Corte di appello – in aderenza a quanto ritenuto dal giudice di primo gradoha fondato il giudizio di responsabilità per tale reato sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa ritenute attendibili perché riscontrate dalle deposizioni dei testimoni COGNOME ed COGNOME che, tuttavia, non hanno riferito di avere assistito a minacce proferite dall’imputato nei confronti di COGNOME, in particolare COGNOME
(ammesso che fosse effettivamente presente alla telefonata intercorsa tra COGNOME e la persona offesa e valorizzata dai giudici di merito) ha narrato di frasi intimidatorie pronunciate dalla compagna dell’imputato.
La sentenza impugnata, sulla scorta di tali testimonianze, ha affermato che ragionevolmente COGNOME, a causa delle minacce ricevute, non era riuscito a sottrarsi alle richieste usurarie, trattasi tuttavia di un giudizio formulato non termini di certezza che non soddisfa l’onere motivazionale imposto dal canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
La Corte di appello incorre anche in altro errore di valutazione laddove ha affermato che la credibilità del racconto della persona offesa troverebbe sostegno anche negli accertamenti compendiati nella annotazione di polizia giudiziaria del 25 agosto 2014 dove vi è traccia di movimentazioni bancarie da parte di soggetti rumeni legati all’imputato, salvo poi dar conto che era impossibile verificare se il denaro movimentato da uno di questi fosse riconducibile alle condotte usurarie contestate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.
In primo luogo perché meramente reiterativo di doglianze già dedotte in appello e motivatamente disattese dal giudice di secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli specifici argomenti spesi nel provvedimento impugnato e limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione, per certi versi anche sotto il profilo del travisamento probatorio.
In secondo luogo perché nella sostanza volto a sollecitare in questa sede una rivisitazione di profili attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento d materiale probatorio, così tentando di sottoporre a questa Corte un nuovo giudizio di merito, in particolare una rivisitazione della attendibilità delle dichiarazioni res dalla persona offesa.
Come è noto, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa ripetizione di quelli già proposti nel giudizio di secondo grado e motivatamente non accolti, dovendo gli stessi considerarsi non specifici e soltanto apparenti, in quanto non connotati da critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione (cfr. Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, p.m. in proc. Candita, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME Rv. 231708; Sez. 5, n.
25559 del 15/06/2012, COGNOME; Sez. 3 n. 44882 del 10/07/2014, COGNOME, Rv. 260608; Sez. 2 n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2 n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710). In altri termini, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata una critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello atteso che il dedotto vizio di motivazione deve avere come punto di riferimento non il fatto in sé, ma il costrutto logico argonnentativo della sentenza di secondo grado; in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta.
2.1. E’ altrettanto noto che non rientra nei poteri del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell’impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 e, successivamente, Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, COGNOME ed altri, Rv.255542; Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016, COGNOME più altri, non mass.; Sez. 4 n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601). L’accertamento di fatto è riservato al giudice della cognizione, sicchè le censure di merito agli apprezzamenti singoli e complessi sul materiale probatorio costituiscono motivi diversi da quelli consentiti (art. 605, comma 3, cod. proc. pen.).
Inammissibili sono pertanto tutte le doglianze che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove e che evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti della attendibilità, della credibilità e dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME ed altri, Rv.262575; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623; Sez. 4 n. 10153 dell’11/02/2020, C., Rv.278609). Allorquando il giudice di merito ha espresso il proprio apprezzamento, la ricostruzione del fatto è definita e le sole censure possibili nel giudizio d legittimità sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall’art. 606, comma 1, le e) cod. proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura laddove, in particolare, l’illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio di legittimità, deve essere manifesta, cioè sorretta da palesi errori nella applicazione delle regole della logica.
Fatte queste premesse, rese necessarie dalla tipologia delle censure difensive, è manifestamente infondato il primo motivo di ricorso con il quale si deduce vizio di motivazione (sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà) co riferimento alla conferma del giudizio di responsabilità dell’imputato per il delitto di usura, contestato al capo a) di imputazione.
3.1. Il ricorrente deduce che la Corte di appello avrebbe travisato la testimonianza di NOME COGNOME nella parte in cui questi aveva prospettato che la somma di 30.000,00 euro ricevuta dall’imputato non era stato un prestito per fare fronte ai propri debiti, bensì un affidamento di denaro da parte del COGNOME affinchè egli lo investisse e procurasse utili a quest’ultimo.
Trattasi di censura generica.
Al ricorso non è allegato il verbale integrale delle dichiarazioni rese dal testimone, così da consentire l’apprezzamento del loro contenuto complessivo e verificare l’eventuale errore “sul significante” nel quale sarebbe caduti i giudici di secondo grado (non sul “significato”, atteso il divieto di rilettura e di r interpretazione nel merito dell’elemento di prova). Il ricorrente ha infatti compiegato semplicemente un estratto della testimonianza resa da COGNOME, composto di tre fogli (le pagine 12-38 e 41) a fronte di un portato dichiarativo che occupa ben 48 pagine di trascrizione stenotipica, come si evince dall’indice analitico progressivo dello stesso, in tal modo “scegliendo” solo la parte di deposizione di suo interesse.
Va ricordato il consolidato orientamento di legittimità, che qui si ribadisce, secondo cui sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2024, COGNOME, Rv. 263601; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2025, COGNOME, Rv. 265053; Sez. 2, n. 20677 del 11/0/ 2017, COGNOME, RV 270071).
In ogni caso, il ricorrente non ha argomentato in alcun modo in ordine alla decisività del dedotto travisamento e cioè come esso, ove effettivo, abbia concretamente inciso sulla tenuta logica della motivazione.
3.2. La Corte territoriale ha ripercorso la complessiva ricostruzione dei fatti resa da NOME COGNOME il quale aveva dichiarato che COGNOME gli aveva in effeIti inizialmente affidato la somma di euro 43.000,00 per evitare controlli a suo carico e che parte della stessa (pari ad euro 30.000,00) era poi rimasta nella sua disponibilità (da lui utilizzata per ristrutturare la propria casa danneggiata da un incendio) con l’accordo che la stessa fruttasse all’imputato nella misura di 1000,00 euro al mese; che egli aveva quindi dato corso; dal 2004 al 2008, al versamento mensile di tale importo, anche ricorrendo all’aiuto della moglie, della cugina, delle
persone con cui lavorava e di conoscenti, fino a quando l’imputato nell’aprile del 2008 aveva preteso la restituzione dell’intero capitale; che, a fronte di tale richiesta aveva quindi corrisposto la somma di 20.000,00 che COGNOME, tuttavia, aveva imputato per 10.000,00 euro a capitale e per i restanti 10.000,00 euro a a spese ed interessi.
Di qui la conclusione, tutt’altro che manifestamente illogica, tratta dalla Corte territoriale secondo cui, alla luce della evoluzione della vicenda come spiegata da COGNOME ed inizialmente nata come una semplice presa in custodia di denaro a titolo di prestanome, l’affidamento della somma di 30.000,00 euro era stato, in realtà, un prestito con interessi di natura usuraria (pag 14 della sentenza impugnata).
3.3. I giudici di secondo grado hanno affrontato e vagliato il profilo della attendibilità di tale portato dichiarativo (pagg. da 14 a 17) dando conto dei dettagliati contenuti intrinseci dello stesso (a fronte di una versione alternativa contradditoria offerta dall’imputato), corroborati dai testimoni COGNOME e COGNOME nonché da quanto emerso dagli accertamenti bancari e postali effettuati dalla polizia giudiziaria.
In risposta alle censure sviluppate nell’atto di appello secondo cui le deposizioni valorizzate come riscontri non erano credibili (doglianza qui riproposta senza, tuttavia, confrontarsi con il costrutto sviluppato nelle pagg. 15 e 16 della sentenza impugnata), la Corte territoriale ha argomentato in modo non manifestamente illogico, osservando che, pur non essendovi perfetta corrispondenza tra la ricostruzione dei testi (i quali avevano riferito della elargizione di denaro a COGNOME, in più occasioni, per aiutarlo a pagare i mille euro al mese pretesi dall’imputato) e gli accertamenti della polizia giudiziaria, questi ultimi documentavano comunque corresponsioni di tal fatta e l’adoperarsi in favore della persona offesa, sicchè le testimonianze costituivano una affidabile conferma esterna alla attendibilità del racconto di COGNOME.
La valenza confermativa dei riscontri ad una fonte dichiarativa costituisce oggetto di una valutazione in fatto, che sfugge al sindacato di legittimità, sempre che il giudice, come avvenuto nel caso di specie, abbia dato conto con motivazione congrua e completa del proprio apprezzamento.
La pronuncia impugnata contiene dunque un autonomo e corretto vaglio della testimonianza offerta dalla persona offesa sul piano della contesta condotta usuraria ad opera dell’imputato, senza incorrere in alcuna manifesta contraddizione ed anzi applicando correttamente il principio ampiamente consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata cla
idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e della attendibilità intrinseca del suo racconto, non essendo richiesta la presenza di riscontri ( che nella specie sono stati comunque specificamente individuati e valutati), da ritenersi opportuni, anche se comunque non necessari, nel caso in cui questa si sia costituita parte civile e che, in ogni caso, non debbono assistere ogni segmento della narrazione in quanto la loro funzione è quella di asseverare la credibilità soggettiva, così come non debbono riguardare ogni aspetto oggettivo e soggettivo della vicenda ma piuttosto apparire idonei a sorreggere la ragionevole convinzione che il dichiarante non abbia mentito (Sez. U n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte Rv. 253214; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv.265104; Sez. 5 n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312).
Ad analoghe conclusioni di manifesta infondatezza si perviene in relazione al secondo motivo di ricorso con il quale è dedotta la manifesta illogicità dela motivazione anche con riferimento alla conferma del giudizio di responsabilità per il delitto di estorsione, contestato al capo B) di imputazione.
Tale doglianza attinge, ancora una volta, la valutazione della attendibilità della testimonianza resa da NOME COGNOME, sia pure in relazione al diverso profilo delle minacce a cui era ricorso l’imputato per ottenere il pagamento degli interessi usurari.
La Corte di appello (pagg. da 17 a 20) ha evidenziato che anche tale parte cel racconto reso dalla persona offesa era corroborata dai testimoni COGNOMEche aveva riferito di avere appreso delle intimidazioni dallo stesso COGNOME), COGNOME (la quale aveva dichiarato di avere assistito ad una telefonata intercorsa tra COGNOME e l’imputato ove quest’ultimo, su suggerimento della propria compagna, aveva prospettato al primo gravi conseguenze per il figlio, in caso di mancato pagamento degli interessi in scadenza) ed COGNOME (che aveva descritto il provato stato psicologico di COGNOME, circostanza compatibile con le descritte intimidazioni).
I giudici di secondo hanno poi specificamente confutato le censure difensive sviluppate nell’atto di appello secondo cui tali deposizioni, anche con riferimento al versante delle condotte estorsive, non erano credibili.
Con ulteriore argomentazione non manifestamente illogica hanno evidenziato che l’ulteriore assunto della persona offesa – secondo cui l’imputato ad un certo punto gli aveva anche detto che se non avesse pagato se la sarebbe vista “con i rumeni” che avrebbero fatto ” quello che dovevano” – trovava, a sua volta, conferma, sia pure indiretta, negli accertamenti bancari effettuati dalla polizia giudiziaria ove risultava traccia di movimentazioni bancarie da parte di soggetti rumeni in rapporto con l’imputato.
Alla inammissibilità dei ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputata al pagamento delle spese processuali e, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000 n. 186), al versamento della somma di euro tremila ciascuno a favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che l’impugnazione è stata esperita per ragioni manifestamente infondate.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende Così deciso il 24/10/2024