Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Non Può Riesaminare i Fatti
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del nostro sistema giudiziario: il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare le prove. Quando un ricorso si limita a contestare la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, senza individuare vizi logici o giuridici, il risultato è un ricorso inammissibile. Questo caso, relativo a un’accusa di occupazione abusiva di un immobile, offre un chiaro esempio di quali siano i limiti dell’appello in sede di legittimità.
I fatti del caso: l’occupazione dell’appartamento adiacente
La vicenda giudiziaria ha origine dalla presunta occupazione illegale di un appartamento. L’imputato, legittimo assegnatario e residente di un’unità immobiliare (interno n.8), veniva accusato di aver occupato abusivamente l’appartamento confinante (interno n.9). L’occupazione sarebbe avvenuta mediante lavori di ristrutturazione, tra cui lo sfondamento di un tramezzo che collegava le due proprietà.
La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su una serie di elementi indiziari:
* La vicinanza fisica dell’imputato, che abitava nell’appartamento adiacente.
* Le ammissioni dello stesso imputato, che aveva dichiarato di essere entrato nell’appartamento n.9, sebbene sostenesse di averlo fatto solo per pulirlo.
* Lo stato dei luoghi: l’appartamento occupato era stato svuotato di tutti i mobili, una circostanza incompatibile con una semplice pulizia e chiaramente finalizzata a consentire lavori edili.
* Il fatto che l’imputato fosse l’unico beneficiario dell’operazione di sfondamento e ampliamento, senza aver fornito spiegazioni alternative credibili su chi altri avrebbe potuto eseguire i lavori.
Sulla base di questi elementi, i giudici di merito avevano concluso per la sua responsabilità penale.
I motivi del ricorso e il principio del ricorso inammissibile
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali. In primo luogo, ha contestato l’errata applicazione delle norme sulla valutazione degli indizi (art. 192 cod. proc. pen.), sostenendo che gli elementi raccolti non fossero sufficienti a fondare una condanna. In secondo luogo, ha lamentato una violazione della legge penale (art. 633 cod. pen.), affermando che non vi fossero prove di una sua effettiva invasione o occupazione, come la sua presenza fisica al momento del controllo o l’attivazione di utenze a suo nome.
La Corte di Cassazione ha ritenuto entrambi i motivi manifestamente infondati, definendo il ricorso come una ‘pedissequa reiterazione’ di argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. La difesa, infatti, non stava evidenziando un errore di diritto o un vizio logico manifesto nella sentenza impugnata, ma stava tentando di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti. Questo tipo di richiesta esula completamente dai poteri della Corte di Cassazione, rendendo il ricorso inammissibile.
Le motivazioni
La Suprema Corte ha chiarito che il suo compito è quello di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza, non di sostituire la propria valutazione delle prove a quella del giudice di merito. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta, spiegando in modo esauriente perché gli indizi a carico dell’imputato fossero gravi, precisi e concordanti.
I giudici di legittimità hanno sottolineato che non è consentito, in sede di Cassazione, effettuare una ‘rilettura’ degli elementi di fatto. La valutazione delle prove è riservata in via esclusiva al giudice di merito. Tentare di accreditare una ricostruzione dei fatti alternativa a quella sostenuta nella sentenza impugnata si traduce inevitabilmente in un ricorso inammissibile.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma un principio consolidato: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Non si possono introdurre nuove interpretazioni delle prove o contestare la ricostruzione dei fatti se la motivazione della sentenza d’appello è logica e priva di vizi giuridici. La conseguenza per il ricorrente è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende. Questo caso serve da monito sulla necessità di formulare i ricorsi per Cassazione concentrandosi esclusivamente su questioni di diritto e non su contestazioni fattuali.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, invece di contestare errori di diritto o vizi logici nella motivazione della sentenza precedente, l’imputato ha chiesto alla Corte di Cassazione di riesaminare e rivalutare le prove e i fatti, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (primo grado e appello).
Quali prove hanno portato alla condanna per occupazione abusiva?
La condanna si è basata su una serie di indizi: l’imputato era il vicino di casa, ha ammesso di essere entrato nell’appartamento, l’immobile era stato svuotato dei mobili per lavori incompatibili con una semplice pulizia, ed egli era l’unico a beneficiare dell’ampliamento derivante dallo sfondamento del muro, senza aver fornito spiegazioni alternative.
È possibile chiedere alla Cassazione di riconsiderare come sono state interpretate le prove?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione giudica solo la legittimità, cioè la corretta applicazione delle leggi e la coerenza logica della motivazione. Un ricorso che si limita a proporre una diversa interpretazione delle prove, già valutate dal giudice di merito, è destinato ad essere dichiarato inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8180 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8180 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TIVOLI il 26/12/1968
avverso la sentenza del 03/06/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che con il primo motivo di ricorso la difesa dell’imputato deduce l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. ritenendo che vi è stata una non corretta applicazione degli elementi indiziari posti a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui agli artt. 110, 63 e 639-bis cod. pen.
che detto motivo di ricorso è indeducibile perché fondato su motivi, implicanti accertamenti di fatto, che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito nella parte in cui evidenzia che: a)l’imputato era assegnatario e abitante al momento del sopralluogo dell’appartamento sito all’interno n.8, attiguo a quello dell’interno n.9, occupato abusivamente; b)l’occupazione di tale immobile è abusiva atteso che erano in atto lavori di ristrutturazione non riferibili al precedente assegnatario deceduto e un tramezzo risultava sfondato; c) la riferibilità dell’occupazione all’imputato si basa sulle ammissioni dello stesso circa la sua introduzione nell’appartamento, asseritamente per pulirlo, laddove l’abitazione è risultata in realtà essere stata spogliata di tutti i mobili al fine di dare corso ai lavori; d) l’imputato, unico benefic delle operazioni di sfondamento dell’apertura nell’immobile, non ha indicato alcuna ipotesi alternativa circa la riferibilità dei lavori in atto a soggetti diversi;
considerato poi che con il secondo motivo di ricorso la difesa dell’imputato ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen. rilevando che il COGNOME non era presente all’interno dell’immobile asseritamente oggetto di occupazione e non vi erano altri elementi (es. utenze attive) tali da portare a ritenere che vi fosse una invasione od una occupazione in atto dell’immobile;
che detto motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 4);
che esule, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 febbraio 2025.