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Ricorso inammissibile: Cassazione e discrezionalità

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da due individui condannati per spaccio di stupefacenti. La decisione si fonda sulla rinuncia a uno dei motivi di appello in sede precedente e sul corretto esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione della pena, ritenuto non arbitrario né illogico.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Conferma la Decisione del Giudice

La presentazione di un ricorso in Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio, ma non sempre la Corte entra nel merito delle questioni sollevate. Un ricorso inammissibile è un esito che blocca l’analisi della vicenda, spesso per ragioni procedurali precise. Una recente sentenza della Suprema Corte chiarisce i limiti dell’appello, in particolare quando si discute della discrezionalità del giudice e delle scelte difensive compiute nei gradi precedenti.

I Fatti del Caso: Condanna per Spaccio e Appello in Cassazione

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di due soggetti da parte del Tribunale per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, nello specifico hashish e marijuana. La Corte d’Appello, successivamente adita, aveva parzialmente riformato la sentenza, rideterminando la pena solo per uno degli imputati, ma confermando nel resto la condanna.

Contro questa decisione, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: la mancata derubricazione del reato nell’ipotesi più lieve (prevista dal comma 5 dell’art. 73 del DPR 309/1990) e vizi nella motivazione riguardo al bilanciamento delle circostanze e al trattamento sanzionatorio complessivo.

I Motivi del Ricorso Inammissibile

I ricorrenti hanno basato il loro appello su una presunta violazione di legge e sull’illogicità della motivazione della Corte d’Appello. Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per ragioni dirimenti che toccano aspetti fondamentali della procedura penale e dei poteri del giudice di merito.

La Rinuncia Preclude la Riproposizione del Motivo

Il primo punto cruciale evidenziato dalla Cassazione riguarda la richiesta di derubricazione del reato. La Corte ha osservato che gli stessi imputati, nel precedente grado di giudizio, avevano rinunciato a tale motivo, concentrando le loro richieste unicamente sulla rideterminazione della pena. Questa scelta processuale ha un effetto preclusivo: un motivo a cui si è rinunciato in appello non può essere riproposto validamente in sede di legittimità. Di conseguenza, la doglianza su questo punto è stata immediatamente dichiarata inammissibile.

I Limiti al Sindacato sulla Discrezionalità del Giudice

Il secondo motivo di ricorso riguardava la determinazione della pena e il bilanciamento delle circostanze attenuanti. Anche su questo fronte, la Cassazione ha respinto le argomentazioni difensive. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la valutazione degli elementi per la concessione delle attenuanti generiche e la dosimetria della pena rientrano nel potere eminentemente discrezionale del giudice di merito.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha affermato che il suo sindacato su tali aspetti è limitato ai soli casi di motivazione manifestamente illogica, contraddittoria o basata su un mero arbitrio. Nel caso di specie, la motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata ‘esistente, sufficiente, congrua, esente da vizi logico giuridici ed idonea a dare conto del decisum’.

Citando precedenti pronunce, inclusa una delle Sezioni Unite, la Corte ha sottolineato che non è richiesta una motivazione analitica per ogni singolo elemento valutato. È sufficiente che dal complesso della decisione emerga che il giudice ha esercitato il suo potere con equità e proporzione. La motivazione può essere anche ‘implicita’ o espressa con formule sintetiche, purché non si traduca in un puro arbitrio. Poiché la pena inflitta era contenuta nella ‘media edittale’, non vi erano ragioni per censurare la decisione impugnata.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. Tale declaratoria ha comportato la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. La decisione riafferma due principi fondamentali: le scelte processuali, come la rinuncia a un motivo, hanno conseguenze definitive, e il potere discrezionale del giudice di merito nella commisurazione della pena è sindacabile in Cassazione solo in presenza di vizi gravi e palesi, non per un semplice dissenso sulla valutazione effettuata.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni principali: in primo luogo, perché gli imputati avevano rinunciato al motivo relativo alla derubricazione del reato nel precedente grado di giudizio, precludendosi la possibilità di riproporlo. In secondo luogo, perché le critiche sulla determinazione della pena non evidenziavano un vizio di illogicità o arbitrarietà, ma si limitavano a contestare l’esercizio del potere discrezionale del giudice, che la Corte ha ritenuto legittimo.

Cosa significa che la motivazione del giudice sulla pena può essere ‘implicita’?
Secondo la sentenza, significa che il giudice non è tenuto a fornire una spiegazione dettagliata per ogni singola scelta nella determinazione della pena. È sufficiente che la motivazione, nel suo complesso, dimostri che il potere discrezionale è stato esercitato con un senso di equità e proporzione, senza essere arbitrario. La logica della decisione può desumersi dal contesto generale della sentenza.

Qual è la conseguenza pratica di un ricorso dichiarato inammissibile?
La conseguenza è che la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, come stabilito nel caso di specie, i ricorrenti vengono condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma pecuniaria, in questo caso 3.000 euro ciascuno, in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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