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Ricorso inammissibile: Cassazione e art. 337 c.p.

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato contro una sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro. L’imputata era stata condannata per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.). La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano una mera ripetizione di argomentazioni già respinte dai giudici di merito e non consentiti in sede di legittimità. La contestazione sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. è stata ritenuta solo nominale. Di conseguenza, l’imputata è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Quando un Ricorso in Cassazione è Inammissibile? Analisi di un Caso di Resistenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha fornito un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità, dichiarando un ricorso inammissibile presentato da un’imputata condannata per resistenza a pubblico ufficiale. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale: la Cassazione non è un terzo grado di merito dove si possono ridiscutere i fatti, ma una sede dove si valuta esclusivamente la corretta applicazione della legge.

I Fatti alla Base della Decisione

L’Accusa di Resistenza a Pubblico Ufficiale

Il caso trae origine da una condanna per il reato previsto dall’art. 337 del codice penale, ovvero resistenza a un pubblico ufficiale. L’imputata, secondo quanto accertato nei gradi di merito, si era opposta con violenza o minaccia a un ufficiale durante l’esercizio delle sue funzioni. La difesa aveva contestato la ricostruzione dei fatti e la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Il Percorso Giudiziario fino alla Cassazione

Dopo la condanna in primo grado, la sentenza era stata confermata dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputata ha proposto ricorso per Cassazione, tentando di far valere le proprie ragioni davanti alla Suprema Corte. I motivi del ricorso si concentravano sulla contestazione del giudizio di responsabilità e, solo formalmente, sulla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).

La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato l’istanza, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda sulla natura stessa del giudizio di legittimità. I giudici hanno osservato che i motivi presentati non erano consentiti in questa sede, in quanto miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, già ampiamente esaminati e decisi nei precedenti gradi di giudizio.

I Limiti del Giudizio di Legittimità

La Corte ha ribadito che il suo compito non è quello di stabilire ‘come sono andate le cose’, ma di verificare se i giudici di merito abbiano applicato correttamente le norme giuridiche e se le loro motivazioni siano logiche e prive di vizi evidenti. Nel caso di specie, le argomentazioni della ricorrente sono state ritenute una semplice riproposizione di censure già vagliate e respinte, supportate da argomenti giuridicamente corretti e coerenti con le prove raccolte.

La Contestazione ‘Nominale’ dell’Art. 131-bis c.p.

Un punto interessante della decisione riguarda l’art. 131-bis c.p. La difesa aveva lamentato la sua mancata applicazione. Tuttavia, la Corte ha definito questa contestazione ‘solo nominalmente’, suggerendo che fosse un pretesto formale per introdurre una più ampia critica alla ricostruzione fattuale, attività preclusa in sede di legittimità.

Le Motivazioni Giuridiche della Cassazione

Le motivazioni della Suprema Corte si basano su un principio cardine del nostro sistema processuale: la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Il ricorso è stato considerato inammissibile perché, invece di denunciare vizi di legge (come un’errata interpretazione di una norma) o vizi logici manifesti nella motivazione della sentenza impugnata, si è limitato a contestare l’apprezzamento delle prove e la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello.

I giudici hanno specificato che i motivi proposti ‘replicano profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dai giudici del merito’. Questo significa che non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione come un ‘terzo appello’ per tentare di convincere un nuovo giudice della propria versione dei fatti. La Corte ha ritenuto le motivazioni della sentenza d’appello ‘giuridicamente corrette, puntuali’ e ‘immuni da manifeste incongruenze logiche’.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La dichiarazione di inammissibilità ha comportato conseguenze economiche dirette per la ricorrente. In base all’art. 616 del codice di procedura penale, è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Questa ordinanza serve da monito: un ricorso per Cassazione deve essere fondato su motivi di diritto specifici e non può essere una mera riproposizione delle difese di merito. Per avere una possibilità di successo, è essenziale individuare e argomentare in modo rigoroso eventuali errori nell’applicazione della legge o palesi contraddizioni nel ragionamento dei giudici che hanno emesso la sentenza impugnata.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati non erano consentiti dalla legge in sede di legittimità. L’imputata, infatti, stava riproponendo questioni di fatto già adeguatamente valutate e respinte dai giudici di merito, anziché sollevare vizi di legittimità sulla corretta applicazione della legge.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile in Cassazione?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo specifico caso, la somma è stata fissata in tremila euro.

L’imputata ha contestato la mancata applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’ (art. 131-bis c.p.)?
Sì, la ricorrente ha contestato la mancata applicazione di tale norma, ma la Corte ha ritenuto che questa censura fosse sollevata ‘solo nominalmente’. Ciò implica che l’argomento è stato considerato un pretesto formale per tentare di ottenere una nuova valutazione dei fatti, piuttosto che una vera e propria contestazione giuridica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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