Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2374 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2374 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME COGNOME nato a Melito Porto Salvo il 14/03/1969 COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 16/11/1983 avverso la sentenza del 05/06/2023 della Corte di appello di Reggio Calabria; anche nei confronti della Città Metropolitana di Reggio Calabria (parte civile) visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore g eneral NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso proposto dallo COGNOME, nonché il ri g etto del ricorso proposto dal COGNOME; udito, per la parte civile, l’avv. COGNOME in sostituzione dell’avv.to NOME COGNOME che ha depositato conclusioni scritte; uditi l’avv. NOME COGNOME COGNOME per NOMECOGNOME e l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 luglio 2022, il Gup del Tribunale di Reggio Calabria per la parte che qui interessa – ha riconosciuto la penale responsabilità degli odierni imputati, per i reati meglio specificati ai seguenti capi di imputazione:
Scordo NOME, per il delitto previsto dagli artt. 56, 81, 99, primo e secondo comma, n. 1) e 5), 110, 416-bis.1 e 629, secondo comma, cod. pen., in relazione all’art. 628, terzo comma, n. 3), cod. pen., per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con NOME NOME e altri, mediante minaccia – derivante dall’appartenenza alla ‘Ndrangheta, sottintendendo azioni ritorsive necessariamente conseguenti al caso di mancato pagamento di quanto oggetto di richiesta come contropartita per consentire di poter lavorare in cantiere – e con l’aggravante del metodo mafioso, compiuto atti idonei e diretti a costringere la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di NOME Francesco e, per essa, il suo titolare/amministratore legale e la moglie dello stesso, impiegata della società, a versare una imprecisata somma di denaro, appellata “un pensiero”, ai locali rappresentanti della criminalità organizzata della cosca Libri, al fine di procurarsi un ingiusto profitto con corrispondente danno per la persona offesa, non riuscendo nell’intento in quanto le persone offese non aderivano alle richieste estorsive e tentavano di sottrarsi ai continui tentativi di contatto;
NOME NOMECOGNOME per il reato previsto dagli artt. 99, primo comma, 378 e 416-bis.1 cod. pen., perché, in concorso con altri, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione – ossia la tentat estorsione in suo danno, contestata al capo A) – aiutava NOME NOME ad eludere le investigazioni degli operanti di polizia, con l’aggravante del metodo mafioso;
Scordo NOME, per il delitto di cui agli artt. 371-bis e 416-bis.1 cod. pen., perché, nel corso di un procedimento penale poi riunito con il precedente, richiesto dal Pubblico Ministero che lo stava sentendo a sommarie informazioni di rendere dichiarazioni ai fini delle indagini, le rendeva false, sempre con l’aggravante del metodo mafioso;
NOME COGNOME, per il delitto ex artt. 81 e 99, primo comma, cod. pen., e 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indicava, nelle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi pari ad eur 118.646,00 e Iva indetraibile pari ad euro 26.103,00, così evadendo imposte Irpef per complessivi euro 48.900,00.
1.1. Nello specifico, il Tribunale di Reggio Calabria – per quanto qui rileva ha condannato: COGNOME COGNOME – riconosciuta per entrambi i reati l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., applicato l’istituto della continuazione ed operat la riduzione per il rito – alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed alla mult di euro 5.333,00, nonché alle pene accessorie ex artt. 29 e 32 cod. pen. ed al risarcimento del danno patito dalle costituite parti civili con riferimento al capo A); NOME NOME – esclusa l’aggravante contestata per il reato di cui al capo G), riconosciuta la continuazione interna con riferimento alle medesime condotte, esclusa la recidiva ed operata la riduzione per il rito – alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, oltre pene accessorie ai sensi degli artt. 29 cod. pen. e 12 del d.lgs. n. 74 del 2000, con la confisca del profitto del reato di cui al capo G) dell’originaria imputazione, ovvero la confisca per equivalente di beni di cui l’imputato avesse avuto disponibilità per un valore corrispondente.
1.2. La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 5 giugno 2023, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto NOME NOME dal reato a lui ascritto al capo C) dell’imputazione e ha rideterminato le pene nella misura di anni due di reclusione – previa riqualificazione del reato di cui al capo A) nella fattispecie penale di cui all’art. 378 cod. pen, esclusa la contestata aggravante mafiosa ed applicata la già ritenuta continuazione – per NOME NOME, e nella misura di anni uno e mesi quattro di reclusione, relativamente al solo residuo reato di cui al capo G), per NOME, altresì concedendo, nei confronti di entrambi, il beneficio della sospensione condizionale della pena. Ha, infine, revocato sia le statuizioni civili disposte, sia le pene accessorie applicate a COGNOME Bruno e confermato nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza, NOME COGNOME tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1 Con un primo motivo di doglianza, il ricorrente, censurando la violazione dell’art. 270 cod. proc. pen., eccepisce l’inutilizzabilità, ai fini dell’accertamen della contestata violazione tributaria, delle captazioni dei colloqui telefonic intervenuti tra sua moglie e tale NOME.
A parere della difesa, le intercettazioni – che, lungi dall’essere considerate al solo scopo dell’iscrizione della notitia criminis, avrebbero avuto peso decisivo nel compendio probatorio relativo al capo G), non risultando, le indagini e l’analisi dei file, di per sé sole esaustive ai fini della prova di resistenza, rispetto al raggiungimento della certezza della prova – non avrebbero potuto essere utilizzate ai fini dell’accertamento del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, poic disposte nell’ambito di un diverso procedimento, nel quale il COGNOME era persona offesa per fatti estorsivi in suo danno.
2.2. Con un secondo motivo di impugnazione, si censurano la violazione di legge ed il connesso difetto di motivazione, in relazione agli artt. 2 del d.lgs. n. 7 del 2000 e 192 cod. proc. pen.
Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, sostiene il ricorrente che la prova dell’assenza dell’operazione economica sottesa alle fatture in contestazione non avrebbe potuto ricavarsi né dal mancato rinvenimento delle sedi o dalla cessazione, delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE né dalla convenienza economica delle operazioni, dall’assenza dei relativi documenti di trasporto o dalla circostanza che gli importi delle fatture emesse fossero inferiori ad euro 3.000,00, né, infine, dalla descrizione generica del materiale fornito.
Inoltre, si rappresenta che, nel 2018, il titolare della ditta Ascone sarebbe stato segnalato alla Guardia di finanza per il reato di cui all’art. 8 del d.lgs. n. del 2000: ciò che, dunque, presupporrebbe l’operatività della ditta medesima.
2.3. Con un terzo motivo di censura, si prospetta la violazione di legge ed il relativo vizio motivazionale, in ordine agli artt. 81 cod. pen. e 597 cod. proc. pen.
La Corte di appello, con motivazione carente sul punto, dopo aver rideterminato in diminuzione la pena in anni uno e mesi quattro di reclusione, avrebbe erroneamente omesso di ridurre l’aumento di sei mesi disposto per la continuazione dal giudice di primo grado, così incorrendo nella violazione dell’art. 597 cod. proc. pen.
Secondo la difesa, dunque, la pena avrebbe dovuto essere ridotta anche per il reato-satellite e, comunque, il mantenimento del medesimo quantum avrebbe dovuto essere adeguatamente motivato.
2.4. Con un ultimo motivo di gravame, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e dei connessi vizi della motivazione, per avere i giudici di secondo grado omesso di motivare adeguatamente in ordine al confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche e con riguardo alla commisurazione complessiva della pena in termini di calcolo dell’aumento per la continuazione, nonostante che si fosse notevolmente modificata l’imputazione per il tramite dell’assoluzione dal reato di favoreggiamento personale, originariamente aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen. – e che non fosse stato lui a concertare, nelle pur inutilizzabili intercettazioni, le forniture e le relative fat
Avverso la sentenza, anche COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, censurando, con un unico motivo di doglianza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, relativamente al reato di cui al capo A) dell’imputazione, come riqualificato dalla Corte di appello di Reggio Calabria.
I giudici di merito, infatti, avrebbero ricostruito la penale responsabilit dell’imputato per il reato di favoreggiamento personale accertando la sua
coscienza e volontà di aiutare NOME ad eludere le investigazioni, pur avendo appurato, contraddittoriamente: la volontà del medesimo di non essere coinvolto nella vicenda illecita; l’assenza di contatti con il ritenuto estortore; la circostan che il suo comportamento fosse dettato dalla preoccupazione di possibili ritorsioni, derivante dalle peculiarità del contesto sociale e dalle ingerenze della criminalità organizzata. Secondo la Corte territoriale, dunque, da un lato, l’imputato sarebbe stato mosso dal timore per il particolare sfondo sociale di riferimento; dall’altro, sarebbe stato, contraddittoriamente, connotato dall’elemento soggettivo della volontà di favoreggiamento personale del sodale COGNOME.
Nel caso in esame, peraltro, non si sarebbe considerato che, come rilevato dalla stessa pronuncia, nonostante gli asseriti tentativi di persuasione dello Scordo, le persone offese avrebbero comunque continuato ad interloquire con i militari; di talché, in ogni caso, difetterebbero – oltre che il dolo generic espressamente escluso dalla sentenza impugnata – l’alterazione del contesto fattuale di riferimento, nonché il turbamento dell’attività di ricerca ed acquisizione della prova, richiesti dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della configurabil del reato in esame.
4. La difesa della parte civile ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso proposto dallo Scordo e rigettarsi il ricorso del Benedetto, con conferma del diritto al risarcimento del danno all’immagine in favore della costituita parte civile Città Metropolitana di Reggio Calabria, oltre che la rifusione delle spese processuali e gli accessori di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili, giacché formulati in modo non specifico e diretti ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A fronte della ricostruzione e della valutazione del Tribunale del riesame, invero, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati, omettendo di confrontarsi realmente
con le argomentazioni spese in sentenza e prospettando, in ogni caso, argomentazioni del tutto generiche.
2.1. Il primo motivo, con il quale si eccepisce l’inutilizzabilità del intercettazioni per violazione dell’art. 270 cod. proc. pen., è inammissibile per genericità.
La prospettazione difensiva, infatti, non fornisce la puntuale indicazione né della portata né dei termini nei quali le intercettazioni rispetto alle quali la censur è articolata, ancorché disposte nell’ambito del procedimento per il diverso reato di tentata estorsione, sarebbero state utilizzate ai fini dell’accertamento del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000. In altre parole, alla doglianza, non si corr alcuna indicazione degli specifici colloqui che si assumono inutilizzabili, in modo che possa evincersene l’effettiva incidenza sulla ricostruzione operata dai giudici
di merito. Ed è inammissibile il ricorso con il quale ci si dolga dell’inutilizzabil della gran parte delle intercettazioni, per violazione dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., senza l’indicazione specifica delle ragioni per cui gli atti inficiano compromettono in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Rv. 277608 – 02; Sez. 6, n. 18725 del 19/04/2012, Rv. 252644).
Il motivo di ricorso in esame, dunque, per come genericamente strutturato, esula dal percorso di una ragionata censura dell’apparato motivazionale del provvedimento impugnato, risolvendosi in una generalizzata critica confutativa che, peraltro, si scontra con una motivazione che risulta fortemente ancorata al dato di natura documentale (pag. 28 provvedimento gravato), giacché basata sulla disamina analitica della documentazione contabile, delle fatture e dei file contenuti negli apparati informatici, oltre che sugli esiti dei sopralluoghi eseguiti dagl operatori della P.G., e non anche sulle censurate intercettazioni, delle quali, anzi, i giudici di merito hanno esplicitamente escluso l’utilizzazione (pag. 26).
2.2. Il secondo motivo di censura – con il quale ci si duole del difetto di motivazione e della violazione degli artt. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 e 192 cod. proc. pen. – è parimenti inammissibile, poiché propone nella sostanza doglianze in punto di fatto che sollecitano una rivalutazione preclusa in sede di legittimità sulla base di una “rilettura”, peraltro, parcellizzata, degli elementi di fatto posti fondamento della decisione.
La ricostruzione della difesa considera, in maniera frammentaria, singoli elementi ritenuti sintomatici della asserita inesistenza delle operazioni sottese alle fatture emesse, ma si astiene dal contestare unitariamente la sentenza, la quale, all’opposto, analizza complessivamente ed adeguatamente il quadro probatorio. Ed invero, emerge dalla lettura della sentenza impugnata (pp. 28 ss.), come, oltre al mancato rinvenimento delle sedi delle società e alla loro cessazione, la Corte di appello correttamente abbia valorizzato altri elementi sintomatici dell’inesistenza delle operazioni economiche sottese alle fatture, quali: a) la circostanza che tutte le fatture risultino essere di importo di poco inferiore alla somma di euro 3.000,00 e saldate per contanti, senza alcuna indicazione né in ordine al DDT eventualmente emesso né delle modalità di trasporto e/o consegna delle merci; b) la mancata presentazione, da parte della D.IRAGIONE_SOCIALE di COGNOME Vincenzo, delle dichiarazioni fiscali annuali; c) l’emissione, ad opera della medesima ditta, di fatture, numerate progressivamente da n. 81 a n. 114, nei confronti della sola RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME con la generica indicazione che trattavasi di vendita di materiale edile e senza alcuna indicazione di eventuali spese di trasporto, di talché l’unico cliente della RAGIONE_SOCIALE ditta sarebbe stata la predetta RAGIONE_SOCIALE; d)
l’evidente antieconomicità del trasporto dei beni e materiali oggetto di fattura, trovandosi la ditta fornitrice a molti chilometri di distanza.
E va ricordato che, in presenza di un articolato compendio probatorio, quale quello sussistente nel caso di specie, non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è necessario, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica) e successivamente procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la – astratta – relativa ambiguità di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (ex multis, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605 – 02; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Rv. 258321).
2.3. Anche il terzo motivo di gravame, relativo all’aumento di pena per la continuazione, è inammissibile perché manifestamente infondato, oltre che privo di specificità.
Nessun profilo di illegittimità è ravvisabile, in ogni caso, nella sentenza impugnata, laddove si consideri che il riferimento, da parte del giudice di appello, ai profitti non trascurabili ricavati grazie alla disponibilità di molti soggetti emettere fatture per operazioni inesistenti – riguardanti complessivi costi indeducibili dell’importo di euro 118.646,00, con evasione Irpef pari ad euro 48.000,00 – a conferma dell’esistenza di una consolidata policy aziendale, è pienamente sufficiente. Peraltro, nulla allega la difesa, la quale, all’opposto, avrebbe dovuto riportare, anche solo in via di prospettazione, il calcolo alternativo che il giudice di merito avrebbe dovuto effettuare per non incorrere nell’asserito vizio censurato.
2.4. Parimenti inammissibile per genericità – giacché afferente al trattamento punitivo, che appare sorretto da logica motivazione ed adeguato esame delle deduzioni difensive di appello – è anche l’ultimo motivo di ricorso.
Il difensore, infatti, contesta il difetto della motivazione in ordine al dinieg delle circostanze attenuanti generiche – il quale, secondo la prospettazione difensiva, laddove confermato, avrebbe necessitato una più pregnante motivazione alla luce delle modificazioni intervenute, in seno alle imputazioni, per il tramite della riforma posta in essere dalla pronuncia di secondo grado – senza
tuttavia confrontarsi con la circostanza che la sentenza impugnata fonda l’esclusione del riconoscimento delle invocate attenuanti sulla contestata violazione tributaria ex art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, la quale, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa di parte ricorrente, è sempre rimasta immutata nel corso del giudizio sia di primo che di secondo grado. La decisione del giudice di secondo grado, dunque, ben rappresenta e giustifica le ragioni per cui va negato il riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis cod. pen., all’imputato, esprimendo una motivazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, come tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 275509-03; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419).
D’altro canto, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899); con la conseguenza che la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (ex multis, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244).
Peraltro, sarebbe stato onere del ricorrente indicare gli specifici elementi di segno positivo atti a consentire al giudice di addivenire a conclusioni diverse da quelle adottate, non potendosi ritenere sufficiente, a tal fine, il semplice riferimento all’intervenuto mutamento delle imputazioni a seguito dell’assoluzione dell’indagato dal reato di favoreggiamento personale.
Analoghe considerazioni, infine, devono essere svolte con riferimento al dedotto vizio motivazionale in ordine alla congruità della pena, anch’esso precluso al sindacato di questa Corte. In tema di dosimetria della pena, infatti, per costante giurisprudenza non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge ed ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati dagli art. 132 e 133 cod. pen., tale dovendosi certamente ritenere quella dell’impugnata sentenza (pag. 35). La graduazione della pena, del resto, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità
del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243).
L’unico motivo di impugnazione proposto nell’interesso di COGNOME COGNOME, con il quale si lamenta il difetto di motivazione, relativamente al reato di cui al capo A) dell’imputazione, come riqualificato dalla Corte di appello di Reggio Calabria, è anch’esso inammissibile, perché privo di specificità.
La prospettazione difensiva, infatti, non contesta la principale ratio decidendi del provvedimento gravato, che fa specifico riferimento alle intercettazioni telefoniche che delineano i rapporti del ricorrente con l’Artuso, finendo così per scontrarsi con una motivazione che, a ben vedere, appare certamente immune da qualsivoglia censura. Nel caso di specie, infatti, la Corte di appello ha correttamente affermato la responsabilità dell’imputato, valorizzando a tal fine la palese falsità delle dichiarazioni da questi rese circa l’asserita mancanza di conoscenza delle richieste estorsive avanzate dall’COGNOME ai suoi datori di lavoro, e precisando, all’opposto, come lo COGNOME fosse ben consapevole dell’intento estorsivo dell’COGNOME e del contesto di criminalità organizzata in cui operava, in quanto palesemente intenzionato a non intromettersi nella vicenda criminosa. In punto di diritto, del resto, giova ricordare che la condotta del delitto d favoreggiamento personale ex art. 378 cod. pen., che è reato di pericolo, deve consistere in un’attività che abbia frapposto un ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, provocando quindi una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale le investigazioni e le ricerche erano in corso o si sarebbero comunque potute svolgere (ex multis, Sez. 6, n. 13143 del 01/03/2022, Rv. 283109; Sez. 6, n. 9989 del 05/02/2015, Rv. 262799). Per la sussistenza dell’elemento soggettivo, invece, è sufficiente il dolo generico, che consiste nella consapevole determinazione dell’agente di fuorviare, con la propria condotta, le investigazioni dirette all’acquisizione della prova di un delitto o le ricerche poste in essere dalla competente autorità nei confronti del soggetto latitante, a prescindere dalle finalità ulteriori perseguite dall’agente (ex plurimis, Sez. 5, n. 50206 del 11/10/2019, Rv. 278316; Sez. 2, n. 20195 del 09/03/2015, Rv. 263524). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, peraltro, non vi è alcuna contraddizione nell’apparato motivazionale della sentenza impugnata a seguito dell’affermazione dell’assenza di rapporti tra lo COGNOME e l’COGNOME e alla riqualificazione del reato di concorso nel tentativo di estorsione, originariamente contestato, in quello di favoreggiamento. Invero, la motivazione della sentenza
impugnata appare sul punto esaustiva, logica e coerente (pp. 22-23) allorché, dopo aver dato conto sia della sussistenza dell’elemento soggettivo – consistente nella volontà dell’odierno ricorrente di agevolare l’Artuso nell’intento estorsivo, nonché nell’elusione delle investigazioni mediante mendacio dichiarativo – sia dell’elemento oggettivo – rappresentato dall’effettiva alterazione delle indagini e della realtà fattuale in conseguenza della evidente falsità delle dichiarazioni rese – valorizza, ai fini della riqualificazione del fatto di reato in termin favoreggiamento personale, da un lato, la volontà dello Scordo di rimanere estraneo alla vicenda estorsiva e l’assenza di contatti con l’Artuso – tali da giustificare, in positivo, la riqualificazione – dall’altro, l’effettiva falsit dichiarazioni rese in giudizio, atte comunque a giustificare il mantenimento di una, sia pur diversa, contestazione penale. In maniera del tutto logica, dunque, i giudici di merito hanno ritenuto che lo Scordo, pur rimanendo estraneo alla vicenda estorsiva per continuare a lavorare regolarmente, cionondimeno sia stato indotto a nascondere all’autorità la condotta illecita dell’COGNOME ed il suo reale intento, per il timore di subire possibili ritorsioni.
4. Per questi motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
Non può farsi luogo alla condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita nel presente grado di giudizio, per difetto di interesse di quest’ultima, la quale, pur soccombente, non ha impugnato la sentenza di secondo grado. Infatti, mentre nei confronti di NOME non è stata pronunciata, neanche in primo grado, alcuna condanna risarcimento dei danni, la condanna generica pronunciata dal Tribunale a carico di Scordo, limitatamente al capo A), è stata espressamente revocata nella sentenza d’appello, con statuizione sfavorevole alla parte civile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/10/2024.