Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32721 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32721 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a VIMERCATE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/01/2025 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Monza del 26 marzo 2024, ha confermato la condanna per il solo reato di cui all’art. 624, 625, comma 1 n. 2, cod. pen. del 16 marzo 2018 rideterminando la pena in mesi due di reclusione ed euro 150,00 di multa.
Il ricorrente articola tre motivi di ricorso: a. manifesta illogicità e contrad dittorietà della motivazione in ordine al giudizio di affermazione della responsabilità, non sussistendo alcuna prova certa circa l’individuazione dell’autore del fatto nella persona dell’imputato; b. vizio di motivazione in ordine all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1 n. 2, cod. pen.; c. vizio di motivazione in ordine alla determinazione dei danni subiti dalla persona offesa costituita parte civile, con particolare riferimento alla voce del danno morale, quantificato in misura di cinque volte superiore al danno patrimoniale.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Nei termini di legge è pervenuta memoria ex art. 611 cod. proc. pen. nell’interesse della costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE a firma dell’AVV_NOTAIO con allegate conclusioni, istanza di liquidazione e nota spese con cui si chiede dichiararsi inammissibile il ricorso, con vittoria di spese.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità. Gli stessi, in particolare, si limita a reiterare profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte di appello con corretti argomenti giuridici e non sono scanditi da specifica critica delle argomentazioni a base della sentenza impugnata (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. I giudici del gravame del merito hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, a tal fine evidenziando che, a differenza degli altri episodi di furto conclusisi con esito assolutorio, quello oggetto di contestazione, risalente al marzo 2018, trovi solido riscontro in una pluralità di
indizi, i quali si connotano per un significato univoco in agione della loro complessiva convergenza e in assenza di plausibili ricostruzioni alternative, non essendo state dalla difesa articolate ipotesi idonee a scalfirne la valenza dimostrativa.
In particolare, l’episodio risulta documentato dai filmati acquisiti dalla polizia giudiziaria, la quale, mediante il raffronto tra le fattezza della persona ivi ripresa e quelle desumibili dal cartellino fotosegnaletico dell’imputato, ha identificato in quest’ultimo l’autore del fatto, ripreso nei pressi della recinzione danneggiata ai fini di effrazione. Né appare dirimente l’osservazione difensiva secondo cui nei filmati non si coglie l’imputato nell’atto di impossessarsi della refurtiva, poiché nulla esclude – in mancanza di giustificazioni plausibili – che il prevenuto, avvedutosi della presenza della fototrappola, abbia scientemente modulato la propria condotta in modo da non essere ripreso.
2.2. Manifestamente infondato è anche il motivo inerente all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n.2 cod. pen, in considerazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di furto, sussiste l’aggravante della violenza sulle cose anche qualora l’energia fisica sia rivolta dal soggetto non sulla “res” oggetto dell’azione predatoria, ma verso lo strumento posto a sua protezione, purché sia stata prodotta una qualche conseguenze su di esso, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione (Sez. 5, n. 20476 del 17/01/2018, Rv. 272705 — 1, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva ravvisato l’aggravante nella condotta dell’imputato che aveva colpito con calci il portone d’ingresso di un’abitazione, senza accertare le conseguenze di questa azione sul bene; conf. Sez. 5, n. 11720 del 29/11/2019, dep.2020, Rv. 279042 – 01).
2.3. Quando al motivo sulla quantificazione del risarcimento del danno va infine ricordato che la liquidazione del danno non patrimoniale, sfuggendo ad una precisa valutazione analitica, resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, che sono incensurabili in sede di legittimità quando contengano l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico adottato (Sez. 5, n. 9182 del 31/01/2007, Rv. 236262 – 01; Sez. 5, 29/12/1999, Caricato, Rv. 215189), sicché, al riguardo, non è dato riscontrare alcuno dei denunciati vizi di legittimità.
Il reato per cui si procede non era prescritto all’atto dell’emanazione della sentenza impugnata, e non lo è nemmeno oggi, in quanto commesso nel marzo2018 e, dunque, ricadente sotto le previsioni della c.d. riforma Orlando che, per tutti i reati commessi dopo la sua entrata in vigore (3 agosto 2017) e fino al
31 dicembre 2019, data successivamente alla quale l’intera disciplina è stata innovata dalla I. legge 27 settembre 2021, n. 134.ha introdotto un termine di sospensione di diciotto mesi decorrente dalla data del deposito della motivazione della sentenza di primo grado. Le contravvenzioni, in esame, pertanto, si sarebbero prescritte non prima del mese di giugno 2024.
Peraltro, nemmeno si sarebbe potuta porre in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. U. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo nonché alla liquidazione delle spese di assistenza e di rappresentanza sostenute dalla costituita parte civile NOME in questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese di assistenza e di rappresentanza sostenute dalla costituita parte civile NOME liquidate in complessivi euro tremila, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, 17/09/2025
Il C nsigliere esti,ore