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Ricorso Inammissibile: Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un individuo condannato per l’occupazione di un immobile pubblico. I giudici hanno ritenuto le motivazioni dell’appello manifestamente infondate, confermando che il diritto di difesa era stato garantito e che la pena, superiore al minimo, era giustificata dai numerosi precedenti penali dell’imputato. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando l’Appello Non Supera il Vaglio della Cassazione

Il concetto di ricorso inammissibile rappresenta un punto cruciale nel diritto processuale penale, segnando uno stop definitivo al tentativo di riesaminare una condanna. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio pratico di come e perché un ricorso possa essere respinto fin da subito, con conseguenze significative per il ricorrente. Il caso analizzato riguarda un appello contro una sentenza di condanna per l’occupazione di un immobile di proprietà pubblica.

Il Contesto del Ricorso: Occupazione e Precedenti Penali

I fatti alla base della vicenda giudiziaria vedono un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio. La condanna era stata emessa per l’occupazione abusiva di un immobile appartenente al Comune di Roma. L’imputato, non accettando la decisione della Corte d’Appello, ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza per cercare di annullare la sentenza.

Le Doglianze del Ricorrente e il Ricorso Inammissibile

Il ricorrente ha basato il suo appello su due argomenti principali:
1. Violazione del diritto di difesa: Sosteneva che l’accusa non fosse stata formulata in modo sufficientemente chiaro, impedendogli di difendersi adeguatamente.
2. Eccessività della pena: Si lamentava del trattamento sanzionatorio, ritenuto troppo severo e non giustificato rispetto al minimo previsto dalla legge per quel tipo di reato.

Entrambi i motivi sono stati giudicati dalla Suprema Corte come manifestamente infondati, portando alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

L’Analisi della Cassazione: Difesa Garantita e Pena Giustificata

La Corte di Cassazione ha smontato punto per punto le argomentazioni del ricorrente, chiarendo i principi giuridici applicati.

Il Diritto di Difesa Pienamente Garantito

Sul primo punto, i giudici hanno osservato che il diritto di difesa non era stato minimamente leso. Fin dal primo grado, l’atto di accusa (capo di imputazione) specificava chiaramente che l’immobile occupato apparteneva al Comune di Roma, qualificandolo quindi come ‘edificio pubblico’. Secondo la Corte, l’imputato ha avuto piena e concreta possibilità di difendersi su questo specifico punto durante tutto l’iter processuale. Non vi era quindi alcuna incertezza o violazione che potesse giustificare un annullamento della sentenza.

La Motivazione della Pena: il Ruolo dei Precedenti

Anche la seconda lamentela è stata respinta. La Corte ha sottolineato che il giudice d’appello aveva adempiuto correttamente al suo ‘onere della motivazione’. La decisione di applicare una pena superiore al minimo edittale era stata infatti esplicitamente giustificata sulla base dei ‘numerosi precedenti penali’ a carico dell’imputato. Questa motivazione è stata ritenuta sufficiente e logica, rientrando pienamente nei poteri discrezionali del giudice di merito.

Le Motivazioni

La motivazione dell’ordinanza si fonda su due pilastri consolidati della giurisprudenza. In primo luogo, il principio, richiamato anche dalle Sezioni Unite, secondo cui il diritto di difesa è garantito quando l’imputato, attraverso l’intero processo, viene messo nella condizione concreta di comprendere e contestare ogni aspetto dell’accusa. Nel caso di specie, la natura pubblica dell’immobile era un dato evidente fin dall’inizio, rendendo la doglianza puramente pretestuosa. In secondo luogo, la Corte ribadisce che il potere del giudice di determinare la pena non è arbitrario, ma deve essere supportato da una motivazione che dia conto delle ragioni della scelta. La presenza di precedenti penali è uno dei fattori classici che la legge stessa considera per la personalizzazione della pena, e il suo richiamo costituisce una motivazione valida per discostarsi dal minimo edittale.

Le Conclusioni

L’ordinanza si conclude con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Tale esito non è privo di conseguenze: il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa decisione serve da monito: presentare un ricorso basato su motivi palesemente infondati non solo è inutile ai fini dell’annullamento della condanna, ma comporta anche un aggravio di costi. La sentenza riafferma l’importanza di un’attenta valutazione dei presupposti legali prima di adire la Suprema Corte, il cui ruolo non è quello di riesaminare il fatto, ma di garantire la corretta applicazione della legge.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Sulla base del provvedimento, un ricorso è dichiarato inammissibile quando i motivi presentati sono manifestamente infondati, cioè quando le lamentele sono palesemente prive di fondamento giuridico, come nel caso in cui il diritto di difesa sia stato concretamente garantito o la pena sia stata adeguatamente motivata dal giudice precedente.

La presenza di precedenti penali può giustificare una pena superiore al minimo previsto dalla legge?
Sì, l’ordinanza afferma chiaramente che il giudice d’appello ha correttamente motivato l’aumento della pena rispetto al minimo edittale proprio in virtù dei ‘numerosi precedenti penali’ dell’imputato, adempiendo così all’onere di motivazione richiesto.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato a pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma stabilita è stata di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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