Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19281 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il 10/06/1980 NOME nato a ROMA il 03/01/1982
avverso la sentenza del 16/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 16 ottobre 2024, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia del GUP del Tribunale della stessa sede del 9 ottobre 2023, con cui NOME COGNOME ed NOME COGNOME riqualificata nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 l’originaria imputazione per tutti i capi d’accusa, esclusa, limitatamente ai capi A-E-F-G, l’aggravante di aver agito in tre o più persone, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle residue aggravanti, ritenuta la continuazione esterna e ridotta la pena per il rito abbreviato, erano stati condannati, rispettivamente, alla pena di anni tre e mesi due di reclusione ed euro 9000,00 di multa e di un anno e dieci mesi di reclusione ed euro 3000 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali e all’interdizione, per il COGNOME, dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, pena sospesa per Penna. Fatto commesso fino al 6 dicembre 2021, in Roma.
Avverso tale pronuncia, hanno proposto ricorso per Cassazione, mediante il comune difensore, NOME COGNOME ed NOME COGNOME deducendo i seguenti motivi : vizio di motivazione in ordine a tutti i capi di imputazione; vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, alla luce della corretta valutazione dei fatti e della condotta processuale tenuta; vizio di motivazione in punto di dosimetria della pena.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non consentiti in sede di legittimità poiché gli stessi, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in ordine alle ragioni per le quali è stata ritenuta la responsabilità degli imputati in ordine ai fatti, come riqualificati, loro ascritti e alla valutazione del giudizio di bilanciament delle circostante e della pena, di fatto reitera le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado, adeguatamente vagliate dalla Corte territoriale.
La Corte di appello di Roma, invero, ha operato una tipica prerogativa del giudice del merito nell’apprezzare l’attendibilità delle dichiarazioni etero accusatorie, riferite al COGNOME, rese da soggetto coinvolto nei traffici oggetto di processo, non potendosi, peraltro, cogliere insanabili fratture logiche laddove la Corte territoriale ha distinto, rispetto al resto, la portata delle dichiarazioni relati alla COGNOME, zia del dichiarante.
Non superano il vaglio di ammissibilità neanche i restanti motivi di ricorso, posto che la sentenza impugnata ha motivato congruamente la conferma del giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con le contestate aggravanti, nella sostanza ritenuto dal GUP, facendo riferimento alla articolazione dell’attività di cessione relativa a più sostanze e con quantitativo rilevante anche
k GLYPH 1
se non esorbitante; le medesime adeguate valutazioni sono state poste a base del diniego relativo al motivo d’appello riferito al calcolo della pena, oggi riprodotto
nel giudizio di legittimità. La Corte, inoltre, ha dato conto delle ragioni per le quali ha confermato l’aumento di pena per ciascun episodio di cessione, in
continuazione, facendo riferimento alla natura della sostanza ceduta (cocaina), al suo pericolo per la salute degli assuntori, alla sua discreta qualità, alle modalità
dell’azione da cui si desume la disponibilità, all’occorrenza, di notevoli quantità di stupefacente, elementi sintomatici di un apprezzabile inserimento nel mercato
della droga.
È inammissibile, dunque, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo
grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 (dep.2017) Rv.
268822 – 01).
5. All’inammissibilità dei ricorsi per questi motivi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13 maggio 2025.