Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21071 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21071 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIZZOLO COGNOME il 23/11/1980
avverso la sentenza del 10/09/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che, con sentenza del 10 settembre 2024, la Corte di appello di Milano ha confermato – dichiarando prescritto il reato di cui al capo a) dell’imputazione limitatamente alle condotte precedenti al 22 dicembre 2016, e rideterminando la pena in diminuzione – la sentenza di primo grado, che aveva condannato l’imputato per lo stesso reato di cui al capo a), ex art. 10-quater, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000;
che, avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando: 1) violazione dell’art. 507 cod. proc. pen. in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva nel corso dell’istruttoria dibattimentale, non avendo potuto l’imputato contrastare gli indizi attraverso la documentazione sequestrata ed indisponibile; 2) violazione dell’art. 546 cod. proc. pen., in ordi al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Considerato che il ricorso è inammissibile, in quanto riproduttivo di profili censura già adeguatamente vagliati in sede di appello e non scanditi da specifica critica;
che, il primo motivo è inammissibile, in quanto diretto a sollecitare una rivalutazione di merito, preclusa davanti alla Corte di cassazione, sulla base di un’alternativa “rilettura” del quadro probatorio, già adeguatamente valutato dai giudici di merito, con coerenti e conformi argomentazioni;
che, in particolare, la difesa non prende in considerazione, nemmeno a fini di critica, la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a formulare mere asserzioni circa l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato ed il richiamo una frase pronunciata dal giudice nel corso dell’udienza del 3 ottobre 2023, la quale, se interpretata correttamente alla luce dell’esame del teste in quel momento escusso, rivela che il Tribunale stava in realtà semplicemente cercando di delimitare l’indagine ai fatti oggetto di contestazione (pag. 8 d provvedimento);
che la difesa non offre alcun elemento atto a contrastare i dati probatori valorizzati dalla Corte di appello, quali la circostanza che, nel corso del perquisizioni svolte dalla Guardia di Finanza presso la sede legale della società, non fosse stato possibile rinvenire materialmente nessuno dei beni ammortizzabili sul cui acquisto si baserebbe il credito IVA usato in compensazione, nonché dei bilanci relativi agli esercizi di interesse, dalla cui analisi non è emerso al riferimento ai medesimi;
che, analogamente, il secondo motivo di ricorso, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, deve ritenersi inammissibile, avendo la Corte fornito ampia motivazione sul punto, evidenziando la mancata partecipazione
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dell’imputato al processo e l’assenza di elementi positivi di giudizio (pag. 9 de provvedimento);
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritener
che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativannente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2025.