Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 32584 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 32584 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/09/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 28.9.2023 la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza con cui il Tribunale di Civitavecchia con sentenza in data 2.10.2018 aveva ritenuto COGNOME NOME colpevole del reato di cui agli artt. 73 e 80, comma 2, d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 condannandolo alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione ed Euro 40.000 di multa, applicandogli altresì le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, ha rideterminato la pena in anni sette di reclusione ed Euro 30.000 di multa.
2. Il presente procedimento trae origine da una segnalazione pervenuta in data 1.7.2011 alla Questura di Vibo Valentia dalle autorità spagnole con cui si comunicava l’arrivo presso l’aereoporto di Madrid di cinque colli contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina che facevano parte di un’unica spedizione proveniente dall’Ecuador e diretta a COGNOME NOME all’indirizzo di INDIRIZZO, come riportato nella lettera di vettura.
Individuato il destinatario dei colli nell’odierno imputato, veniva organizzata una “consegna controllata” dei pacchi che pervenivano il giorno 26.7.2011 presso l’aereoporto di Fiumicino e che successivamente venivano presi in consegna dalla Squadra Mobile della Questura di Vibo Valentia.
Nei colli venivano trovati articoli etnici di vario tipo e celati all’interno di va un’intercapedine, involucri contenenti sostanza polverosa che all’analisi risultava essere cocaina per un peso totale di Kg. 4,5. Il consulente del Pubblico Ministero accertava che si trattava di cocaina con un principio attivo compreso tra il 72% ed il 77% del peso complessivo di gr. 3964,2 da cui si sarebbero potute ricavare n. 20.231 dosi singole medie.
Effettuati i controlli e gli accertamenti, previa sostituzione dello stupefacente con del mannitolo, i colli venivano reimmessi nel circuito mediante affidamento al corriere TNT. La merce veniva quindi ricevuta in data 9.8.2011 da un uomo, poi identificato nell’odierno imputato, il quale provvedeva a firmare il relativ documento di trasporto e che, con l’aiuto di una donna, introduceva alcuni colli nella propria abitazione lasciando gli altri sul balcone che poco dopo copriva con un lenzuolo bianco. Successivamente, ricevuta una telefonata da altra utenza intestata al cognato COGNOME NOME, si allontanava dall’abitazione per poi tornarvi insieme a questi caricando tre pacchi sulla vettura Lancia Libra e recarsi in una masseria del COGNOME NOME, padre del cognato, ubicata in INDIRIZZO.
Gli apparati di intercettazione collocati nei colli captavano la voce di di soggetti maschili presenti in loco tra cui NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME. Il COGNOME poi, sotto osservazione degli operanti, portava presso la masseria gli altri due colli rimasti a casa sua.
Gli agenti, postisi sul retro del casolare, alle ore 13 e 45 notavano due persone uscirne ed abbandonare nel terreno limitrofo le piattaforme di polistirolo e compensato contenute nei pacchi; le stesse venivano quindi fermate ed identificate in COGNOME e COGNOME; successivamente veniva identificato anche COGNOME NOME.
Il giudice di primo grado ha ritenuto la responsabilità del COGNOME in ordine al reato a luiitscritto,essendo stato lui a ricevere i pacchi e poi a trasportarli press la masseria nonché a provvedere alla loro apertura.
L’impianto motivatorio della sentenza d’appello veniva integralmente recepito dalla sentenza d’appello, tranne che in punto di trattamento sanzionatorio.
Avverso la sentenza d’appello l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Con il primo deduce la violazione dell’art. 192, commi 1 e 2, cod.proc.pen. con riferimento al certo coinvolgimento del ricorrente nell’importazione della sostanza stupefacente così come é emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale (art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. nonché la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione rispetto alle emergenze in att (nella specie esame degli operanti COGNOME e COGNOME circa l’indicazione dell’indirizzo del COGNOME ritenuto coinvolto ex art. 606 comma 1, lett. e) cod.proc.pen. e la motivazione priva del necessario carattere dialogico richiesto dalla legge ed in particolare dall’art. 546, comma 1, lett. e) cod.proc.pen. con riferimento ad entrambe le sentenze di merito.
Si assume che entrambe dette pronunce confliggono con le emergenze dell’istruttoria dibattimentale in quanto non hanno vagliato l’ipotesi difensiva della mancata consapevolezza del COGNOME circa l’arrivo di sostanza stupefacente, fondata sul fatto che l’indicazione dell’indirizzo del COGNOME era erronea tanto che erano stati gli investigatori a far giungere la merce presso la sua abitazione.
Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 192, commi 1 e 2, cod.proc.pen. in punto di attribuzione della responsabilità sulla base di una nuova perizia disposta all’esito dell’istruttoria di primo grado che non contiene elementi per l’attribuzione delle voci all’uno o all’altro dei presenti nella masseri ex art. 606, comma1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. nonché la motivazione contraddittoria ed illogica ex art. 606comma 1, lett. e) cod.proc.pen.
Si assume che già il Tribunale, nonostante una seconda perizia trascrittiva, non era riuscito ad attribuire all’uno ed all’altro le voci dei presenti per cui non e chiaro come la Corte di merito avesse potuto ritenere che fosse il COGNOME a ricevere una telefonata dal mittente della merce risultando la motivazione sul punto contraddittoria e illogica.
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo é inammissibile.
Ed invero la censura reitera analoga doglianza proposta nell’atto di appello cui la Corte di merito ha dato adeguata risposta senza confrontarsi con le statuizioni della sentenza impugnata.
A riguardo non può che ribadirsi quanto già più volte chiarito da parte di questa Corte di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838- 01).
La sentenza impugnata ha invero ricostruito con precisione l’intervento delle forze dell’ordine e la consegna controllata dei colli presso l’abitazione del COGNOME, non assumendo alcun rilievo che l’indirizzo non fosse esatto, atteso che il COGNOME non ha avuto alcuna remora nel ricevere i colli recapitatigli firmando il documento di trasporto e la bolla di consegna e provvedendo poi insieme alla moglie a collocarne alcuni all’interno ed altri sul balcone coperti da un lenzuolo bianco.
Il secondo motivo é parimenti inammissibile per le medesime ragioni.
Ed invero la censura non si confronta con quanto statuito dalla Corte di merito che ha evidenziato che le persone presenti all’interno del casolare erano oltre al COGNOME, il COGNOME ed il COGNOME e che all’attività di captazione delle voci s univa quella di osservazione condotta dagli operanti che si trovavano sul retro del casolare cosicché era per loro possibile abbinare i soggetti osservati alle voci. Inoltre il COGNOME si era allontanato dal casolare e gli unici presenti all’inter erano il COGNOME ed il COGNOME, escludendosi la presenza di altri soggetti.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore dell Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso in Roma il 3.7.2024