Ricorso inammissibile: quando la Cassazione chiude la porta
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio delle conseguenze di un ricorso inammissibile. Quando un imputato decide di impugnare una sentenza di condanna, deve presentare motivi validi e specifici, non limitarsi a ripetere argomentazioni già esaminate e respinte. In caso contrario, come vedremo, non solo il ricorso verrà respinto, ma si andrà incontro a sanzioni economiche. Analizziamo il caso deciso con l’ordinanza in esame.
I Fatti del Caso: Droga e Resistenza all’Arresto
Il ricorrente era stato condannato nei primi due gradi di giudizio per due distinti reati: detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio e resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione contestando entrambi i capi d’accusa.
Per quanto riguarda lo spaccio, la difesa sosteneva che non vi fosse prova sufficiente della destinazione della droga alla vendita a terzi. Relativamente alla resistenza, si affermava che la condotta dell’imputato non integrasse gli elementi del reato, ma si fosse limitata a un semplice tentativo di sottrarsi alla presa degli agenti.
La Decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello di Venezia aveva già rigettato queste argomentazioni con una motivazione dettagliata. I giudici avevano ritenuto provata la finalità di spaccio sulla base di una serie di elementi concordanti: la diversità delle sostanze rinvenute, il loro frazionamento in dosi pronte per la vendita e il ritrovamento di denaro contante suddiviso in banconote di piccolo taglio, tipico dell’attività di spaccio al dettaglio.
Anche per il reato di resistenza, la Corte aveva sottolineato come l’imputato non si fosse limitato a un “mero divincolamento”, ma avesse agito attivamente con calci e spinte per impedire il proprio arresto, manifestando una chiara volontà di opporsi all’operato delle forze dell’ordine.
Le Motivazioni della Cassazione: la logica dietro il Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte, nell’esaminare il ricorso, lo ha dichiarato inammissibile. Il motivo fondamentale è che i motivi proposti erano “meramente riproduttivi” di censure già adeguatamente analizzate e respinte dalla Corte d’Appello. In sostanza, il ricorrente non ha sollevato nuove questioni di diritto o vizi logici nella sentenza impugnata, ma si è limitato a riproporre la stessa versione dei fatti e le stesse critiche.
La Cassazione, in quanto giudice di legittimità, non può riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione. Poiché la motivazione della Corte d’Appello era stata ritenuta “congrua, esaustiva e non affetta da vizi”, il ricorso è stato giudicato privo dei requisiti minimi per essere esaminato nel merito. Di conseguenza, è stato dichiarato un ricorso inammissibile.
Le Conclusioni: le conseguenze pratiche
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso non è priva di conseguenze. Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte ha condannato l’imputato al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria è prevista quando si ritiene che il ricorrente abbia proposto l’impugnazione con colpa, ossia senza una seria valutazione delle sue possibilità di successo, contribuendo così a gravare inutilmente il sistema giudiziario. La decisione ribadisce un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione è uno strumento per far valere vizi di legge, non un terzo grado di giudizio per ridiscutere i fatti.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si limitava a riproporre gli stessi motivi di doglianza già esaminati e respinti in modo logico e corretto dalla Corte d’Appello, senza presentare nuovi profili di violazione di legge.
Quali elementi sono stati ritenuti sufficienti per dimostrare la finalità di spaccio?
La Corte ha ritenuto sufficienti tre elementi: la diversità delle sostanze stupefacenti trovate, il loro frazionamento in singole dosi e il rinvenimento di denaro contante suddiviso in banconote di piccolo taglio.
Qual è la differenza tra semplice divincolamento e resistenza a pubblico ufficiale secondo la Corte?
La Corte ha chiarito che il semplice divincolamento è un mero tentativo di liberarsi dalla presa, mentre la resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) si configura quando la condotta è più attiva e violenta, come nel caso di specie, dove l’imputato ha usato calci e spinte con lo scopo di impedire l’arresto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27968 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27968 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/07/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in ep esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché deduce motivi meramente riproduttivi di di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici territoriale: invero, quanto al primo motivo, con cui si censura la motivazione dell impugnata in ordine alla prova della destinazione delle sostanze stupefacenti alla terzi, la Corte d’appello – con motivazione congrua, esaustiva e non affetta da vizi si sede di legittimità – ha ritenuto dimostrata la destinazione allo spaccio alla luc elementi, quali la diversità delle sostanze rinvenute, il frazionamento in dosi, il rin denaro contante suddiviso in banconote di piccolo taglio (cfr. sentenza impugnata, quanto al secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’insussistenza degli elementi e soggettivo del reato di cui all’art. 337 cod. pen., la Corte d’appello ha sott motivazione parimenti adeguata, che la condotta del ricorrente non si era limitata ad divincolamento, ma era consistita in calci e spinte al fine di impedire il proprio sentenza impugnata, pag. 4 e pag. 5);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al p delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Ca ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proc della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 14 giugno 2024.