Ricorso Inammissibile: La Cassazione e i Limiti dell’Appello
Quando un imputato decide di impugnare una sentenza di condanna fino all’ultimo grado di giudizio, la Corte di Cassazione, deve presentare motivi validi e specifici. Un recente provvedimento ha ribadito un principio fondamentale: non basta ripetere le stesse argomentazioni già respinte in appello. La Corte ha dichiarato un ricorso inammissibile, fornendo chiari insegnamenti sui requisiti di un’impugnazione efficace e sui limiti di applicabilità della non punibilità per tenuità del fatto.
I Fatti del Caso: Dall’Occupazione al Ricorso in Cassazione
La vicenda trae origine da una condanna per l’occupazione di un immobile contro la volontà del legittimo proprietario. Dopo la conferma della condanna da parte della Corte d’Appello di Napoli, l’imputata ha presentato ricorso per cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza per cercare di annullare la decisione.
I Motivi del Ricorso: Logica della Motivazione e Tenuità del Fatto
La difesa ha articolato il ricorso su due pilastri:
1. Vizio di manifesta illogicità della motivazione: Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello non aveva motivato in modo adeguato e logico la sua colpevolezza.
2. Omessa applicazione dell’art. 131-bis c.p.: Si contestava la mancata concessione della causa di non punibilità per particolare tenuità dell’offesa, ritenendo che il fatto fosse di minima gravità.
La Decisione della Cassazione: Un Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte, con una sintetica ma incisiva ordinanza, ha rigettato completamente le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non solo ha reso definitiva la condanna, ma ha anche comportato per la ricorrente l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Stato Ritenuto Inammissibile?
L’ordinanza della Cassazione si sofferma analiticamente sulle ragioni che hanno portato a una decisione così netta, offrendo spunti di riflessione sulla tecnica processuale.
La Genericità e Reiteratività del Primo Motivo
Il primo motivo è stato giudicato inammissibile perché totalmente reiterativo del motivo di appello. La Corte ha spiegato che non è sufficiente riproporre le stesse censure già esaminate e respinte nel grado precedente. Un ricorso in Cassazione deve confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata, evidenziandone le presunte criticità, e non limitarsi a offrire una lettura alternativa del merito. La Corte d’Appello, secondo i giudici di legittimità, aveva invece motivato in modo logico e articolato, basandosi sugli esiti del sopralluogo delle forze dell’ordine che confermavano l’occupazione contro la volontà del titolare.
L’Infondatezza del Secondo Motivo e il ricorso inammissibile
Anche il secondo motivo, relativo alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato ritenuto manifestamente infondato. La Cassazione ha ricordato che la valutazione sulla tenuità del fatto deve basarsi sui criteri dell’art. 133 c.p. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente valorizzato due elementi ostativi:
– La perduranza della condotta: l’occupazione si era protratta nel tempo, anche dopo la diffida formale a rilasciare l’immobile.
– I precedenti penali: la ricorrente aveva precedenti specifici per altri reati.
Questi fattori, secondo la giurisprudenza consolidata, sono sufficienti a escludere la minima offensività del fatto e, di conseguenza, a negare il beneficio della non punibilità.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa ordinanza ribadisce due importanti lezioni. In primo luogo, un ricorso per cassazione deve essere redatto con rigore tecnico, evitando la semplice riproposizione di argomenti già vagliati. È necessario un dialogo critico con la sentenza impugnata, non una mera contestazione dei fatti. In secondo luogo, la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per tenuità del fatto richiede un’attenta analisi della condotta complessiva e della personalità dell’imputato. La presenza di precedenti e la particolare ostinazione nel reato sono elementi che, come in questo caso, rendono tale richiesta difficilmente accoglibile, portando a una dichiarazione di ricorso inammissibile.
Quando un motivo di ricorso in Cassazione viene considerato meramente reiterativo e quindi inammissibile?
Un motivo di ricorso è considerato reiterativo quando si limita a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte nel giudizio d’appello, senza confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata e risolvendosi, in sostanza, in una richiesta di nuova valutazione dei fatti.
Quali elementi possono impedire l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
Secondo la decisione, elementi come la perduranza della condotta illecita (protrattasi anche dopo una formale diffida) e la presenza di precedenti penali, anche specifici, sono sufficienti per escludere la tenuità dell’offesa e negare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza di condanna impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36871 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36871 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BENEVENTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/01/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso con il quale si deduce vizio della motivazione perché manifestamente illogica, non è consentito in quanto totalmente reiterativo del motivo di appello (Sez.2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 26060801) in assenza di confronto con la motivazione conforme dei giudici di merito in ordine alle caratteristiche inequivoche della azione oggetto di contestazione, risolvendosi nella sostanza in una lettura alternativa del merito, non consentita in questa sede (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01);
che la Corte di appello ha motivato in modo logico ed articolato in assenza di qualsiasi aporia o illogicità manifesta (si vedano pagg. 3 dove è stata esplicitamente valorizzata la sussistenza dell’occupazione contro la volontà dell’ente titolare del diritto di proprietà sull’immobile, sulla base degli esiti sopralluogo effettuato dalle forze dell’ordine intervenute all’atto di restituzione della chiave);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine all’omessa applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., è anch’esso manifestamente infondato poiché afferisce alla prospettazione di enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 13 co. 1 cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti, come avvenuto nel caso di specie (si veda pag. 4 dove è stata valorizzata in tal senso la perduranza della condotta, protrattasi anche successivamente alla diffida al rilascio dell’immobile e la presenza di precedenti per altri reati, anche specifici);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il giorno 10 ottobre 2025.