Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10667 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10667 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 07/09/1974
avverso la sentenza del 20/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, in punto di prova della penale responsabilità per il reato di cui all’art. 642 cod. pen., oltre ad essere privo d concreta specificità, non è consentito in questa sede in quanto meramente reiterativo in assenza di confronto con la argomentata motivazione della Corte di appello, del tutto priva di manifesta illogicità (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01);
che, invero, le doglianze difensive tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri d valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099-01);
che, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno, dovendo piuttosto verificare la coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (cfr. Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260 – 01; Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944 – 01);
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente esplicitato, con argomentazioni esenti da criticità giustificative, le ragioni del loro convincimento, non sindacabili in questa sede (si vedano, in particolare, pagg. 2 e 3 sulla riferibilità dell’atto di citazione all’imputato non solo alla luce del comportamento processuale dell’imputato, delle indicazioni grafiche sul documento, dell’improbabile spendita del nome da parte di altro legale e delle altre circostanze indicate dal primo giudice, ma anche in ragione della partecipazione all’udienza di un avvocato appartenente allo stesso studio e debitamente delegato);
osservato che le ulteriori doglianze, con le quali si contesta l’erronea individuazione del tempus commissi delicti ai fini della dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato, oltre ad essere privo dei requisiti di specificità, non consentito in sede di legittimità;
che, invero, la prescrizione è un evento giuridico il cui accertamento non è il frutto del mero computo aritmetico del relativo termine sul calendario, ma implica
la risoluzione di plurime questioni di diritto e di fatto che devono essere specificamente affrontate dall’interessato secondo quanto disposto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, n. 35791 del 29/05/2019, COGNOME, Rv. 277495 – 01);
che, più in particolare, il ricorrente che, nel giudizio di cassazione, invochi la prescrizione del reato, assumendo, per la prima volta in detta sede, che la data di consumazione è antecedente a quella contestata, ha l’onere di riscontrare le sue affermazioni, fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato risulta stato consumato in data anteriore e insuscettibili di essere smentiti da altri elementi di prova acquisiti al processo, essendo precluso in sede di legittimità qualsiasi accertamento di merito (cfr. Sez. 2, n. 41151 del 28/09/2023, Mega, Rv. 285300 – 01; Sez. 5, n. 46481 del 20/06/2014, COGNOME, Rv. 261525 – 01);
che, nel caso di specie, il ricorrente censura il calcolo operato dai giudici dell’appello, introducendo una quaestio facd sulla data di commissione del reato del tutto genericamente, senza indicare una data alternativa a quella contestata e senza confrontarsi con quanto argomentato dai giudicanti (si veda, in particolare, pag. 2 sulla individuazione del dies a quo nella prima richiesta risarcitoria);
ritenuto che il secondo motivo, con il quale si contesta il mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., è privo dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen.;
che, invero, la mancanza di specificità dei motivi deve essere apprezzata non solo intrinsecamente, ovverosia per la genericità e indeterminatezza delle ragioni di fatto e diritto a sostegno della censura, ma anche estrinsecamente, per l’apparenza degli stessi allorquando, non essendovi correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, omettano di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici (cfr. Sez. 7, ord. n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01; Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678 – 01), le doglianze difensive dell’appello, meramente riproposte in questa sede (si veda, in particolare, pag. 3 sulla non particolare tenuità non solo alla luce dell’oggettiva gravità del fatto, ma anche per la non esiguità del danno cagionato);
atteso che l’ultimo motivo, in punto di trattamento sanzionatorio e circostanziale, oltre ad essere privo di concreta specificità, non è consentito in quanto inerente al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica argomentazione;
che, quanto alla dosimetria della pena, l’onere argonnentativo può ritenersi adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale;
che, in relazione alle circostanze attenuanti generiche, non è necessario che il giudicante, nel motivare il mancato riconoscimento delle stesse, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente un congruo riferimento agli elementi negativi ritenuti decisivi o rilevanti ovvero all’assenza di elementi positivi, rimanendo disattesi e superati tutti gli altri da tale valutazione;
che, nel caso in esame, i giudici dell’appello hanno correttamente esercitato la discrezionalità attribuita, ampiamente esplicitando le ragioni del loro convincimento (si veda, in particolare, pag. 3 sulla congruità della pena, individuata in misura di poco superiore al minimo edittale, nonché sul diniego dei benefici in ragione degli elementi negativi indicati);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.