Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13749 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13749 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/03/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a MUGNANO DI NAPOLI il 14/11/1972 COGNOME nato a NAPOLI il 24/02/1978 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 26/11/1974
avverso la sentenza del 31/01/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza impugnata, su accordo delle parti ex artt. 599 e 599 bis cod.proc.pen., ha rideterminato la pena inflitta in primo grado a NOME COGNOME e ha confermato nel resto la decisione del GUP del Tribunale di Napoli del 7 luglio 2017, che aveva condannato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene ritenute di giustizia, in relazione ai reati loro ascritti previsti dagli artt. 110, 81 cpv. cod.pen., 73, comma 1 bis lett. a), d.P.R. n. 309/1990, in ragione di plurimi accadimenti descritti nei capi di imputazione.
Avverso tale sentenza, ricorrono, ciascuno con proprio difensore:
NOME COGNOME sulla base di tre motivi, con i quali deduce erronea applicazione della legge penale in punto di: mancato inquadramento nella ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990; in punto di mancata applicazione del trattamento sanzionatorio previsto per le droghe cd. leggere al comma 4 dell’art. 73 cit.; in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche;
COGNOME sulla base di un motivo, con il quale deduce violazione di legge quanto alla illegalità della pena pecuniaria inflitta, posto che nel concordare la pena si era partiti da una pena pecuniaria base più alta di quella inflitta in primo grado;
–NOME in ragione di due motivi, relativi, rispettivamente, alla responsabilità penale, che si assume essere stata ingiustificatamente ritenuta, e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
I ricorsi sono inammissibili.
I motivi di ricorso proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME richiedono, per molti aspetti, una mera rivalutazione del fatto come ricostruito concordemente dai giudici del merito. La Corte di cassazione svolge il giudizio di legittimità e non di merito sul fatto, per cui non è possibile procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito (v., ex plurimis, Sez. 2, n. 15806 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 269864 – 01, in motivazione; Sez. 2, n.15556 del 12/2/2008, Trivisonno, Rv. 239533 – 01).
Del resto, si verte in ipotesi di decisione di appello conforme a quella di primo grado (c.d. “doppia conforme”), in cui il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 2, n. 15806 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 269864 – 01, cit.; Sez. 4, n. 19/10/2009, COGNOME, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/6/2007, COGNOME, Rv. 237207;
Sez. 2, n. 5223 del 24/1/2007, Medina, Rv 236130; Sez. 4, n. 5615 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258432), circostanza non verificatasi nel in esame.
2.1.La Corte territoriale, con motivazione ampia e convincente, inferis traffico della cocaina dalla presenza congiunta delle risultanze delle interce telefoniche e dalle ulteriori circostanze direttamente riconducibili alle osse visive dei militari operanti, i quali, osservando in prima persona le c contestate ne avevano avuto conoscenza in tempo reale, così appurando che fratelli COGNOME si rivolgevano, oltre che allo COGNOME, anche al Pec Deviato per compiere acquisti di quantitativi non banali di cocaina, sec abitudini di acquisto consolidate, realizzate presso il domicilio dove í Vor trovavano ristretti agli arresti domiciliari (vd. pagg. 8, 9 e 10 della impugnata). La Corte territoriale dà atto che si trattava proprio di una p attività di spaccio di cocaina gestita dai COGNOME sulla base delle fornitur da COGNOME e COGNOME dopo il venir meno dello COGNOME
2.2. In secondo luogo, le doglianze costituiscono pedissequa (e inammissib reiterazione di analoghe censure già dedotte con l’atto di appello e motivata disattese – come visto – dalla Corte territoriale. È infatti inammissibile il cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovend stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto ometto assolvere la tipica funzione dì una critica argomentata avverso la sentenza o di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). Contrariamente, in particolare, a quanto dedotto dal ricorrente COGNOME al primo motivo, l’ riconoscimento della fattispecie della minore gravità non è stata esclusa al del solo dato quantitativo, ma dalla ricorrenza congiunta di numerosi indici, oltre alla quantità, la piena consapevolezza dì rifornire una piazza di droga da soggetti ristretti agli arresti domiciliari, elementi, tutti uni considerati, che evidenziano una particolare offensività (conf. Sez. U, Senten 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911-01; Sez. U, n. 17 del 21/06/200 Primavera, Rv. 216668 – 01)
I motivi relativi alla mancata concessione delle attenuanti generiche inammissibili per genericità. Le attenuanti generiche non possono essere i come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese ci tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che pr tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più i particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., S
14307 del 14.3.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, COGNOME); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, n.m.); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737). Non è neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma è sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1, n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419). Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di íncensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01). Correttamente, pertanto, i giudici di appello hanno ritenuto che, in assenza di precisa indicazione di elementi che potessero costituire oggetto di positiva valutazione (peraltro neppure dedotti in sede di ricorso), la richiesta fosse inammissibile. 4. È inammissibile anche il ricorso relativo all’imputato COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Trattandosi di sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., in forza della previsione di cui all’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 1, comma 62, della I. 23 giugno 2017, n. 103, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, avendo gli imputati, nel giudizio di appello, rinunciato ai motivi di gravame e concordato il trattamento sanzionatorio con il pubblico ministero. Il raggiungimento di tale accordo determina la radicale inammissibilità di doglianze che si riferiscano ai motivi ai quali le parti abbiano espressamente rinunciato ed a quelli inerenti alla quantificazione di una pena diversa da quella concordata. Invero, per consolidato orientamento di questa Corte, formatosi sulla base degli indirizzi elaborati con riferimento all’abrogato art. 599, comma 4, cod.
proc. pen., applicabili all’attuale concordato in appello, sovrapponibile al precedente istituto, l’accordo delle parti implica la rinuncia a 9 dedurre, nel
successivo giudizio di legittimità, ogni diversa doglianza, anche riferibile a questioni rilevabili di ufficio, con l’eccezione dell’irrogazione di una pena illegale,
di motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto
difforme della pronuncia [cfr. Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, COGNOME, Rv.
273194: “È inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili di ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo
sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dal nuovo art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103,
non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità,
analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione.
5. I ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., per ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, il 25 marzo 2025.