Ricorso Inammissibile in Cassazione: Il Caso di Bancarotta Fraudolenta
Quando un ricorso in Cassazione viene definito inammissibile, significa che la Corte Suprema non entra nemmeno nel merito della questione. Questa recente ordinanza ci offre un chiaro esempio di quando e perché ciò accade, specialmente in casi complessi come la bancarotta fraudolenta. Analizziamo una decisione che sottolinea l’importanza di formulare un’impugnazione specifica e critica, anziché limitarsi a ripetere argomentazioni già respinte. La vicenda riguarda un imprenditore condannato per aver svuotato la propria società a danno dei creditori.
I Fatti del Processo
Un imprenditore è stato condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta, sia patrimoniale che documentale. Secondo le corti di merito, egli aveva sottratto risorse significative dalla sua azienda, che era stata poi dichiarata fallita. Le accuse principali si concentravano su due condotte:
1. La cessione d’azienda: La società fallita aveva ceduto i propri beni a un’altra impresa senza ricevere in cambio un corrispettivo effettivo, né un valore equivalente (tantundem).
2. Lo sviamento dell’avviamento: La nuova società, fino a quel momento inattiva, aveva iniziato a operare con il principale cliente e con i dipendenti della società fallita, continuandone di fatto l’attività senza versare alcuna remunerazione a quest’ultima.
L’imputato è stato inoltre qualificato come amministratore di fatto non solo della società fallita, ma anche di quella cessionaria, avendo esercitato concreti poteri gestionali in entrambe.
I Motivi del Ricorso Ritenuto Inammissibile
L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali, che la Corte ha però giudicato generici e, di conseguenza, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I motivi erano:
* Un presunto vizio di motivazione sulla distrazione avvenuta tramite la cessione d’azienda.
* Un’errata qualificazione giuridica dello “sviamento” dell’avviamento commerciale come condotta distrattiva.
* Un errore nella valutazione delle prove che lo qualificavano come amministratore di fatto.
Il problema fondamentale, evidenziato dalla Corte, è che l’imputato si è limitato a riproporre le stesse identiche doglianze già presentate e respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con le specifiche argomentazioni contenute nella sentenza impugnata. Questo approccio rende il ricorso privo della specificità richiesta dalla legge.
La Figura dell’Amministratore di Fatto
Un punto cruciale della vicenda è la qualifica dell’imputato come amministratore di fatto. La Corte d’Appello aveva chiarito, e la Cassazione ha confermato la logicità del ragionamento, che esistevano elementi concreti a dimostrazione del suo ruolo gestorio all’interno della società cessionaria. Non è necessaria una carica formale per essere ritenuti responsabili della gestione di un’impresa; ciò che conta è l’esercizio effettivo e continuativo dei poteri decisionali.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché i motivi proposti erano una mera reiterazione di quanto già esposto in appello. La sentenza impugnata aveva fornito una motivazione congrua, logica e conforme al diritto, spiegando nel dettaglio perché le tesi difensive non potessero essere accolte.
In particolare, la Corte d’Appello aveva evidenziato come:
1. I beni della società fallita erano stati ceduti senza alcun reale beneficio economico per quest’ultima.
2. La società cessionaria, gestita di fatto dall’imputato, aveva assorbito l’attività della fallita, sfruttandone clienti e dipendenti, senza fornire alcuna contropartita.
3. L’imputato era a tutti gli effetti l’amministratore di fatto della nuova società, come dimostrato da specifici elementi probatori.
Il ricorrente non ha contestato questi punti in modo specifico, né ha dimostrato un reale travisamento della prova, limitandosi a un riferimento parziale e insufficiente agli atti. Per la Cassazione, un ricorso non può essere un semplice copia-incolla delle argomentazioni precedenti, ma deve attaccare puntualmente e logicamente il ragionamento del giudice del grado inferiore.
Le Conclusioni: Conseguenze e Principio di Diritto
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione viene applicata quando l’inammissibilità è così evidente da configurare una colpa nel proporre l’impugnazione.
Il principio di diritto che emerge da questa ordinanza è fondamentale: per accedere al giudizio di Cassazione, non basta essere in disaccordo con una sentenza. È necessario redigere un ricorso che analizzi criticamente le motivazioni della decisione impugnata, evidenziandone le specifiche lacune logiche o le violazioni di legge. In assenza di tale specificità, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile, con le relative conseguenze economiche e processuali.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano privi di specificità. Essi si limitavano a ripetere le argomentazioni già esposte nell’atto di appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata.
Quali atti sono stati considerati come bancarotta fraudolenta?
Gli atti considerati come bancarotta fraudolenta sono stati la cessione dei beni della società fallita senza un effettivo acquisto o un corrispettivo equivalente, e lo sviamento dell’attività (clienti e dipendenti) verso una nuova società, anch’essa gestita di fatto dall’imputato, senza alcuna remunerazione per l’impresa fallita.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile in questo caso?
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa ravvisata nell’aver proposto un’impugnazione evidentemente inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34438 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34438 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GENOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/03/2025 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Genova che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato in mitius il trattamento sanzionatorio, confermandone la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale;
considerato che tutti i motivi di ricorso – il primo, che deduce il vizio di motivazio ordine alla ritenuta distrazione per il tramite della cessione d’azienda e la violazione di legge del 216 legge fall. in relazione all’art. 2558 cod. civ., ed il secondo, che la violazione dell’art. 216 ragione della qualificazione come condotta distrattiva dello “sviamento” dell’avviament commerciale); il terzo, che denunciano rispettivamente il vizio di motivazione, anche pe travisamento della prova, e la violazione degli artt. 216 legge fall. 2639 cod. civ. con riguardo qualifica di amministratore di fatto dell’imputato – sono privi di specificità poiché si sostanziano mera reiterazione delle allegazioni già prospettato con l’atto di appello:
senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato che, in maniera congrua, logica e conforme al diritto, specificando gli elementi sulla scorta dei quali ha argomenta e le ragioni per cui ha ritenuto sfornita di prova la prospettazione dell’imputato ha evidenziato co i beni della fallita sia stati ceduti senza alcun effettivo acquisto (da parte della cedente) tantundem (in favore della fallita) e che – nel medesimo periodo – la cessionaria, fino ad all sostanzialmente inattiva – abbia intrattenuto un rapporto economico in luogo della fallita con principale cliente di essa, avvalendosi delle prestazioni dei dipendenti della stessa fallita, proseguendone l’attività senza alcuna remunerazione per l’impresa fallita; e ha chiarito gli element in forza dei quali gli ha attribuito pure la qualità di amministratore di fatto della cessionaria, i i dati che ha ritenuto dimostrativi dell’esercizio da parte del COGNOME di poteri gestori in seno all RAGIONE_SOCIALE(cfr. spec. pp. 9 e 10);
e senza neppure denunciare compiutamente il travisamento della prova (che non può essere prospettato per il tramite del riferimento parcellizzato agli elementi in atti; Sez. 2, n. del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. C cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/09/2025.