Ricorso Inammissibile: Quando i Motivi di Appello non Superano il Vaglio della Cassazione
L’esito di un processo non sempre si conclude con i gradi di merito. Spesso, la parola fine viene scritta dalla Corte di Cassazione, il cui giudizio, però, non è una terza valutazione dei fatti, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge. Un esempio lampante ci viene fornito da una recente ordinanza, che ha dichiarato un ricorso inammissibile, illustrando i rigidi requisiti che un’impugnazione deve rispettare per poter essere esaminata. In questo articolo, analizzeremo il caso, focalizzandoci sulle ragioni che hanno portato a tale drastica decisione.
Il Contesto del Caso Giudiziario
Un imputato, a seguito di una condanna confermata dalla Corte d’Appello, decideva di presentare ricorso per Cassazione. I motivi alla base dell’impugnazione erano due, entrambi finalizzati a ottenere un trattamento sanzionatorio più mite attraverso il riconoscimento di specifiche circostanze attenuanti:
1. L’attenuante del fatto di lieve entità: Prevista dall’articolo 73, comma 7, del Testo Unico sugli Stupefacenti, questa attenuante mira a ridurre la pena per i reati legati alla droga quando le modalità dell’azione e la quantità di sostanza sono di minima importanza.
2. L’attenuante della dissociazione: Prevista dall’articolo 416-bis.1 del codice penale, è diretta a chi si dissocia da un’associazione di tipo mafioso, agevolando la giustizia.
L’obiettivo della difesa era chiaro: rimettere in discussione la valutazione dei giudici di merito su questi due punti cruciali. Tuttavia, l’esito non è stato quello sperato.
L’Analisi del Ricorso Inammissibile da Parte della Corte
La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi, giungendo alla medesima conclusione per entrambi: l’inammissibilità. Vediamo nel dettaglio perché ogni doglianza è stata respinta, mettendo in luce i principi che governano il giudizio di legittimità.
La Prima Doglianza: L’Attenuante per gli Stupefacenti
In merito al mancato riconoscimento dell’attenuante legata ai reati di droga, i giudici supremi hanno rilevato che i motivi proposti non erano altro che una riproposizione di argomenti già ampiamente esaminati e respinti nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha sottolineato che i giudici di merito avevano fornito una motivazione giuridicamente corretta, puntuale e priva di vizi logici. Tentare di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione dei fatti, già adeguatamente ponderati, è un’operazione non consentita in sede di legittimità. Questo rende il motivo del ricorso inammissibile.
La Seconda Doglianza: La Genericità sulla Dissociazione Mafiosa
Il secondo motivo, relativo all’attenuante della dissociazione, è stato giudicato “all’evidenza generico”. La difesa sosteneva che tale attenuante potesse essere riconosciuta anche senza una formale contestazione dell’aggravante mafiosa. La Cassazione, pur non entrando nel merito di tale affermazione di diritto, ha evidenziato una lacuna fondamentale a livello fattuale. Per poter anche solo discutere dell’applicazione di tale attenuante, è necessario che il reato per cui si procede sia stato commesso in un contesto mafioso o per agevolare un’associazione di tale tipo. Il ricorso, tuttavia, mancava completamente di “puntualizzare” questo aspetto cruciale, rendendo la richiesta astratta e priva del necessario fondamento fattuale. Anche in questo caso, la conseguenza è stata la declaratoria di ricorso inammissibile.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine del nostro sistema processuale: il ruolo della Corte di Cassazione. Quest’ultima non è un “terzo giudice” dei fatti, ma un giudice della legge. Il suo compito è verificare che i giudici di merito abbiano applicato correttamente le norme giuridiche e abbiano motivato le loro decisioni in modo logico e coerente. Nel caso di specie, il ricorso è stato giudicato inammissibile perché i suoi motivi si ponevano al di fuori di questo perimetro. Il primo motivo chiedeva, in sostanza, una nuova valutazione delle prove, attività preclusa in sede di legittimità. Il secondo motivo era talmente carente nella sua esposizione fattuale da non permettere alla Corte nemmeno di valutare la questione di diritto sollevata. La genericità di un motivo di ricorso lo rende inadatto a innescare il controllo della Cassazione, portando inevitabilmente a una pronuncia di inammissibilità.
Le Conclusioni
Le conclusioni pratiche di questa ordinanza sono significative. Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. L’imputato non solo non ottiene il risultato sperato, ma subisce anche conseguenze economiche. Come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma, in questo caso fissata in tremila euro, a favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia ribadisce l’importanza di redigere ricorsi per Cassazione con estremo rigore tecnico, basandoli su vizi di legge concreti e ben argomentati, e non su un generico dissenso rispetto alla valutazione dei fatti operata dai giudici di merito.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi presentati non erano consentiti dalla legge in sede di legittimità. Un motivo era una semplice riproposizione di argomenti già validamente respinti dai giudici di merito, mentre l’altro era troppo generico e privo dei necessari dettagli fattuali per essere valutato.
Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘generico’?
Significa che il motivo di appello è formulato in modo vago, senza specificare in modo puntuale e completo gli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda. Nel caso specifico, il ricorso non ha chiarito perché il reato fosse collegato a un’associazione di tipo mafioso, presupposto indispensabile per l’attenuante richiesta.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte non esamini il merito della questione. Inoltre, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47421 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47421 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MANFREDONIA il 03/09/1984
avverso la sentenza del 13/11/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe; esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché i motivi prospettati non sono consentiti da legge in sede di legittimità in quanto:, il primo, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al comma 7 dell’ad 73 Tus ribadisce profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dai giudici del merito argomenti giuridicamente corretti, puntuali rispetto al portato delle doglianze difensive, coere con riguardo alle emergenze acquisite oltre che immuni da manifeste incongruenze logiche;
il secondo, diretto a rivendicare la attenuante della dissociazione attuosa di cui al comma 3 dell’art. 416 bis. 1 cp in forza delle dichiarazioni rese dal ricorrente in altro procedime all’evidenza generico perché, anche a ritenere corretta l’affermazione in diritto in forza d quale il riconoscimento della attenuante in questione non presuppone necessariamente la formale contestazione della aggravante di cui al comma 1 della stessa disposizione, occorre comunque, in fatto, che il reato a giudizio sia stato commesso dall’imputato in presenza dell condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. ovvero per agevolare l’attività di un’associaz di tipo mafioso, aspetto che il ricorso manca integralmente di puntualizzare;
rilevato che all’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 co proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 31 ottobre 2024.