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Ricorso inammissibile: attenuanti e reato continuato

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile contro una condanna per tentato furto. I motivi, relativi alla mancata concessione delle attenuanti generiche e al mancato riconoscimento del reato continuato, sono stati giudicati generici e privi di un confronto specifico con le motivazioni della sentenza d’appello. La Corte ha confermato la decisione, sottolineando i limiti del proprio sindacato quando la motivazione del giudice di merito è logica e conforme alla legge.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: quando i motivi sono troppo generici

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un chiaro esempio di come la precisione e la specificità dei motivi siano fondamentali per l’ammissibilità di un’impugnazione. Quando un ricorso inammissibile viene presentato, la Corte non entra nel merito della questione, ma si ferma a una valutazione preliminare sulla sua validità formale e sostanziale. In questo caso, un imputato, condannato per tentato furto nei primi due gradi di giudizio, ha visto la sua istanza respinta perché i motivi addotti erano generici e non si confrontavano adeguatamente con le decisioni dei giudici precedenti.

I fatti del processo

Il ricorrente era stato giudicato responsabile del delitto di tentato furto. La sua condanna, pronunciata in primo grado, era stata integralmente confermata dalla Corte di Appello. Non rassegnato alla decisione, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza.

I motivi del ricorso inammissibile

Il ricorso si basava su due punti principali, entrambi giudicati inadeguati dalla Suprema Corte.

1. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Il primo motivo criticava la decisione dei giudici di merito di non concedere le circostanze attenuanti generiche. Secondo la difesa, la motivazione su questo punto era viziata. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto questo motivo non consentito in sede di legittimità, in quanto si trattava di deduzioni astratte, prive di un reale confronto con le ragioni specifiche, e ben articolate, che la Corte d’Appello aveva fornito per negare il beneficio.

2. Errata applicazione della legge sul reato continuato: Con il secondo motivo, il ricorrente lamentava la mancata applicazione dell’istituto del reato continuato, previsto dall’art. 81 del codice penale. Anche in questo caso, la Corte ha definito il motivo generico. La difesa non aveva contestato specificamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale aveva escluso la continuazione sulla base di elementi concreti: le diverse modalità di esecuzione dei reati e la notevole distanza temporale tra di essi. Questi fattori, secondo i giudici di merito, impedivano di ricondurre le diverse condotte a un’unica deliberazione criminosa iniziale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12833/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su principi consolidati della giurisprudenza.

In primo luogo, il sindacato della Cassazione sulla motivazione di una sentenza è limitato. Non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti, ma deve limitarsi a verificare che la motivazione sia logica, non contraddittoria e conforme alla legge. Nel caso delle attenuanti generiche, la Corte d’Appello aveva fornito una giustificazione adeguata, basata sui criteri degli articoli 132 e 133 del codice penale, rendendo l’obiezione del ricorrente un tentativo di rivalutazione del merito, non permesso in quella sede.

In secondo luogo, un motivo di ricorso non può essere una semplice riproposizione di argomenti già valutati o una critica generica. Deve, invece, individuare il punto debole della decisione impugnata e dimostrare, in modo specifico, perché essa sarebbe errata. Nel caso del reato continuato, il ricorrente non ha spiegato perché la valutazione della Corte d’Appello sulla diversità delle condotte e sulla distanza temporale fosse illogica o giuridicamente scorretta, limitandosi a lamentare la mancata applicazione dell’istituto.

Le conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale del processo penale: l’onere di specificità dei motivi di ricorso. Un’impugnazione, per essere accolta, deve essere un dialogo critico e puntuale con la sentenza che si contesta, non una generica lamentela. La decisione di dichiarare il ricorso inammissibile comporta non solo la definitività della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una condanna al pagamento di tremila euro. Questo serve da monito sulla necessità di formulare ricorsi solidi, pertinenti e tecnicamente ben costruiti.

Perché il motivo sulle attenuanti generiche è stato giudicato inammissibile?
La Corte ha ritenuto il motivo inammissibile perché non è consentito, in sede di legittimità, un riesame del merito delle valutazioni del giudice. Il ricorso era basato su deduzioni generiche e non si confrontava specificamente con la motivazione logica e conforme alla legge fornita dalla Corte d’Appello per negare le attenuanti.

Per quale ragione è stata esclusa la configurabilità del reato continuato?
La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano escluso il reato continuato a causa della mancata individuazione di un unico disegno criminoso. Tale conclusione era basata su elementi concreti: le condotte erano state poste in essere con modalità differenti e a una notevole distanza di tempo l’una dall’altra.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la conferma della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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