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Ricorso inammissibile: associazione a delinquere e prove

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’indagata accusata di partecipazione a un’associazione di tipo camorristico. La decisione si fonda sulla genericità dei motivi di appello, che miravano a una nuova valutazione dei fatti anziché a contestare vizi di legittimità. Il provvedimento conferma la validità degli indizi che dimostrano il suo stabile inserimento nel clan, nonostante l’età avanzata e la tesi difensiva di un rapporto puramente personale con gli affiliati.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando l’Appello in Cassazione Fallisce

La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito i rigorosi paletti per l’accesso al giudizio di legittimità, dichiarando il ricorso inammissibile presentato da un’anziana donna indagata per partecipazione a un’associazione di stampo camorristico. Questa pronuncia offre spunti fondamentali sulla corretta formulazione dei motivi di ricorso e sui limiti del sindacato della Suprema Corte, specialmente in materia di misure cautelari.

I Fatti del Caso: Legami Familiari o Appartenenza al Clan?

Il caso riguarda una donna di ottant’anni sottoposta alla misura degli arresti domiciliari per due gravi ipotesi di reato: partecipazione a un noto clan camorristico e intestazione fittizia di due autovetture. Secondo l’accusa, la donna non era una semplice conoscente, ma un membro organico e funzionale al sodalizio criminale, tanto da essere definita da un collaboratore di giustizia come l'”usuraia del clan”.

La difesa ha contestato fermamente questa ricostruzione, sostenendo che i rapporti dell’indagata con esponenti di spicco del clan e le loro famiglie fossero di natura puramente personale e amicale, consolidati in oltre quarant’anni. Secondo i legali, le conversazioni intercettate e gli scambi confidenziali andavano letti in questa chiave para-familiare, non come prova di un’adesione al programma criminale. Anzi, la difesa ha evidenziato intercettazioni in cui l’indagata esprimeva disapprovazione per condotte estorsive, in palese contrasto con le logiche del clan.

La Decisione della Cassazione e il concetto di ricorso inammissibile

Nonostante le argomentazioni difensive, la Corte di Cassazione ha respinto l’appello, dichiarandolo inammissibile. La Corte non è entrata nel merito della colpevolezza o innocenza dell’indagata, ma si è fermata a un livello procedurale. Il ricorso è stato giudicato generico e volto a una rivalutazione dei fatti, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

La Suprema Corte ha sottolineato che l’appello mescolava indistintamente diverse censure (violazione di legge, vizio di motivazione) senza specificare in modo chiaro e puntuale quali parti della decisione del Tribunale del Riesame fossero errate e perché. In sostanza, la difesa non ha contestato un errore di diritto o un’illogicità manifesta della motivazione, ma ha proposto una lettura alternativa delle prove, chiedendo alla Cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale del Riesame fosse completa, logica e immune da vizi. Il Tribunale aveva correttamente valorizzato una serie di elementi per concludere che l’indagata fosse a tutti gli effetti un membro interno (“intranea”) all’associazione criminale. Tra questi elementi figurano:

* Supporto Concreto: L’aver fornito aiuto a un esponente apicale durante la sua latitanza e aver messo a disposizione la propria abitazione per incontri e attività del clan.
* Consapevolezza: La perfetta conoscenza delle dinamiche criminali del gruppo.
* Disponibilità Persistente: La costante disponibilità ad aiutare i membri del clan.
* Attività Funzionali: L’attività di usura e l’intestazione fittizia dei veicoli sono state interpretate non come fatti isolati, ma come prove del suo agire nell’interesse del sodalizio.

Il Tribunale aveva già considerato e respinto la tesi del rapporto puramente personale, ritenendola incompatibile con la gravità e la natura degli elementi indiziari raccolti. Anche la censura relativa all’età avanzata è stata giudicata generica, poiché i giudici di merito avevano già tenuto conto di tale circostanza applicando gli arresti domiciliari invece della più afflittiva custodia in carcere, superando così la presunzione di adeguatezza del carcere prevista dall’art. 275 c.p.p.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza è un importante monito per la pratica forense. Dimostra che per presentare un ricorso efficace in Cassazione non è sufficiente dissentire dalla valutazione delle prove fatta dai giudici di merito. È necessario, invece, individuare e argomentare specifici vizi di legittimità: o la violazione di una norma di legge o un’illogicità manifesta e decisiva nel ragionamento del giudice. Un ricorso che si limita a proporre una “lettura alternativa” degli atti, per quanto plausibile, è destinato a essere dichiarato inammissibile. La precisione e la specificità dei motivi sono, dunque, la chiave per superare il vaglio della Suprema Corte.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione lo ha ritenuto inammissibile perché i motivi erano generici, mescolavano diverse tipologie di vizi senza specificarli e, soprattutto, miravano a ottenere una nuova valutazione delle prove, un’attività non permessa nel giudizio di legittimità.

La difesa sosteneva che i rapporti dell’indagata con il clan fossero solo personali. Come ha risposto la Corte?
La Corte ha confermato la decisione del Tribunale del Riesame, il quale aveva concluso che gli elementi raccolti (come il supporto a un latitante, l’attività di usura e l’intestazione fittizia di veicoli) superavano la sfera di un rapporto puramente amicale, dimostrando un concreto e consapevole inserimento dell’indagata nelle dinamiche del clan.

L’età avanzata dell’indagata (ultraottantenne) ha influito sulla decisione?
Sì, l’età è stata considerata dal Tribunale del Riesame, che proprio per questo motivo ha applicato la misura più lieve degli arresti domiciliari anziché la detenzione in carcere. La Cassazione ha ritenuto che questa valutazione fosse adeguata e che il ricorso non avesse presentato elementi concreti per una diversa decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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