Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26706 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26706 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 03/03/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 marzo 2023 la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale di Rimini del 10/12/2020, nel dichiarare la prescrizione dei reati ascritti a COGNOME NOME (256, comma 4, d. Igs. 152/2006), confermava la condanna della RAGIONE_SOCIALE, dal predetto amministrata, in relazione all’illecito amministrativo da reato di cui all’articolo 25-undecies d. Igs. 231/2001.
Avverso tale sentenza l’ente imputato ricorre per cassazione, lamentando, sotto un primo aspetto, violazione di legge e segnatamente dell’articolo 6 del d. Igs. 231/2001, avendo omesso, i giudici del merito, di verificare se vi fosse stata la “fraudolenta elusione” dei modelli di organizzazione e gestione, e financo se tali modelli fossero stati adottati ed attuati.
Sotto altro profilo, lamenta l’assenza di prova in ordine alla sussistenza di un interesse o vantaggio in capo all’ente derivante dalla condotta dell’imputato persona fisica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La prima doglianza è inammissibile per tardività.
Dal riepilogo incontestato dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata (pag. 2-3), emerge infatti che tale profilo di doglianza non era stato formulato con i motivi di appello.
Secondo questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di legge verificatasi nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (v., ex multis, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01).
Il secondo profilo è inammissibile per genericità, venendo riproposte in questa sede di legittimità doglianze già correttamente disattese, in fatto e diritto, dalla Corte territoriale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non nnassimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217)
La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
La sentenza impugnata, a fronte di analoga censura dedotta con l’atto di appello, chiarisce (pag. 2) che «il risparmio di spesa correlato allo spegnimento della cella frigorifera e quello connesso al mancato utilizzo delle etichette sui controlli dei pericolosi e pericolosi costituivano vantaggi obiettivi riconoscibili in capo alla “RAGIONE_SOCIALE“, della quale l’imputato era amministratore. Non risultava, d’altra parte, nemmeno che quest’ultimo avesse agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, per cui poteva ritenersi integrato il requisito della attribuzione responsabilità all’ente».
La doglianza, che non si confronta in modo realmente critico con la sentenza impugnata, è pertanto generica.
4. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pe l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de Ammende.
Così deciso in Roma il 19 aprile 2024.