Ricorso in Cassazione: Quando la Valutazione dei Fatti è Insindacabile
L’esito di un processo penale spesso dipende dalla valutazione delle prove e dalla corretta applicazione delle norme. Ma cosa succede quando si tenta di contestare questi aspetti davanti alla Corte Suprema? Un’ordinanza recente ci offre un chiaro esempio dei limiti del ricorso in cassazione, specialmente quando si toccano questioni come la credibilità delle testimonianze e la concessione di attenuanti. Questo caso, riguardante una condanna per rapina, dimostra come la Corte di Cassazione si ponga come giudice della legge e non dei fatti.
I Fatti e i Motivi del Ricorso
Due persone, condannate per rapina dalla Corte d’Appello, hanno presentato un ricorso in cassazione con un unico atto, basandolo su due motivi principali.
Il primo motivo mirava a contestare la credibilità della persona offesa e l’attendibilità delle sue dichiarazioni. La difesa sosteneva che il giudice di merito avesse errato nella sua valutazione, chiedendo di fatto alla Suprema Corte di riesaminare le prove testimoniali.
Il secondo motivo, invece, lamentava la mancata motivazione riguardo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero potuto portare a una riduzione della pena inflitta, fissata in cinque anni di reclusione e una multa.
La Decisione della Corte sul Ricorso in Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili, confermando la condanna. La decisione si fonda su principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, tracciando una linea netta tra ciò che può essere discusso in Cassazione e ciò che è di esclusiva competenza dei giudici di merito (primo e secondo grado).
Le Motivazioni: La Credibilità della Persona Offesa
Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione della credibilità di un testimone, inclusa la persona offesa, è una questione di fatto. Come tale, essa rientra nel potere esclusivo del giudice di merito. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella effettuata nei gradi precedenti, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia palesemente contraddittoria o illogica. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che non vi fossero tali vizi, rendendo il motivo non accoglibile in sede di legittimità. Questo orientamento, confermato dalle Sezioni Unite, serve a preservare il ruolo della Cassazione come organo che assicura l’uniforme interpretazione della legge, non come un terzo grado di giudizio sui fatti.
Le Motivazioni: Le Attenuanti Generiche e il Calcolo della Pena
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha osservato che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, le circostanze attenuanti generiche erano state di fatto già concesse dal giudice di primo grado. Quest’ultimo aveva operato un “giudizio di equivalenza”, bilanciandole con le circostanze aggravanti contestate. La prova di ciò, secondo la Cassazione, risiedeva nella pena finale inflitta: cinque anni di reclusione. Tale pena corrisponde al minimo edittale per il reato di rapina semplice (art. 628, primo comma, c.p.), e non al minimo di sei anni previsto per la rapina aggravata (art. 628, terzo comma, c.p.). Di conseguenza, la doglianza della difesa era manifestamente infondata, poiché le attenuanti avevano già prodotto il loro effetto, neutralizzando l’aumento di pena derivante dalle aggravanti.
Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, sottolinea la necessità di formulare i motivi di un ricorso in cassazione con estrema precisione, concentrandosi su vizi di legittimità (violazioni di legge o difetti di motivazione evidenti) e non su una nuova valutazione dei fatti. Tentare di ottenere dalla Cassazione una diversa lettura delle prove testimoniali è una strategia destinata al fallimento. In secondo luogo, evidenzia come l’analisi della pena concretamente inflitta possa essere un indicatore cruciale per comprendere il ragionamento del giudice, anche in merito all’applicazione di attenuanti e aggravanti. La decisione, infine, condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a riprova delle conseguenze negative di un ricorso inammissibile.
È possibile contestare la credibilità di una persona offesa con un ricorso in cassazione?
No, la valutazione della credibilità della persona offesa è una questione di fatto riservata al giudice di merito. In sede di Cassazione può essere riesaminata solo se la motivazione del giudice è manifestamente contraddittoria o illogica, circostanza non riscontrata nel caso di specie.
Perché il motivo sulle circostanze attenuanti generiche è stato respinto?
Il motivo è stato ritenuto manifestamente infondato perché le circostanze attenuanti generiche erano già state concesse dal giudice di primo grado e ritenute equivalenti alle aggravanti. Ciò è dimostrato dal fatto che la pena applicata era il minimo previsto per la rapina semplice, non per quella aggravata.
Cosa significa che un ricorso è dichiarato inammissibile?
Significa che il ricorso non può essere esaminato nel merito perché i motivi proposti non rientrano tra quelli consentiti dalla legge per il giudizio di Cassazione. Comporta la conferma della decisione impugnata e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 182 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 182 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2023
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a Cantù il 06/01/2002 NOME nato a Cantù il 22/09/2000
avverso la sentenza del 09/01/2023 della Corte d’appello di Milano dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi, proposti con un unico atto, di NOME COGNOME e NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo, con il quale si deduce «iolazione dell’art. 606, comma 2 lett B) e D) cpp, in relazione agli artt. 194 e seguenti cpp», con riguardo alle ritenute credibilità della persona offesa NOME COGNOME e attendibilità delle sue dichiarazioni, non è consentito, atteso che le Sezioni unite dela Corte di cassazione hanno statuito che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit.; più di recente: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01), circostanza, quest’ultima, che è del tutto assente nel caso di specie;
considerato che il secondo motivo, con il quale si deduce «iolazione dell’art. 606, comma 2 lett B) e D) cpp, in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p.p.», per non avere la Corte d’appello motivato in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, atteso che, come è stato esattamente ritenuto dalla Corte d’appello, le suddette circostanze attenuanti erano state già concesse dal giudice di primo grado, con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, come si evince anche dal fatto che, contrariamente a quanto viene sostenuto dal ricorrente, ratione temporis, l’irrogata pena di cinque anni di reclusione ed C 927,00 di multa corrisponde al minimo della pena per il delitto di rapina semplice (primo comma dell’art. 628 cod. pen.) e non al «minimo edittale previsto per il reato di rapina aggravata» (che è di sei anni di reclusione ed C 2.000,00 di multa; terzo comma dell’art. 628 cod. pen.);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 21 novembre 2023.