Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10971 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10971 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pistoia il giorno 27/2/1974 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 16/11/2023 della Corte di Appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento è stato trattato in forma cartolare; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello competente;
lette le conclusioni (trasmesse per via telematica) delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME con le quali si è chiesta la conferma in ogni sua parte della sentenza impugnata ed alle quali è stata allegata nota spese per il presente grado di giudizio della a quale è stata chiesta la liquidazione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 16 novembre 2023 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia in data 16 novembre 2021 con la quale era stata affermata la penale responsabilità di NOME COGNOME in relazione ai reati di truffa aggravata limitatamente ai danni di NOME COGNOME ex artt. 640 e 61 n. 7 cod. pen. (capo A della rubrica delle imputazioni), di estorsione aggravata ai danni dello stesso COGNOME ex artt. 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3-bis, cod. pen. (capo C in esso assorbita in esso la contestazione di tentata estorsione di cui al capo B) e di altra estorsione aggravata ai danni della medesima persona offesa ex artt. 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3-bis, cod. pen. (capo D), e, riconosciute all’imputato le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, ritenuta la continuazione tra i fatti-reato in contestazione, il COGNOME era sta condannato a pena ritenuta di giustizia.
Con la medesima sentenza l’imputato era stato anche condannato al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile NOME COGNOME da liquidarsi i separato giudizio, nonché al versamento alla parte civile di una provvisionale immediatamente esecutiva dell’importo di euro 42.182,50.
In estrema sintesi si contesta all’imputato al capo A della rubrica delle imputazioni:
di avere proposto ai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME di fare un investimento consistente nell’acquisto di una quota di proprietà di un residence turistico in Brasile, facendosi corrispondere tra il 10 aprile 2017 ed il 5 maggio 2017 complessivi euro 8.700,00, poi appropriandosi del denaro senza fare alcun investimento;
di essersi fatto corrispondere a titolo di prestito l’ulteriore somma in contanti di euro 665,00 senza provvedere alla restituzione della stessa;
di avere prospettato alla COGNOME guadagni e possibilità di lavoro così inducendo la stessa ad aprire un’impresa a suo nome (la RAGIONE_SOCIALE), poi, al fine di costituire il capitale, inducendo la stessa a richiedere un finanziamento di 30.000,00 euro e, una volta ottenuta la consegna del denaro, di essersi fatto consegnare l’ulteriore somma di euro 15.000,00 (asseritamente al fine di ottenere le licenze per consentire alla RAGIONE_SOCIALE di lavorare), nonché di avere ulteriormente indotto i coniugi COGNOME ad ottenere un ulteriore finanziamento di 15.000,00 euro, somma che si faceva consegnare e, infine, facendosi consegnare dagli stessi l’ulteriore somma di 25.000,00 euro in contanti tra aprile e dicembre 2017.
Quanto ai capi C e D, si contestano all’imputato due vicende estorsive avvenute rispettivamente nei giorni 28 dicembre 2017 e 31 dicembre 2017 e consistite:
nell’aver costretto il COGNOME mediante violenza e minacce indicate nell’imputazione, a consegnargli l’importo in contanti di 1.600,00 euro prelevati da un bancomat;
nell’aver costretto il COGNOME mediante violenza e minacce indicate nell’imputazione, a consegnargli l’importo in contanti di 900,00 euro anch’essi prelevati da un bancomat.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:
2.1. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione alle imputazioni di cui ai capi B, C e D.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che, in relazione alle fattispeci estorsive, difetterebbe nella sentenza impugnata la motivazione sulle questioni al riguardo dedotte con l’atto di gravame.
Se, infatti, nella sentenza impugnata è stata analizzata l’attendibilità delle persone offese in relazione al reato di truffa (che non rappresenta comunque un antecedente ricollegabile alle vicende estorsive) non altrettanto sarebbe avvenuto con gli autonomi fatti di cui ai capi B, C e D della rubrica delle imputazioni.
Le affermazioni di attendibilità della COGNOME non risulterebbero supportate da adeguata motivazione soprattutto alla luce di quanto al riguardo aveva esposto il Giudice di primo grado.
A ciò si aggiunge, secondo parte ricorrente, la presenza di rapporti non chiari tra COGNOME ed il COGNOME, il che avrebbe potuto indurre un risentimento del COGNOME verso l’imputato, situazione che sarebbe anche dimostrata dalle incongruenze ed inverosinniglianze (nel dettaglio indicate nel ricorso) del racconto delle persone offese anche con riferimento alle condotte estorsive oltre che con riguardo alla tempistica di chiusura dell’impresa sopra menzionata.
In sostanza, vi sarebbe un contrasto di motivazioni e valutazioni in ordine alla attendibilità dei dichiaranti tra la sentenza di primo grado e quella di appello che era stato dedotto dalla difesa in sede di gravame ma alle quali la Corte di appello non avrebbe dato risposta, procedendo oltretutto al frazionamento della valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della stessa COGNOME.
Aggiunge, ancora, la difesa del ricorrente di avere indicato nell’atto di appello forti elementi di sospetto in ordine all’attendibilità dei dichiaranti evidenziando:
la già menzionata natura tutt’altro che chiara dei rapporti intercorsi tra la COGNOME ed il COGNOME al punto che il Tribunale aveva affermato che la ricostruzione dei fatti fornita dalla COGNOME non corrispondeva al vero, il che ne minava l’attendibilità;
l’essersi trattato, quanto al COGNOME ed alla COGNOME, di due consorti che si sono costituiti parti civili il che non avrebbe consentito il frazionamento dell dichiarazioni dagli stessi rese che potevano a loro volta essere state “inquinate” da situazioni inerenti la sfera personale dei dichiaranti;
l’inverosimiglianza e l’irragionevolezza dei racconti delle persone offese di cui non veniva data contezza o fornita alcuna spiegazione né dal Tribunale, né dalla Corte di appello, il tutto con particolare riguardo al fatto che non sarebbe dato comprendere come, dopo aver fatto entrare in casa il COGNOME in occasione del primo episodio estorsivo, i coniugi COGNOME lo avrebbero fatto entrare in casa anche tre giorni dopo asseritamente subendo una seconda condotta estorsiva;
l’inverosimiglianza ed irragionevolezza delle giustificazioni rese allorquando è stato affermato che il COGNOME fu fatto entrare in casa in occasione degli episodi estorsivi al fine di evitare confusione nel condominio mentre ciò non sarebbe avvenuto durante una terza occasione di incontro nella quale, nel successivo mese di gennaio 2018, il COGNOME si sarebbe presentato a casa del COGNOME ma sarebbe rimasto fuori dell’abitazione ed il COGNOME gli avrebbe fatto vedere a distanza che dall’estratto conto bancario non disponeva più di denaro;
le anomalie, inverosimiglianza ed illogicità legate alla mancata richiesta di intervento e/o di aiuto alle forze dell’ordine in occasione dell’asserito compimento dei fatti estorsivi;
l’anomalia delle somme di denaro richieste dai presunto estorsore: non “nette/intere” ma specifiche – 1.600,00 euro e 900,00 euro – oltretutto non legate all’ulteriore illecito contestato;
le anomalie ed antinomie legate alle condotte dell’imputato da un lato utilizzate per indurre (nel caso della contestata truffa) e, dall’altro, per costring (nel caso delle contestate estorsioni) le persone offese;
le anomalie legate alla mancata conservazione dei pregressi messaggi asseritamente minacciosi;
l’inverosimiglianza della circostanza all’epoca addotta dalla COGNOME circa il fatto che i messaggi telefonici sarebbero stati cancellati dallo stesso imputato al quale sarebbe quindi stato consentito di entrare in possesso del cellulare;
l’anomalia costituita dai moltissimi messaggi prodotti dalla difesa dell’imputato ed a lui pervenuti dalla COGNOME e l’incompatibilità della condotta
della stessa tra il professarsi vittima ed il continuare ad avere rapporti con l’artefic dei reati ai propri danni ed ai danni del proprio marito;
m) l’inverosimiglianza della mancata conoscenza da parte del COGNOME del motivo dei contatti tra la moglie ed il COGNOME anche dopo i due episodi estorsivi della fine del 2017;
l’anomalia e l’incompatibilità dell’atteggiamento dell’imputato che avrebbe rappresentato alle vittime di avere già riportato condanna per truffa così allertandole e rendendole più critiche e sospette sulle proposte di investimento a loro fatte.
Tuttavia, prosegue la difesa del ricorrente, a tutti i predetti elementi indicat in sede di gravame che avrebbero dovuto essere oggetto di adeguata verifica la Corte di appello non avrebbe dato risposta.
Né basterebbe, a fronte dei predetti elementi, ricavare l’attendibilità delle dichiarazioni delle persone offesa dal fatto che i giudici si sono limitati a constatar la presenza di documentazione dalla quale sono emersi due prelievi al bancomat delle somme oggetto delle imputazioni.
2.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione all’imputazione di cui al capo A.
In tale motivo di ricorso la difesa dell’imputato sostanzialmente richiama le medesime argomentazioni relative alla attendibilità dei dichiaranti che a suo dire sarebbe stata affermata in modo apodittico nella sentenza impugnata.
A ciò si aggiunge che tali vizi di motivazione riguarderebbero anche la valutazione delle dichiarazioni della teste COGNOME che risultano essere state smentite dalle produzioni documentali effettuate dalla difesa dell’imputato.
Al riguardo avrebbe anche errato la Corte di appello nel ritenere inutilizzabile ai fini di prova detta documentazione atteso che si tratta di documenti sottoscritti anche dall’imputato e come tali acquisibili ai sensi dell’art. 237 cod. proc. pen.
In ogni caso, non si ricaverebbe dalla sentenza impugnata quali siano stati gli elementi di valutazione delle dichiarazioni della teste NOME COGNOME ai fini della verifica dell’attendibilità della stessa, trattandosi oltretutto di soggetto portat di interessi inerenti al coinvolgimento nella gestione della società avendo la stessa partecipato e sottoscritto la scrittura privata nella quale si era assunta la gestion della società della quale effettivamente si occupava.
2.3. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 17 del d.l. n. 75/2023.
Osserva la difesa dell’imputato che avrebbe errato la Corte di appello allorquando ha rigettato l’acquisizione degli ulteriori elementi di prova indicati ne
punti da 1 a 7 dell’atto di gravame affermando che nel giudizio cartolare di appello i principi dell’oralità e dell’immediatezza nell’acquisizione delle prove sono stat sostituiti dalla presunzione di completezza delle prove assunte nel giudizio di primo grado deputato come luogo naturale di assunzione delle prove. Così operando, secondo la difesa del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 17 d d.l. n. 75/2023 non tenendo conto della presenza di una norma di diritto intertemporale che prevede che per la disciplina regolatrice dello svolgimento dei giudizi di impugnazione occorre avere riguardo al momento in cui l’impugnazione è stata proposta, con la conseguenza che per tutti i gravami proposti entro il 15 gennaio 2024 anche la fasi successive del procedimento di impugnazione continueranno ad essere disciplinate dalla normativa emergenziale.
Da ciò ne consegue che è solo in caso di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale che si rende necessario per il Giudice fissare, d’ufficio o a richiesta di parte, una nuova udienza con la partecipazione delle parti con la conseguenza che è stato frutto di una violazione di legge ritenere inammissibile la richiesta d rinnovazione dibattimentale solo perché trattasi di procedimento celebrato con rito cartolare atteso che la difesa non avrebbe potuto avanzare una richiesta di trattazione orale senza sapere prima se vi sarebbe stato accoglimento o meno delle richieste avanzate.
2.4. e 2.5. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. d) ed e), cod. proc. pen. per mancata assunzione di una prova decisiva.
I motivi di ricorso, legati al precedente, vertono sul fatto che la Corte d appello non ha tenuto conto della “decisività” delle prove richieste di acquisizione e non ha motivato sul punto, nonché del fatto che non era stata possibile in precedenza la produzione delle chiavette USB e che il Giudice per avrebbe potuto acquisirle esercitando i poteri di cui all’art. 507 cod. proc. pen.
Dette chiavette USB avrebbero, poi, consentito di dimostrare il coinvolgimento della teste COGNOME nella vicenda dell’impresa ed altresì che l’imputato aveva dato atto dei propri pregressi problemi giudiziari e di una precedente condanna per truffa legata al fatto di avere prospettato un fasullo investimento in Brasile così come sarebbe avvenuto anche nei confronti dei coniugi COGNOME nel caso oggetto del presente procedimento.
2.6. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per erronea applicazione della norma con riferimento all’art. 27 della Costituzione e degli artt. 530 e 533 cod. proc. pen.
Evidenzia, al riguardo, parte ricorrente che i Giudici di merito, in presenza di plurimi elementi di sospetto e della possibilità di ricostruzione alternativa dell
vicende sottoposte alla loro attenzione, avrebbero dovuto quantomeno giungere ad una pronuncia assolutoria ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
2.7. e 2.8 Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 69 cod. pen. e con riferimento al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.
Lamenta, infine, parte ricorrente che la Corte di appello non avrebbe dato contezza delle ragioni per le quali ha ritenuto di mantenere fermo il giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate e di non accogliere la richiesta difensiva con la quale si invocava la prevalenza delle prime sulle seconde senza tenere conto della documentazione fornita dall’imputato e, in linea generale, della positiva condotta processuale tenuta dallo stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso (così come sopra riassunti ai par. 2.1.e 2.2) appaiono meritevoli di trattazione congiunta e sono da ritenersi manifestamente infondati.
Va detto subito che la sentenza impugnata in punto di analisi degli elementi che hanno portato i Giudici di entrambi i gradi di merito ad affermare la penale responsabilità dell’imputato COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi A, C (ne quale è stata ritenuta assorbita la contestazione di cui al capo B) e D della rubrica delle imputazioni risulta congruamente motivata. Inoltre, detta motivazione, non è certo apparente, né “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria.
Deve, poi, ricordarsi che ai fini del controllo di legittimità sul vizi motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Non sfugge che, nel caso in esame, entrambe le sentenze di merito hanno nel dettaglio ricostruito i fatti sulla base degli elementi probatori introdotti in giu – evidenziando la Corte di appello di avere preso in considerazione le questioni sostanzialmente riproposte in questa sede dalla difesa dell’imputato – e sono giunte ad analoghe conclusioni in ordine alla ricostruzione delle condotte dell’imputato ed alla (da ritenersi corretta) qualificazione giuridica dei fatti così fatto addivenendo ad una decisione cd. “doppia conforme”.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritannente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo de motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudi del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probato del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
Ancora, deve evidenziarsi che nel caso in esame parte ricorrente propone, peraltro in via ipotetica, una ricostruzione alternativa a quella operata dai giudic di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, COGNOME, Rv. 212054) dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non ad elementi meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259204; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260409).
Del resto in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operat dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibil con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Modesto, Rv. 196955), ciò perché la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.
Rileva, ancora, l’odierno Collegio come larga parte del ricorso qui in esame risulta essere fondata sulle valutazioni di attendibilità dei testi di accusa alla lu di elementi indicati nell’atto di ricorso (e prima ancora nell’atto di appello) in for dei quali emergerebbero elementi di inaffidabilità delle fonti probatorie di natura dichiarativa.
Va detto subito che anche in questo caso i Giudici di entrambi i gradi di merito risultano aver tenuto in debita considerazione gli aspetti problematici emergenti dalle fonti dichiarative, con particolare riguardo alla posizione ondivaga della COGNOME (ragionevolmente ipotizzata come influenzata da elementi sentimentali nei confronti dell’imputato), peraltro giungendo ad escludere che la stessa possa essere considerata persona offesa quantomeno in relazione reato di truffa.
La diversa valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della COGNOME in relazione alle vicende estorsive non è poi di certo stata operata in violazione di legge od in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di legittimità che ha avuto modo di chiarire che «In tema di prova testimoniale, trova applicazione il principio della scindibilità della valutazione, in quanto il giudice può ritene veritiera una parte della deposizione e, nel contempo, disattendere altre parti di essa, dovendo tuttavia dare conto, con adeguata motivazione, delle ragioni di tale diversa valutazione e dei motivi per cui essa non si risolve in un complessivo contrasto logico-giuridico della prova» (Sez. 2, n. 10193 del 13/02/2024, COGNOME, Rv. 286139 – 01) e, ancora, che «In tema di valutazione dell’attendibilità della persona offesa costituita parte civile, le cui dichiarazioni possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, è richiesto un vaglio particolarmente rigoroso nel caso in cui una parte del narrato, riferita ad alcuni fatti, sia ritenuta inattendibile, e deve ritenersi illegittima la valutazione frazio di tali dichiarazioni ove la parte ritenuta inattendibile sia imprescindibi antecedente logico dell’altra parte» (Sez. 4, n. 21886 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 272752 – 01).
Orbene, rileva l’odierno Collegio che detti principi risultano essere stati rispettati nelle decisioni delle sentenze di merito atteso che da un lato la contestazione del reato di truffa non risulta avere costituito un imprescindibile presupposto logico delle azioni estorsive e, dall’altro, che, comunque il narrato della COGNOME con riguardo alle azioni estorsive non risulta in contrasto sul punto con quello del marito.
In ogni caso ciò che rileva è il fatto che il racconto del COGNOME è stato ritenut assolutamente e concordemente credibile in entrambi i gradi del giudizio di merito essendo di per sé tale narrato sufficiente a costituire elemento decisivo di prova nei confronti dell’imputato.
Si è già ricordato che in materia di prova dichiarativa, la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha chiarito che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e che, inoltre, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, p essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104).
Deve però evidenziarsi che, come rilevato dai Giudici di merito, il narrato del COGNOME ha trovato preciso riscontro nella documentazione acquisita agli atti sia con riguardo ai prelievi bancomat (rilevanti per le vicende estorsive) sia in relazione alle altre movimentazioni economiche (rilevanti per la vicenda di truffa) oltre che nelle dichiarazioni della teste COGNOME (pure essa ritenuta attendibile).
Appare poi quasi superfluo rilevare come gli stessi Giudici di merito hanno da un lato chiarito che l’imputato non è stato in grado di fornire ricostruzion alternative delle vicende e che lo stesso è già stato condannato per una truffa sempre riguardante investimenti da effettuare in Brasile.
A ciò si aggiunge il rilievo che «in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257241) vizio non rilevabile nel caso in esame.
Infine, sempre con riguardo ai motivi di ricorso qui in esame nei quali la difesa del ricorrente lamenta che la Corte di appello non ha dato risposta a tutte le
questioni dedotte con l’atto di gravame, deve ricordarsi che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che «In tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione» (Sez. 2, n. 9242 del 8/2/2013, Reggio, Rv. 254988).
Inoltre, è giurisprudenza consolidata di questa Corte che, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (in questo senso v. Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250105; Sez. 4, n. 1149 del 24.10.2005, dep. 2006, COGNOME, Rv 233187).
Del resto, questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizio adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione.
(Sez. 2, n. 29434 del 19.5.2004, COGNOME, Rv. 229220; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643).
Manifestamente infondati sono altresì i motivi di ricorso, degni di trattazione congiunta, sopra riassunti ai par. 2.3, 2.4. e 2.5 nei quali si lamenta l mancata assunzione di prove (documenti e chiavette USB) che la difesa del ricorrente ritiene “decisive”.
Quanto alle dedotte questioni processuali relative alla possibilità (o meno) di produzione documentale nell’ambito di un giudizio di appello “cartolare” ritiene il Collegio di evidenziare che le stesse sono da ritenersi superate nel momento in cui la Corte di appello ha chiarito le ragioni di detta mancata assunzione evidenziando (v. pagg. 17 e 18 della sentenza impugnata) l’inammissibilità di produzione di documenti non in originale tra i quali uno anche privo di data ed ha poi spiegato che, con riguardo alle prove di cui ai punti 1 e 7 non sono state neppure allegate all’atto di gravame quelle non sopravvenute e che, comunque, si tratta di prove non assolutamente necessarie ai fini della decisione, stante la completezza del compendio decisorio riportati in sentenza e sopra richiamato.
Ne consegue che la Corte di appello risulta avere fatto corretta applicazione del disposto dell’art. 603 cod. proc. pen.
Del resto, «L'”error in procedendo” rilevante “ex” art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., è configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito» (Sez. 4, n. 23505 del 14/03/2008, Koverech, Rv. 240839 01) ma in tal caso non emerge neanche dal contenuto del ricorso sottoposto a questa Corte di legittimità, nel confronto con gli altri elementi evidenziati nel sentenze di merito che l’acquisizione della documentazione indicata dalla difesa avrebbe portato con certezza ad una diversa valutazione delle vicende.
In sostanza «In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante» (ex ceteris: Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670 – 01), elementi non rilevabili nel caso in esame.
Il motivo di ricorso sopra riassunto al punto 2.6 è inammissibile in quanto del tutto generico, richiamando lo stesso principi generali di diritto in materia d complessiva valutazione del compendio probatorio che risultano essere stati rispettati nel caso in esame.
Manifestamente infondati sono infine anche i motivi di ricorso riassunti ai superiori paragrafi 2.7. e 2.8 nei quali si sono dedotti violazione di legge e vizi motivazione in relazione all’art. 69 cod. pen. e con riferimento al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello vi ha dato risposta alla pagg. 18 e 19 della sentenza impugnata rilevando l’assoluta genericità delle formule di stile utilizzate dalla difesa del ricorrente nell’atto di gravame.
Rileva l’odierno Collegio che detta valutazione, alla luce del contenuto del motivo di impugnazione riportato a pag. 19 dell’atto di appello, è da ritenersi assolutamente corretta.
Deve solo aggiungersi che la Corte di appello ha evidenziato di condividere le valutazioni del Tribunale in ordine al trattamento sanzionatorio riservato all’imputato, implicante quindi anche il giudizio di comparazione tra le circostanze ex art. 69 cod. pen., che in quell’occasione era stato adeguatamente motivato.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilit emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Rileva, infine, la Corte che non può accogliersi la richiesta di rifusione delle spese relative al presente grado di giudizio formulata nell’interesse delle parti civili.
Come da ultimo riaffermato nella sentenza delle Sezioni Unite “RAGIONE_SOCIALE” di questa Corte (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Rv. 283886 in motivazione), già nella sentenza delle Sezioni Unite “Gallo” (Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Rv. 226716-01) si era chiarito che nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 cod. proc. pen., ovvero con rito camerale c.d. “non partecipato”,
quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purché, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamen esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pret dell’imputato per la tutela dei propri interessi.
Nel caso in esame, in applicazione di tale condiviso principio di diritto, costantemente enunciato in riferimento a tutte le forme di giudizio camerale non partecipato, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimit favore delle parti civili non è dovuta, perché il difensore delle stesse non ha fornito alcun contributo, essendosi limitato a richiedere la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Nulla per le spese delle parti civili.
Così deciso il 22 gennaio 2025.