Ricorso in Cassazione Inammissibile: I Limiti della Suprema Corte
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti e le condizioni di ammissibilità del ricorso in Cassazione. Con la decisione in commento, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di un imputato, chiarendo in modo inequivocabile che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito. Questo principio è fondamentale per comprendere la struttura del nostro sistema giudiziario.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Milano. L’imputato, condannato nei gradi di merito, si rivolgeva alla Suprema Corte contestando la sua dichiarazione di responsabilità. Le sue doglianze si concentravano principalmente su due aspetti: una presunta errata valutazione delle prove e l’illogicità della motivazione addotta dai giudici d’appello. Inoltre, veniva contestata la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’appellante ha basato il suo ricorso in Cassazione su due motivi principali:
1. Erronea valutazione dei fatti: Il ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero interpretato male le prove, proponendo una ricostruzione alternativa dei fatti che, a suo dire, avrebbe dovuto condurre a un’assoluzione.
2. Illogicità della motivazione: Si denunciava un vizio logico nel percorso argomentativo seguito dalla Corte d’Appello per giungere alla condanna.
In sostanza, il ricorrente chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare il materiale probatorio e di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei precedenti gradi di giudizio.
La Decisione della Corte e le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Le motivazioni della decisione sono un compendio dei principi cardine che regolano il giudizio di legittimità.
In primo luogo, la Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di un “giudice di terza istanza”. Non le è consentito effettuare una “rilettura” degli elementi di fatto o una nuova valutazione delle prove. Il suo compito si limita a verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia esente da vizi logici evidenti e da errori di diritto. Poiché la Corte d’Appello aveva esposto in modo coerente le ragioni del suo convincimento (pp. 4-5 della sentenza), la doglianza è stata respinta.
In secondo luogo, riguardo al presunto vizio di motivazione, i Giudici hanno sottolineato che il ricorso si limitava a una “pedissequa reiterazione” degli stessi argomenti già presentati e respinti in appello. Un ricorso in Cassazione, per essere ammissibile, deve contenere una critica specifica e argomentata contro la decisione di secondo grado, evidenziando le ragioni per cui essa sarebbe errata, e non limitarsi a riproporre le medesime difese.
Infine, la Corte ha affrontato la questione della mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto). Anche su questo punto, il ricorso è stato ritenuto infondato. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, la quale aveva escluso l’istituto in ragione del “valore di listino non tenue dell’autovettura” oggetto del reato. Citando un precedente consolidato (Cass. n. 51818/2013), la Corte ha ricordato che se il valore economico del bene non è particolarmente lieve, la tenuità del fatto deve essere esclusa.
Conclusioni
L’ordinanza in esame è un monito fondamentale per chi intende adire la Corte di Cassazione. Il ricorso in Cassazione non è un’ulteriore opportunità per discutere i fatti, ma uno strumento per correggere errori di diritto. Qualsiasi tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito è destinato all’inammissibilità. La decisione evidenzia anche come la specificità dei motivi sia un requisito essenziale: non basta ripetere le argomentazioni già respinte, ma occorre sviluppare una critica puntuale contro la sentenza che si impugna. Infine, conferma l’importanza del danno economico come parametro decisivo per valutare la “particolare tenuità del fatto”, limitando l’applicazione di questo beneficio ai soli casi di offensività minima.
Può la Corte di Cassazione riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può effettuare una nuova ricostruzione dei fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata, senza entrare nel merito delle prove.
È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi dell’appello?
No, riproporre pedissequamente gli stessi motivi già respinti in appello rende il ricorso inammissibile. Il ricorso in Cassazione deve contenere una critica argomentata e specifica contro la sentenza di secondo grado, non una semplice ripetizione.
Il valore economico di un bene può escludere la causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto”?
Sì, come confermato dalla Corte, se il valore del bene non è particolarmente lieve, ciò è un elemento sufficiente per escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., che prevede la non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11437 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11437 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME, ritenuto che il primo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, si vedano, in particolare, pp. 4-5 della sentenza impugnata, ove la Corte di appello sottolinea l’assenza di qualsiasi emergenza probatoria a sostegno di una versione alternativa dei fatti;
che esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità denunciando l’illogicità della motivazione, è manifestamente infondato poiché il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento, nonché inammissibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
considerato che il giudice di merito ha assolto, a p.5 della sentenza impugnata, al dovere argomentativo circa la non applicabilità dell’istituto di cui all’art.131-bi cod. pen. in ragione del valore di listino non tenue dell’autovettura trovata nella disponibilità del COGNOME, così come stabilito dalla Sez. 2, sentenza n.51818/2013 (Rv. 258118 – 01), la quale sostiene che ‘il valore del bene è un elemento concorrente solo in via sussidiaria ai fini della valutazione dell’attenuante speciale della particolare tenuità del fatto, nel senso che, se esso non è particolarmente lieve, deve sempre escludersi la tenuità del fatto […1’;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024