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Ricorso in cassazione: motivi nuovi e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso per detenzione di stupefacenti. La decisione si fonda su due principi cardine: la non ammissibilità di motivi di ricorso che reiterano questioni già decise in appello e, soprattutto, il divieto di introdurre per la prima volta in sede di legittimità questioni (come la confisca) non sollevate nei precedenti gradi di giudizio. Il caso evidenzia l’importanza strategica della corretta formulazione dei motivi di appello, che delimitano l’oggetto del giudizio anche per l’eventuale successivo ricorso in cassazione.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso in Cassazione Inammissibile: L’Errore di Introdurre Motivi Nuovi

Il ricorso in cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, un momento cruciale in cui si può contestare una sentenza per soli vizi di legittimità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre uno spunto fondamentale sull’importanza di una corretta strategia difensiva fin dai primi gradi di giudizio, evidenziando come l’introduzione di motivi nuovi in questa sede porti inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Analizziamo insieme la vicenda per comprendere le ragioni della Corte e le lezioni pratiche che ne derivano.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo da parte del Tribunale, in rito abbreviato, per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti (nello specifico, 3 grammi di cocaina). La pena inflitta, tenuto conto delle attenuanti generiche e della riduzione per il rito, era stata di dieci mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa.

La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte d’Appello. Avverso questa decisione, la difesa proponeva ricorso in cassazione basandosi su due distinti motivi:

1. Una presunta illogicità e contraddittorietà della motivazione riguardo alla determinazione della pena.
2. L’erronea applicazione della legge penale in riferimento alla confisca del denaro e del telefono cellulare sequestrati.

L’analisi del ricorso in cassazione e i suoi limiti

La difesa ha tentato di contestare la decisione della Corte d’Appello sotto un duplice profilo: uno relativo al merito della quantificazione della pena, l’altro riguardante una questione di diritto sulla legittimità della confisca. Tuttavia, come vedremo, entrambi i motivi presentavano vizi procedurali che ne hanno precluso l’esame nel merito da parte della Suprema Corte.

Il primo motivo, pur lamentando un vizio di motivazione, si risolveva in una semplice riproposizione delle argomentazioni già presentate e respinte in appello. Il secondo motivo, invece, sollevava una questione, quella sulla confisca, che non era mai stata oggetto di doglianza nel precedente grado di giudizio.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo una chiara spiegazione per ciascuno dei motivi proposti.

Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla determinazione della pena, i giudici hanno osservato che si trattava di una censura che reiterava un’analoga doglianza già avanzata in appello. La Corte territoriale aveva risposto in modo puntuale e logico, spiegando i criteri adottati per la commisurazione della sanzione, già peraltro mitigata in primo grado. Pertanto, il motivo è stato ritenuto inammissibile in quanto non contestava un vizio di legittimità, ma mirava a un riesame del merito già effettuato.

Ancora più netto è il giudizio sul secondo motivo. La Suprema Corte ha richiamato il principio consolidato, sancito dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, secondo cui non è possibile dedurre con il ricorso in cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto dei motivi di appello. La contestazione sulla confisca, essendo stata sollevata per la prima volta in sede di legittimità, è stata dichiarata inammissibile. La Corte ha rafforzato questa decisione citando una propria precedente pronuncia (Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020), che chiarisce come anche una generica prospettazione in appello non sia sufficiente a legittimare una censura specifica e dettagliata in Cassazione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è un monito fondamentale per la pratica legale: l’atto di appello non è una mera formalità, ma il documento che delinea in modo invalicabile il perimetro del giudizio successivo. Ogni questione che si intende sottoporre al vaglio della Cassazione deve essere stata precedentemente e specificamente contestata dinanzi alla Corte d’Appello. Omettere un motivo in appello significa precludersi per sempre la possibilità di farlo valere in seguito. La decisione della Corte, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una somma alla Cassa delle ammende, sottolinea la serietà di questo principio e l’importanza di una strategia difensiva completa e lungimirante fin dalle prime fasi del processo.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in Appello?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che è inammissibile il ricorso che deduca una questione, come quella sulla legittimità della confisca, che non è stata sollevata nei motivi di appello, come previsto dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.

Cosa succede se un motivo del ricorso in cassazione si limita a ripetere quanto già detto in appello?
Se la Corte d’Appello ha già fornito una risposta logica e puntuale a quella doglianza, il motivo viene considerato inammissibile. La Cassazione non può riesaminare il merito della decisione, ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, in questo caso fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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