Ricorso in Cassazione: Quando la Riproposizione dei Fatti Diventa Inammissibile
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso in Cassazione, specialmente quando questo si concentra sulla riproposizione di questioni di fatto già esaminate nei gradi di merito. La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentata estorsione, delineando con fermezza i confini tra il giudizio di legittimità e quello di merito.
I Fatti del Processo e l’Appello
Il caso trae origine da una condanna per il reato di tentata estorsione emessa dalla Corte d’Appello. L’imputato, ritenuto responsabile, decideva di presentare ricorso alla Suprema Corte, basando la sua difesa su tre motivi principali:
1. L’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
2. La mancanza dell’elemento soggettivo (dolo).
3. Il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
In sostanza, la difesa mirava a smontare la struttura accusatoria contestando gli elementi costitutivi del reato e, in subordine, a ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole.
Il Ricorso in Cassazione e i Limiti del Giudizio di Legittimità
La Corte di Cassazione ha rigettato i primi due motivi di ricorso, dichiarandoli inammissibili. La ragione di tale decisione risiede in un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove poter riesaminare i fatti. Il compito della Suprema Corte è quello di effettuare un controllo di legittimità, ossia verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia logica e non contraddittoria.
Nel caso specifico, i motivi presentati dall’imputato non erano altro che una ripetizione delle censure già sollevate e respinte in appello. Secondo i giudici, il ricorso era privo di un reale confronto con le argomentazioni della Corte territoriale e si limitava a proporre una diversa interpretazione delle prove, in particolare delle dichiarazioni della persona offesa. Questo tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito è estraneo al sindacato di legittimità.
La Valutazione della Credibilità della Persona Offesa
Un punto cruciale della decisione riguarda la credibilità della persona offesa. La Corte ha ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato (richiamando le Sezioni Unite, n. 41461/2012): la valutazione dell’attendibilità di un testimone è una questione di fatto, la cui “chiave di lettura” risiede nella motivazione del giudice di merito. Non è possibile, in sede di legittimità, rivalutare tale giudizio, a meno che la motivazione non presenti vizi macroscopici come contraddizioni manifeste o illogicità evidenti, circostanze non riscontrate nel caso in esame.
Il Mancato Riconoscimento della Particolare Tenuità del Fatto nel Ricorso in Cassazione
Anche il terzo motivo, relativo alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione congrua e logica per escludere la particolare tenuità del fatto. Gli elementi decisivi sono stati:
– L’entità dell’importo oggetto della minaccia estorsiva.
– L’abitualità della condotta, desunta dai precedenti penali specifici dell’imputato.
Questi due fattori, secondo i giudici di merito e confermati dalla Cassazione, sono ostativi al riconoscimento del beneficio, in quanto delineano una condotta non meritevole di un giudizio di speciale tenuità.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla distinzione netta tra il giudizio di merito e quello di legittimità. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché non rispettava i requisiti di specificità richiesti dall’art. 591 c.p.p. Esso si configurava come una mera riproposizione di argomenti fattuali, senza individuare vizi di legge o di motivazione nella sentenza d’appello. La Corte ha sottolineato che un ricorso, per essere ammissibile, deve criticare la decisione impugnata evidenziando errori giuridici o illogicità manifeste nel ragionamento del giudice, non limitarsi a sollecitare una rilettura delle prove favorevole al ricorrente. L’inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza rafforza alcuni insegnamenti fondamentali per chi opera nel diritto penale. In primo luogo, evidenzia l’importanza di redigere un ricorso in Cassazione con motivi specifici, che attacchino la struttura logico-giuridica della sentenza impugnata, anziché tentare di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti. In secondo luogo, conferma che la valutazione delle prove, inclusa l’attendibilità dei testimoni, è una prerogativa quasi insindacabile dei giudici di merito. Infine, chiarisce che l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. richiede una valutazione complessiva che tiene conto non solo della gravità del singolo episodio, ma anche del comportamento pregresso dell’imputato.
È possibile contestare la credibilità di un testimone in un ricorso in Cassazione?
No, di norma non è possibile. La valutazione della credibilità della persona offesa o di un testimone è una questione di fatto riservata ai giudici di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata presenta contraddizioni evidenti o illogicità manifeste, ma non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se ripropone le stesse censure dell’appello?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile in questi casi perché manca di specificità e non si confronta criticamente con le ragioni della decisione impugnata. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sui fatti; un ricorso che si limita a ripetere argomenti già respinti senza individuare specifici vizi di legge o di motivazione è considerato un tentativo di ottenere un riesame del merito, non consentito in sede di legittimità.
Quali elementi impediscono l’applicazione della “particolare tenuità del fatto” (art. 131-bis c.p.)?
Sulla base della sentenza, due elementi principali possono impedire l’applicazione di tale beneficio: la gravità dell’offesa (in questo caso, l’entità dell’importo oggetto della minaccia estorsiva) e l’abitualità della condotta dell’imputato, desumibile da precedenti penali specifici. Questi fattori indicano che il comportamento non è occasionale e che l’offesa non è così lieve da giustificare la non punibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34874 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34874 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TRICASE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/11/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che i primi due motivi di ricorso, con cui si contesta l’affermazione di responsabilità per il reato di tentata estorsione per insussistenza, rispettivamente, dell’elemento oggettivo (il primo) e di quello soggettivo (il secondo), non è formulato in termini consentiti dalla legge in questa sede, in quanto, oltre a non essere connotato dai requisiti di specificità, richiesti a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 591, comma 1, cod. proc. pen., perché reiterativo di censure già prospettate in appello e già congruamente esaminate e disattese dalla Corte territoriale – e dunque privo di un effettivo confronto con la complessità delle corrette ragioni di fatto e di diritto poste a base ritenuta sussistenza di tutti i presupposti costitutivi del delitto ascritto all’odierno ricorrent (si veda pag. 4 della impugnata sentenza) – esso risulta anche teso a prefigurare una differente valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, estranea dal sindacato dinanzi a questa Corte;
che, in particolare, deve, infatti, evidenziarsi che ogni vaglio critico circa il giudizio di attendibilità della deposizione della persona offesa è precluso innanzi alla Suprema Corte in ossequio al principio incontroverso in giurisprudenza secondo il quale la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (in tal senso cfr. Sezioni Unite, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, in motivazione; in questo senso, Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, è manifestamente infondato, a fronte della congrua e non illogica motivazione con cui i giudici di appello hanno ritenuto la non configurabilità della suddetta causa di non punibilità, in virtù dell’entità dell’importo oggetto della seconda minaccia estorsiva e dell’abitualità della condotta emergente dai precedenti penali, anche specifici, di cui risulta gravato l’odierno ricorrente, conformemente a quanto prescritto dall’art. 131-bis cod. pen.;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il giorno 15 luglio 2025.