Ricorso in Cassazione: L’Errore Fatale della Firma Personale
Presentare un ricorso in Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, un momento cruciale che richiede il massimo rigore formale. Le norme procedurali non sono meri orpelli, ma garanzie fondamentali per il corretto svolgimento della giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cardine: l’inammissibilità del ricorso sottoscritto personalmente dall’imputato, evidenziando le gravi conseguenze di tale errore.
I Fatti del Caso
Un soggetto, precedentemente condannato con rito abbreviato per una violazione dell’articolo 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990 (normativa sugli stupefacenti, per fatti di lieve entità), decideva di impugnare la sentenza della Corte d’Appello. Invece di affidarsi a un legale abilitato, presentava un ricorso sottoscritto di suo pugno, convinto forse di poter far valere le proprie ragioni direttamente dinanzi alla Suprema Corte.
La Decisione della Corte: un ricorso in Cassazione Inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione non ha nemmeno esaminato il merito delle doglianze del ricorrente. L’attenzione dei giudici si è fermata su un vizio formale, preliminare e insuperabile: la firma. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha applicato con rigore l’articolo 613 del codice di procedura penale, una norma che non lascia spazio a interpretazioni.
La conseguenza di questa declaratoria non è stata solo la conferma della condanna, ma anche l’applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, equitativamente fissata in tremila euro, a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni
La motivazione dell’ordinanza è tanto sintetica quanto ineccepibile. Il legislatore, con l’art. 613 c.p.p., ha imposto un filtro tecnico all’accesso in Cassazione. Il ricorso deve essere sottoscritto da un avvocato iscritto nell’apposito albo speciale e munito di specifico mandato. Questa regola non è un mero formalismo, ma persegue una duplice finalità: garantire la qualità tecnica del ricorso, che può essere proposto solo per motivi di legittimità (violazioni di legge), e assicurare che la Corte Suprema non sia oberata da impugnazioni infondate o formulate in modo non appropriato.
La sottoscrizione personale dell’imputato, definita dalla Corte come un atto compiuto ‘in spregio’ della norma, costituisce un vizio radicale che rende l’impugnazione inammissibile ‘ab origine’. La Corte ha quindi proceduto secondo quanto previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., che disciplina il procedimento per la declaratoria di inammissibilità, senza necessità di udienza pubblica.
Le Conclusioni
Questa pronuncia serve da monito fondamentale: il ‘fai da te’ legale, specialmente nei gradi più alti di giudizio, è una strada non solo sconsigliata ma legalmente preclusa e molto rischiosa. Il ricorso in Cassazione è un atto tecnico complesso che richiede l’indispensabile patrocinio di un difensore specializzato. L’inosservanza di questo requisito non solo vanifica ogni possibilità di successo, ma comporta anche significative sanzioni economiche. La decisione sottolinea l’importanza di affidarsi sempre a professionisti qualificati per tutelare i propri diritti nel processo penale.
È possibile presentare un ricorso in Cassazione firmandolo personalmente senza l’assistenza di un avvocato?
No, l’ordinanza chiarisce che il ricorso in Cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, come previsto dall’art. 613 del codice di procedura penale.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale. In questo caso, la somma è stata fissata a tremila euro.
Qual era il reato per cui l’imputato era stato condannato in origine?
L’imputato era stato condannato per la violazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, che riguarda ipotesi di reati in materia di stupefacenti considerati di lieve entità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7572 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7572 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SAN SEVERO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di BARI
ciato avviso alle parti;T
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RG NUMERO_DOCUMENTO/23
Rilevato che NOME COGNOMECOGNOME condanNOME con l’abbreviato alle pene di legge per la violazione dell’art. 73, comma 5, d. P.R. n. 309 del 1990, ha presentato un ricorso sottoscrit personalmente in spregio dell’art. 613 cod. proc. pen.;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso, da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che alla declaratoria consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente